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ER.CGIL.it - CGIL Emilia-Romagna

"Quadro drammatico, bisogna accelerare pagamenti e prolungare la durata degli ammortizzatori, nonché prorogare la moratoria dei licenziamenti"

Sono devastanti gli effetti provocati dal lockdown, leggendo i dati dell’Inps sulle ore autorizzate di cassa integrazione (ordinaria, straordinaria e in deroga).

Nel solo mese di aprile di quest’anno parliamo di 79,7 milioni ore di cassa integrazione guadagni (una fotografia parziale, perché le ore possono riferirsi sia a periodi precedenti che successivi) cifra ben superiore alle ore autorizzate in tutto il 2009 (il primo anno della grande crisi) quando furono 65,1 milioni, e superiore pure a quelle dell’intero triennio 2017-2019, quando furono 62,1 milioni.

In sintesi, il ricorso nel periodo Gennaio-Aprile 2020 (Cigo - Cigs - Cigd) in Emilia-Romagna ammonta a 85.228.954 ore, così suddivise:

• 80.478.917 ore di Cigo, in fortissimo aumento rispetto alle 2.628.012 del 2019 (+2.962,3%);

• 3.275.992 ore di Cigs, in aumento rispetto alle 3.105.782 del 2019 (+5,5%).

• 1.474.045 ore di CigD, in aumento rispetto alle 102 del 2019.

L'aumento esponenziale delle ore autorizzate di CIGO non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.

Per quanto riguarda la CIGS, l'aumento è contenuto perché non è stato questo lo strumento scelto dal Governo per far fronte all’emergenza COVID-19.

Mentre sulla CIG in Deroga, c’è un chiaro ed evidente ritardo di registrazione da parte dell'INPS (il dato più recente sulla CIG in Deroga è stato rilasciato rilasciato dalla Regione in data 16 maggio: 32 mila unità produttive interessate, 27 milioni le ore perse, 96 mila lavoratori coinvolti).

Il ricorso in questi primi quattro mesi dell’anno è così suddiviso:

• 55.837.255 ore operai;

• 29.391.699 ore impiegati.

A livello territoriale (differenza tra primo quadrimestre 2019-2020):

Bologna                 +20.303.620 ore

Ferrara                  +3.398.627 ore

Forlì-Cesena         +7.640.599 ore

Modena                +17.672.112 ore

Parma                   +6.237.423 ore

Piacenza               +4.024.399 ore

Ravenna               +4.818.193 ore

Reggio Emilia       +10.945.972 ore

Rimini                   +4.454.113 ore

A questi dati vanno sommati gli artigiani e i lavoratori somministrati (non erogati dall’Inps ma dai fondi di solidarietà bilaterali): parliamo in Emilia-Romagna di 84.538 artigiani (per ben 20.261 accordi conclusi) e 20.606 lavoratori somministrati coinvolti negli accordi che abbiamo finora sottoscritto (4.203) per accedere agli ammortizzatori sociali.

Inoltre andranno anche aggiunti i numeri delle CIG in Deroga autorizzate direttamente dal Ministero del Lavoro per le aziende plurilocalizzate.

"E' un quadro drammatico - spiega Paride Amanti, della segreteria della CGIL Emilia-Romagna -. Ora bisogna accelerare i tempi dell'erogazione degli ammortizzatori sociali e prolungarne la durata, nonché prorogare la moratoria attuale dei licenziamenti che scade il 17 agosto. Dall'altro lato, bisogna progettare fin da subito la ripresa economica con un nuovo Patto per il Lavoro, che metta al centro la qualità del lavoro e dello sviluppo, gli investimenti, la transizione ecologica e il contrasto alla illegalità e alla criminalità organizzata".

