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Su Repubblica del 29 novembre è stato pubblicato un importante articolo di Laura Pennacchi.

Si può leggere anche sul sito “Vincitori e vinti”. Da lei arrivano sempre contributi di alto livello. Anche questo non delude.

In questo caso, sento il bisogno di esternare alcune valutazioni.

Pennacchi, a un certo punto, in sostanza afferma che la sinistra e il PD devono porsi alcune domande, che lei elenca chiaramente: Il Pd e la sinistra tutta debbono chiedersi: perché i processi di svalutazione del lavoro sono stati così poco contrastati anche sul piano teorico e culturale? Perché ci si è attardati nella puerile esaltazione della “fine del lavoro”? …… Perché, anche a sinistra, si è stati così frettolosi nell’archiviare il Novecento, “secolo del lavoro” e a tacciare la Costituzione italiana di “lavorismo” novecentesco? Perché non si è riusciti a intercettare la “mobilitazione del risentimento” operata dai populismi e si è lasciato spazio alla capacità di un seduttivo “populismo di destra” di “rubare” temi propri della sinistra?

Poi aggiunge che “La sinistra e il PD possono rispondere a queste domande soltanto se si danno una più perspicua rappresentazione di ciò che ha rappresentato l’avvento del neoliberismo e della globalizzazione sregolata e iniqua, facendo fino in fondo i conti con essi.”

Ebbene, secondo me, questa operazione non può essere fatta dai “capitani” delle numerose occasioni perse e dalle altrettanto numerose sconfitte. Questi vanno superati, come le strutture partitiche da loro costruite. Strutture da superare o da trasformare radicalmente. E’ necessario, perché gran parte di quel personale politico è impregnato di cultura liberista, conseguentemente convinto che il “riformismo è equivalente di moderatismo.” C’è una parte, minoritaria e finora ininfluente, estranea al liberismo. Vedremo cosa saprà fare.

Poi ci sono i ”pragmatici”, i praticoni, estranei ad ogni linea di pensiero ideale e politico.

Voi non so. Io ne conosco uno. Questo ha rilanciato la sua corsa verso l’alto, cominciando a curare meglio la sua barba e a farsi disegnare gli occhiali da uno stilista, nel frattempo operando per conto dell’ENI, lasciando mangiare il territorio dal cemento, favorendo la privatizzazione della sanità, aderendo al progetto di autonomia differenziata, la quale ci porterà alla trasformazione della nostra Repubblica, “una e indivisibile”, ad uno spezzatino di repubblichette.

In giro, da qualche parte, ci sono anche i segretari di piccoli partitini. Questi partitini non si capisce se sono nati per creare un segretario, oppure se sono stati fatti da aspiranti segretari.

E’ necessaria una rivoluzione culturale e poi politica, che si fondi sulla necessità di imbrigliare lo strapotere del “finanzcapitalismo”, con la politica e le istituzioni pubbliche a tutti i livelli, fino a quello globale. Che assuma l’obbiettivo di una radicale lotta alle disuguaglianze, non quindi nei limiti di uno smussamento degli eccessi, mirando al centro delle sue cause, e perciò vivendo dall’interno il conflitto di classe (non dimentichiamo che i nostri antagonisti hanno dichiarato che la guerra di classe l’hanno vinta loro), avendo presente che dentro il conflitto generale, sono presenti molteplici e multilaterali conflitti da non ignorare.

Da li possono emergere i protagonisti della necessaria rivoluzione culturale, dalla quale può nascere la sinistra politica. Protagonisti meritevoli e capaci di salire sulle spalle dei giganti della nostra storia, perché ne hanno assimilato la lezione e perché si abbeverano alle fonti dei grandi intellettuali progressisti dei tempi moderni. Per esempio: Bobbio, Amartya K. Sen, Anthony B. Atkinson, Noam Chomsky, Tony Judt, Thomas Piketty, Mariana Mazzucato.

 

Rino Gennari