Fratello solo Intervista a monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes: «I governi non l’hanno mai ascoltato, e a volte lo hanno criticato apertamente»
La visita nel 2013 di Papa Francesco a Lampedusa foto Alessandra Tarantino – Ap
Monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara e presidente della Fondazione Migrantes della Cei. Dal primo viaggio a Lampedusa fino agli ultimi giorni di Pontificato. Quanto ha pesato nel magistero di Papa Francesco il tema dei migranti?
È stato uno dei temi che ha costituito una sorta di leit motiv che ha attraversato tutto il pontificato, fino all’ultimo messaggio urbi et orbi del giorno di Pasqua. Contro una cultura politica che esaltava i muri, i respingimenti, in forme che disprezzano anche la dignità umana, Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium del 2013, quasi un programma che ha consegnato alla Chiesa italiana nel Convegno ecclesiale di Firenze del 2015, ha ricordato che «Ogni straniero che bussa alla nostra porta è un’occasione per un incontro con Gesù Cristo» e nell’enciclica Fratelli tutti del 2020 ha parlato dei migranti come una «benedizione». Ha avuto anche il coraggio nel suo discorso al Parlamento europeo nel 2014 di affermare che «non si può tollerare che il Mediterraneo diventi un grande cimitero», come purtroppo è stato in questi dieci anni con oltre 20.000 morti che interpellano la coscienza di tutti.
Qual è l’eredità su questo tema da cui la Chiesa non potrà più prescindere?
Anzitutto il richiamo al passaggio del discorso della Montagna di Gesù: «Ero forestiero e mi avete ospitato», da cui nacque l’appello di Papa Francesco a tutte le parrocchie e istituti religiosi e monasteri ad accogliere almeno una famiglia di migranti o rifugiati. Le sue parole a Lampedusa nel primo viaggio apostolico del 2013, in cui ha ripetuto, con le parole di Dio a Caino «Dov’è tuo fratello?», la domanda a ciascuno di noi di accogliere il migrante come un fratello. I due viaggi a Lesbo nel 2016 prima e nel 2021 poi, dove di fronte a quei volti sofferenti, a quelle persone in fuga trattenute nei centri ha parlato di «naufragio di civiltà». E poi quattro parole, quattro verbi ripetuti più volte che mettono in crisi il nostro stile e modello di accoglienza: accogliere, proteggere, promuovere, includere. Un percorso chiaramente indicato dall’accoglienza alla cittadinanza ancora da costruire.
Come il suo messaggio ha influenzato l’opinione pubblica italiana e mondiale?
Certamente ha scosso le coscienze rette, ha provocato governi, politiche economiche e sociali. Penso ai dieci punti della lettera ai vescovi statunitensi, dopo i tagli alle risorse del governo Trump all’accoglienza dei rifugiati, del febbraio scorso, dove Papa Francesco richiamava che «uno Stato di diritto autentico si dimostra proprio nel trattamento dignitoso che tutte le persone meritano, specialmente quelle più povere ed emarginate». Purtroppo, l’opinione pubblica è divisa ancora a metà, anche in Italia, tra chi vorrebbe chiudere e chi aprire ai migranti, forse influenzata anche da una narrazione falsa sul fenomeno migratorio. Occorre continuare a ripetere il magistero di Papa Francesco sui migranti, che ha saputo leggere con verità, profezia e realismo il fenomeno migratorio. Il Giubileo che viviamo è un tempo per rilanciare e non disperdere questo messaggio.
C’è stata l’attenzione dovuta da parte dei governanti? Oppure questo messaggio è stato ignorato o contrastato?
Se guardiamo agli atti dei diversi governi, dagli Stati Uniti all’Europa all’Australia, vediamo che le politiche sono andate nella direzione opposta alle parole del Pontefice, con critiche manifeste nei suoi confronti o silenzi indifferenti. Ma ci sono parole che seminano in profondità e i frutti si vedono nel tempo.
Tra chi ha criticato gli appelli del Papa all’accoglienza c’è chi ha utilizzato il tema del rischio di de-cristianizzazione dell’Europa se arriveranno molti immigrati di religione islamica. Cosa ne pensa?
Una strumentalizzazione della religione, da parte di chi spesso non pratica la fede, che non corrisponde alla realtà dei fatti. Altri sono i fattori di de-cristianizzazione dell’Europa. Anzi, l’incontro tra l’esperienza religiosa cristiana e quella islamica ha prodotto sotto il Pontificato di Papa Francesco un nuovo dialogo con l’islam, di cui la dichiarazione di Abu Dabi è solo un segno, e un lavoro comune anche nelle Chiese locali su temi come la pace, la giustizia, la salvaguardia del creato, la promozione della donna.
Che tipo di cattolico è quello che invita ad alzare muri verso chi fugge da guerra e fame?
Lo ha ripetuto più volte il Papa: deve rivedere la sua fede alla luce del Vangelo e fare un salto di umanità nelle sue scelte morali.