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Beppe Persichella

Ufficio stampa CGIL Emilia-Romagna

3283141500

 

 



Priorità alla Scuola

Gentile Ministra Lucia Azzolina, 
Siamo un gruppo di cittadini, genitori, con figli di varie età, scolare e prescolare, e di insegnanti, di educatori e operatori della scuola, di professionisti che hanno deciso di interpellarLa direttamente. 
Da un paio di giorni, varie amministrazioni locali, sollecitate dalle istanze e dai bisogni nostri e di altre persone come noi, cominciano a sollevare la questione scuola, ma si dichiarano in attesa di indicazioni dal ministero e dal governo centrale. Perciò la sollecitiamo a dare risposte. 
La scuola è stata la prima a chiudere per il Covid-19. Ferma dal 22 febbraio in Lombardia, in Piemonte e in Emilia Romagna e progressivamente nel resto d’Italia, sembra anche destinata a essere l’ultima a riaprire, senza clamore: come se si trattasse di questione marginale di fronte alla necessità di far ripartire il Paese. I bambini, tutti i minorenni, e i loro diritti, sono stati ignorati durante tutta la fase emergenziale dalle istituzioni, e presi in considerazioni solo dopo vibranti proteste e mobilitazioni. 
Mentre il Primo ministro Conte comincia a presentare un’ipotesi di riapertura graduale delle attività lavorative e a parlare di “ripartenza”, manca una chiara informazione istituzionale relativa a condizioni, termini e modalità di riapertura delle scuole. 
Noi, firmatari, siamo costretti a fare affidamento su voci che paventano non solo la riapertura della scuola unicamente a partire da settembre (che sembrerebbe confermata oggi dalle sue dichiarazioni riportate dal “Corriere della Sera”), ma addirittura una riapertura esclusivamente o parzialmente a distanza. 
Se si riparte anche la scuola deve ripartire perché nella scuola c'è il futuro, immediato e prossimo, dell'Italia. Una ripartenza con genitori che dovrebbero ancora farsi carico dell’accudimento e/o dell’istruzione primaria dei propri figli è impensabile. Non si può, quindi, sottovalutare il problema e non pensare alle enormi conseguenze che questo avrà sui minori e sull’organizzazione delle famiglie. 

A oggi riteniamo che un mese e mezzo di chiusura della scuola abbia chiaramente dimostrato: 
grandissime differenze nella capacità di gestire la didattica a distanza sia tra gli alunni che tra i docenti, mancanza di infrastrutture pubbliche adeguate (banda larga, piattaforme didattiche digitali, ecc.) e di connessioni domestiche, nonché disomogenea distribuzione tra la popolazione dei dispositivi necessari;
 - inadeguatezza dell’insegnamento a distanza. 
Inoltre dobbiamo registrare:
- che il primo risultato della didattica a distanza è confermare e approfondire le distanze sociali economiche e culturali, in evidente contraddizione con la Costituzione italiana (l’art. 3 impegna la repubblica a rimuovere le disuguaglianze); - che ci sono gravi e incontestabili conseguenze prodotte dal venir meno della scuola come luogo materiale di rapporti umani, tra coetanei e tra adulti e ragazzi; - che asili nido e scuole dell’infanzia – che non possono ricadere sotto la voce “didattica a distanza” e sono tuttavia servizi essenziali – sono usciti del tutto dalla discussione pubblica. 
Nonostante gli ammirevoli sforzi compiuti dalla grande maggioranza delle persone coinvolte – insegnanti, studenti e genitori – la didattica a distanza non può essere considerata altro che una soluzione di pura emergenza, e riteniamo che non sia accettabile prolungarla oltre l’estate, a meno che non ci siano evidenze scientifiche tali da costringere a tenere chiuse tutte le attività siano esse economiche, sociali, culturali, sportive o scolastiche. 
La didattica a distanza non può sostituire la scuola e – per quanto si possano discutere sfumature e specificità – questo vale per tutti gli ordini e gradi di istruzione. Per i gradi della scuola dell’obbligo poi, l’unico risultato certo è lasciare ancora più indietro ampie fasce della popolazione. Inoltre la didattica a distanza non è idonea in assenza di un sostegno adeguato da parte di un adulto almeno per le fasce di età dei bambini più piccoli e per i bambini con difficoltà di apprendimento. 
Infine la scuola dell’infanzia e primaria sono istituzioni educative che strutturano un primo fondamentale momento di relazione sociale continuativa e organizzata fra gli esseri umani. 
A questa esperienza formativa di socializzazione, è stata sostituita la solitudine della didattica e dell’apprendimento a distanza: ciò significa privare le nuove generazioni di questo insostituibile patrimonio di educazione alla socialità e alla cittadinanza e può essere tollerata solo come extrema ratio temporanea.
La ripresa da parte dei genitori della propria attività lavorativa impedirà a molti di essi la cura e l’assistenza – anche quella didattica, indispensabile per le prime classi elementari – ai propri figli minori. In questa prospettiva sorge per le famiglie la preoccupazione di dover far fronte a un vero e proprio abbandono dei figli per gran parte della giornata, tenuto anche conto che moltissime famiglie non potranno più fare affidamento sulla presenza e sull’aiuto dei nonni (fascia di popolazione maggiormente esposta a rischio Covid) e che il costo di una babysitter per tutto il corso della giornata sarebbe, per molti, insostenibile, nonostante i voucher promessi. 
L’estate sarà la prima prova: di fronte alla ripresa delle attività lavorative auspicata da tutti, c’è la concreta possibilità che manchino attività di supporto alle famiglie come i centri estivi. Anche su questo registriamo per il momento la totale assenza di informazioni e indicazioni. 
In caso di figli molto piccoli, per chi fosse ancora costretto allo smartworking, neppure la presenza di una babysitter assicurerebbe in ogni caso efficiente ripresa. Inevitabilmente molti genitori – soprattutto madri di bambini non ancora autosufficienti, nei bisogni primari o anche solo nella didattica – saranno indotti a rinunciare al proprio lavoro, o ad accantonarlo, proprio per non far venir meno l’assistenza ai propri figli. 
Guardando ai nostri vicini europei, il diritto all’istruzione compare come una priorità dei governi, all’interno di una visione articolata e complessiva per la gestione dell’emergenza, che si sforza di tenere insieme le esigenze di sicurezza sanitaria, di contenimento del contagio, di salute psico-fisica della popolazione, di ripresa delle attività economiche, scolastiche e sociali. 
Il contrario di quello a cui stiamo assistendo in Italia, alla luce della comunicazione istituzionale e dall’agenda politica sbandierata. In Danimarca, l’idea del governo è che per riprendere una vita normale, chiedendo ai genitori di tornare a lavorare, è necessario che i bambini e i ragazzi tornino in classe; le scuole per i più piccoli (nidi, materne, elementari) hanno riaperto il 15 aprile. Il governo di Copenhagen è pronto a innestare la retromarcia nel caso in cui il numero dei contagi, ora basso, dovesse crescere di nuovo. Dal 20 aprile in Norvegia riaprono asili nido e dal 27 aprile le scuole primarie. In Spagna, la commissione che si occupa dell’emergenza ha dato indicazione di prevedere aperture scaglionate, diverse da regione a regione a seconda della condizione epidemiologica, a partire da maggio. In Francia il ministro dell’Istruzione Michel Blanquer ha dichiarato che l’apertura delle scuole sarà progressiva dall’11 maggio seguendo un criterio sociale, aprendo cioè le scuole nelle zone socialmente più difficili. In Germania l’accademia delle scienze nazionale, l’Accademia Leopoldina, ha raccomandato un graduale allentamento delle restrizioni dal 4 maggio. 
È notizia di queste ore che verrà data priorità agli studenti che stanno completando il loro ciclo (superiori, medie e anche elementari). Alla luce di tutto questo, riteniamo sia doveroso da parte Sua adoperarsi, al pari dei suoi colleghi europei, per garantire il diritto all’istruzione iniziando da subito a pensare, a progettare e organizzare la ripresa delle attività scolastiche in presenza (almeno a settembre e anche prima dell’estate, per i più piccoli). 
È necessario che fornisca un’informazione tempestiva, chiara e costantemente aggiornata circa il lavoro di programmazione che il governo sta svolgendo sul tema e circa le modalità che dovranno essere assunte per la riapertura di tutte le scuole – dai nidi alle secondarie –, in sicurezza: pensiamo a test sierologici per bambini e ragazzi, a turni ridotti e differiti, all’eliminazione dei momenti di assembramento, a supplenze extra per sostituire il personale più a rischio, all’ottimizzazione nell’uso dello spazio nelle aule in rapporto al numero di studenti, alla regolarizzazione dei docenti precari, all’assunzione di più personale, alla sanificazione degli ambienti, alla conversione a uso scolastico di edifici inutilizzati e di scuole precedentemente chiuse, alla riapertura delle scuole differenziata su base regionale, in relazione alle diverse situazioni sociali ed epidemiologiche. 
Sono misure che richiedono un enorme lavoro di organizzazione – che deve tenere conto di una catena di problemi che va dall’uscita di casa e dall’entrata a scuola, fino alla gestione dell’uscita e del rientro a casa intrecciandosi con altre attività e servizi, a cominciare dal trasporto pubblico. Devono perciò essere pensate, programmate e finanziate già da ora. 

Se il governo continuerà a rimandare ancora la discussione e la pianificazione sulla scuola, per molti mesi si continuerà a privare del diritto all’istruzione intere generazioni di studenti. Riteniamo comunque che la gradualità delle aperture, imposta dalle esigenze sanitarie ma anche da quelle di graduazione delle esigenze dei minori e delle famiglie, consentirebbe di pianificare sin dalle prossime settimane – al pari o quasi degli altri paesi europei parimenti colpiti – la riapertura dei servizi educativi almeno alla prima infanzia (l’anno scolastico per asili e scuole dell’infanzia non si chiude il 10 giugno, ma alla fine del mese, protraendosi in certi casi anche in luglio) e (almeno delle prime classi) delle scuole primarie. 
Per i più piccoli, anche un breve passaggio in aula sarebbe importante, così come per quegli studenti che devono concludere il ciclo di studio. Ci saremmo aspettati anche qualche proposta più audace e creativa, ma all’altezza delle sfide a cui siamo confrontati oggi: per esempio l’uso di spazi all’aperto, cosa che il clima italiano consentirebbe ovunque, almeno da giugno e per settembre, in certe regioni anche più a lungo. 

Sentiamo quindi il bisogno di protestare perché, invece di considerare la scuola come una delle priorità, in una visione organica complessiva dell’emergenza sanitaria in atto, e di attivarsi concretamente per la sua riapertura in sicurezza, così come succede in altri paesi europei e non solo, si continua a ribadire il perdurare dello stato di fatto circa la chiusura della scuola senza offrire ai cittadini informazioni e prospettive chiare. 
È compito della politica garantire il diritto alla salute nel saggio bilanciamento di tutti gli altri diritti dei cittadini, fra i quali quello all’istruzione, per primo, non può, e non deve, essere totalmente (e neppure parzialmente) sacrificato. È per noi inaccettabile che si continui a proporre una visione e soluzioni parziali e settoriali. Non è possibile considerare come unica soluzione quella della didattica a distanza, senza peraltro considerarne adeguatamente le ricadute sulla vita dei minori e delle loro famiglie, e senza considerare le problematiche organizzative e di gestione che questa genera. 
Riteniamo tutto ciò gravissimo, tanto più se, guardando agli altri paesi con numeri simili ai nostri in termini di contagi e di decessi, si scopre che per loro la scuola è, insieme ad altre, una delle priorità, tenendo anche conto che sono ormai molti gli studi scientifici che attestano la sproporzione tra i vantaggi di un lockdown prolungato e i danni e i rischi che può produrre sulla popolazione e in particolare su bambini e adolescenti. 
In conclusione, ci rivolgiamo a Lei, Ministra Azzolina, affinché si lavori da subito per costruire un piano per la riapertura di asili e scuole che sia adeguato ai bisogni dei bambini e degli adolescenti, che sono tra i soggetti più fragili in questa emergenza sanitaria, e a sostegno delle famiglie e dei genitori. 

Chiediamo, inoltre, che il piano di intervento e finanziamento per l’anno scolastico 2020-2021, perdurando il momento dell’emergenza, voglia impedire un danno alla scuola pubblica. 


Queste, dunque, in estrema sintesi, le nostre principali richieste:
1- bilanciare il diritto alla salute con tutti gli altri diritti fondamentali, fra i quali quello all'istruzione, che non deve essere sacrificato più dello stretto necessario, ma anzi costituire obiettivo primario della ripartenza
2 - per garantire il diritto all'istruzione al pari degli altri Paesi europei, progettare e organizzare la ripresa delle attività scolastiche in presenza almeno a settembre, e anche prima per i più piccoli
3 - fornire un'informazione tempestiva chiara e aggiornata circa il lavoro di programmazione che il governo sta svolgendo sul tema
4 - pianificare il prima possibile gli accorgimenti per la riapertura di tutte le scuole in sicurezza, anche in relazione alle diverse situazioni sociali ed epidemiologiche
5 - sin dalle prossime settimane, e comunque dalla cosiddetta fase 2, riaprire i servizi educativi facoltativi alla prima infanzia, nidi e materne (l'anno scolastico per loro già correntemente si chiude a luglio), e le scuole primarie, eventualmente con gradualità (dando precedenza alle prime classi); nonché, se la situazione epidemiologica lo consentisse, prevedere, con gli opportuni accorgimenti di distanziamento (eventuali turni ecc.), la conclusione dell'anno scolastico in aula anche per le classi che concludono un ciclo (quinta elementare, terza media e maturità);

6 - lavorare a un piano di riapertura delle scuole e degli asili adeguato ai bisogni dei bambini e degli adolescenti, e un intervento finanziario importante per garantire tutto ciò

Certi che comprenda questa situazione e la nostra preoccupazione, in attesa di un riscontro

Costanza Margiotta
Filippo Benfante 
Massimiliano Bernardini
Lucia Tozzi
Gloria Ghetti 
Maddalena Fragnito
Cristina Tagliabue 
Luca Paulesu
Diana Palomba

Seguono 2063 FIRME

"Raccolto un pezzo delle nostre richieste per il dopo lockdown". Ora Comuni e imprese

devono fare la propria parte

 

Legambiente commenta positivamente il provvedimento “Bike to Work” della Regione Emilia-Romagna, che prevede lo stanziamento di oltre 3 milioni sulla mobilità sostenibile da parte degli assessorati di  Priolo e Corsini.

In particolare sono positive le risorse per aumentare le corsie preferenziali degli autobus - necessarie per rendere più competitivi i tempi di percorrenza dei mezzi pubblici - e per le piste ciclabili. Un finanziamento che chiama in causa le politiche dei Comuni, che devono lavorare nella stessa direzione ed aumentare gli spazi per la mobilità sostenibile nei sedimi stradali.

Positiva anche l'attenzione alla mobilità casa-lavoro, uno dei principali motivi di spostamento, che ogni giorno portano macchine sulle strade delle nostre città.
“Anche in questo caso - commenta Legambiente - è necessario un lavoro dei Datori di Lavoro e dei Comuni per utilizzare al meglio queste risorse. Da una parte le aziende devono favorire e semplificare l'arrivo nelle proprie sedi con le biciclette, attraverso rastrelliere e l'utilizzo dei Mobility Manager, dall'altra i Comuni devono realizzare le piste ciclabili proprio verso i principali poli attrattori del traffico pendolare”.

Spesso, infatti, i quartieri industriali e artigianali non hanno accessi ciclabili adeguati. In generale poi servirà una giusta campagna di informazione per fare conoscere le opportunità economiche ai diretti interessati.

Dunque un commento positivo di Legambiente, che segnala come siano state recepite dalla Regione alcune delle proprie proposte avanzate a livello nazionale e locale. L'Associazione ricorda comunque l'importanza di lavorare anche sull'offerta e sui prezzi del Trasporto Pubblico Locale, come già consigliato con un video esplicativo.

Qui il breve video con le nostre proposte sulla mobilità sostenibile post emergenza.

L’Ufficio stampa

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Ufficio Stampa - Legambiente Emilia Romagna
Via Massimo Gorki, 6 - 40128 Bologna
Tel: 051-241324
Fax: 051-0390796

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Web: www.legambiente.emiliaromagna.it
 

Faenza, 12 maggio 2020

Al Sig. Sindaco di Faenza e Presidente dell'Unione della Romagna Faentina Dott. Giovanni Malpezzi

ai Capigruppo Consiliari del Comune di Faenza

alle Organizzazioni Sindacali

ai Mezzi di informazione locale

 

Gentile Signor Sindaco,

in riferimento all'iniziativa concordata dal Comune di Ravenna di un prestito di 1.000 euro per sostenere chi non ha ancora ricevuto gli ammortizzatori sociali e le indennità previste dal Governo, sono a chiedere la possibilità che anche il Comune di Faenza e la stessa Unione dei Comuni della Romagna Faentina valutino questa possibilità.

Mi rendo conto della necessità di verificare la disponibilità in termini di bilancio ma sottolineo che, nel caso, si tratterebbe di un prestito, anche rimborsabile a breve, e che, eventualmente, l'entità del prestito potrebbe anche essere più ridotta.

Naturalmente l'iniziativa dovrebbe essere concordata con le Organizzazioni Sindacali che hanno un quadro più esatto dei lavoratori in situazione di difficoltà.

In attesa di un cortese riscontro, ringrazio per l’attenzione.

L’ALTRA FAENZA

Edward Jan Necki

 

 

 

 

 

Perché, cosa, come e con chi realizzare un futuro di giustizia sociale e ambientale battendo chi lavora per tornare alla normalità iniqua del pre Covid-19 o per costruire un futuro autoritario

UISP - Nazionale - Forum Disuguaglianze Diversità: anche l'Uisp ...

Siamo appena entrati in una fase di allentamento delle misure di distanziamento fisico con lo sguardo fisso alla curva dei contagi e all’andamento della diffusione dell’epidemia. Consapevoli della grande incertezza fatichiamo a programmare il futuro. Eppure è questo il momento in cui, se abbiamo coraggio individuale e collettivo, a quel futuro possiamo dare forma. Per farlo dobbiamo rischiare di fare previsioni, e dobbiamo compiere scelte.

Anche noi, ForumDD, alleanza tra ricerca e organizzazioni di cittadinanza attiva, abbiamo sentito questa opportunità. E in un’assemblea di oltre sessanta persone, cinquanta interventi e otto ore siamo partiti da una selva di domande e abbiamo cercato di condividere le risposte. Ora le abbiamo raccolte in un DOCUMENTO.

Anticipiamo alcuni punti che troverete e su cui vogliamo aprire un confronto.

L’analisi delle tendenze prodotte da Covid-19 ci suggerisce che nulla è scritto. Esistono, secondo il nostro sentire, tre scenari, tre progetti politici che possono compiersi.

Tutti si cimentano con le “disuguaglianze” – come evitarlo? – ma lo fanno con obiettivi radicalmente diversi.

Prima opzione, riprendere la strada correggendo le “imperfezioni”: l’obiettivo è tornare alla “normalità” pre-Covid-19 compensandone meglio le disuguaglianze, ma affidandosi agli stessi principi e dispositivi che le hanno prodotte, presentando la “digitalizzazione” come un processo univoco di progresso, promettendo “semplificazioni” e inibendo l’esercizio di discrezionalità da parte degli amministratori pubblici nell’assunzione delle decisioni, favorendo i rentier rispetto agli imprenditori, mortificando partecipazione strategica di lavoro e società civile, e scaricando su quest’ultima e sulla famiglia ogni ruolo di mediazione sociale.

Seconda opzione, accelerare la dinamica autoritaria in atto prima della crisi: l’ulteriore impoverimento, la rabbia e l’ansia per il domani vengono alleviate offrendo barriere che promettono una rassicurante “purezza identitaria”, nemici da sconfiggere (migranti, stranieri, diversi, esperti), uno Stato accentrato e accentratore pronto a prendere rapide decisioni e a sanzionare comportamenti devianti, senza la pretesa di un pubblico confronto.

Terza opzione, cambiare rotta verso un futuro di emancipazione sociale: gli equilibri di potere e i dispositivi che riproducono le disuguaglianze vengono modificati, orientando il cambiamento tecnologico digitale, offrendo uno spazio di confronto acceso e informato al mondo del lavoro, alla società civile e a ogni persona che vive sulla nostra terra, legando welfare e sviluppo economico e realizzando un salto di qualità delle amministrazioni pubbliche.

Affinché l’opzione della giustizia sociale e ambientale possa sfidare con successo le altre due opzioni, servono tre requisiti: una visione del futuro che parli ai sentimenti; proposte operative con obiettivi verificabili; una mobilitazione organizzata. Sono tre requisiti che proviamo a sperimentare nel lavoro che portiamo avanti anche in queste settimane e che discutiamo in profondità nel volume “Un futuro più giusto. Rabbia, conflitto e giustizia sociale”, che uscirà il 28 maggio per il Mulino.

Se non ora quando?

Bisogna partire già da queste settimane, e nel testo trovate sette azioni da fare. E poi occorre uscire dalla congiuntura, guardare lungo. Cinque sono gli obiettivi strategici su cui stiamo lavorando. Primo: dobbiamo accrescere l’accesso alla conoscenza, per rimettere in moto creatività, mobilità sociale e innovazione, e per farlo dobbiamo giocarci i presidi pubblici forti che abbiamo, quali università, scuola, imprese pubbliche, gestione pubblica delle risorse digitali. Secondo: dobbiamo rendere pagante la nuova domanda di servizi e beni fondamentali per dar vita a buoni lavori nella cura delle persone, nell’educazione, nella casa, nella cultura, nella mobilità, nella filiera agro-silvo-pastorale e alimentare, nell’energia, nel turismo, investendo tutte le aree marginalizzate con strategie partecipate, territorio per territorio. Terzo: dobbiamo attuare misure immediate per dare al lavoro dignità, tutela e partecipazione strategica. Quarto: dobbiamo aggredire la crisi generazionale, accrescendo il potere dei giovani, non solo sul fronte educativo, ma anche in termini di ricchezza su cui possano contare nel passaggio all’età adulta e di abbattimento degli ostacoli nell’accesso a ruoli chiave nei processi decisionali. Quinto: dobbiamo realizzare una “rivoluzione operativa” nelle pubbliche amministrazioni che colga l’entrata di cinquecentomila nuovi giovani come un momento di rinnovamento generazionale e di metodo.

Nulla è scritto. Gli shock mettono in moto processi che ampliano gli spazi del possibile che non sono più gli stessi del mondo di prima.

Possiamo scegliere di attraversarlo trascinandoci dietro le carcasse del nostro odio, dei nostri pregiudizi, l’avidità, le nostre banche dati, le nostre vecchie idee, i nostri fiumi morti e cieli fumosi. Oppure possiamo attraversarlo con un bagaglio più leggero, pronti a immaginare un mondo diverso. E a lottare per averlo. (Arundhati Roy)