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CRISI CLIMATICA. Siamo sul crinale di un cambiamento d’epoca che modificherà - e ha già iniziato a modificare - rapporti di forza tra Paesi, aggregati industriali, settori economici

Combustibili fossili, si gioca a carte scoperte Un'azione di Extinction Rebellion a Monaco - Ap

Lo “scoop” della Bbc e del Centre for climate reporting, che ha rivelato l’intenzione della presidenza degli Emirati Arabi di usare la Cop28, dà il senso del conflitto perenne tra il fronte fossile e chi spera in un vero negoziato per contrastare la crisi climatica.

Papa Francesco, nella recente Laudate Deum, ha sottolineato come, accanto agli investimenti in rinnovabili, ci sono progetti di espansione petrolifera e del gas proprio negli Emirati. Mentre lo scorso giugno il Guardian ha denunciato lo scandalo dell’azienda petrolifera di stato degli Emirati chenon solo ha potuto leggere le e-mail da e verso l’ufficio del vertice sul clima della Cop28, ma è stata anche consultata su come rispondere alle domande dei media. Almeno possiamo dire che si gioca, più di prima, a carte scoperte.

Persino l’International Energy Agency nell’ultimo rapporto dice che le aziende petrolifere che vogliano rispettare gli obiettivi climatici devono anzitutto fermare l’espansione della produzione di petrolio e gas. Non esattamente come i piani industriali di Eni che espanderà la produzione e le conseguenti emissioni di gas serra, mentre minaccia cause di diffamazione contro chi attacca questa politica anticlimatica come Greenpeace e ReCommon.

Se sul tavolo negoziale a Dubai c’è la proposta di triplicare le rinnovabili, cosa positiva, l’obiettivo di fissare una strategia di uscita dalle fossili è fortemente contrastato da chi vende petrolio, gas e carbone. Ma questo è un obiettivo indispensabile per una via d’uscita dalla crisi climatica.

I colloqui negli Emirati Arabi Uniti chiudono un anno in cui gli scienziati del clima di tutto il mondo hanno stabilito in modo inequivocabile la necessità di tagli alle emissioni drastici e immediati per limitare il riscaldamento a 1,5 ºC e i modi per arrivarci. Ma la “resistenza fossile” – che ha sempre operato – ora sta facendo di tutto, e alla luce del sole, per rallentare il processo di transizione che, pur tra mille ostacoli, procede ma troppo lentamente.

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Siamo sul crinale di un cambiamento d’epoca che modificherà – e ha già iniziato a modificare – rapporti di forza tra Paesi, aggregati industriali, settori economici. In questa fase di passaggio il settore del petrolio e del gas – dominato dai paesi produttori che detengono gran parte delle risorse, e dalle oil majors che detengono capacità tecnologica e una fetta di mercato – è in grande difficoltà: solo una fetta minima delle rinnovabili è controllata dai grandi attori petroliferi.

E questo perché il settore delle rinnovabili è caratterizzato da un modello economico agli antipodi: milioni di impianti piccoli e medi, migliaia di impianti a scala industriale costruiti e gestiti da moltissime aziende di ogni tipo. La Cina è in vantaggio perché ha iniziato a industrializzare in modo massivo per prima. Ed è questo un aspetto che viene usato contro la transizione, ma non si capisce perché, invece, per tanti altri settori come l’elettronica e la telefonia, questo argomento non venga usato. Per fortuna sulla questione climatica il dialogo Usa-Cina è ancora attivo.

Oltre a triplicare le rinnovabili, ci vuole un impegno a porre fine all’espansione di nuovi combustibili fossili da subito e una strategia di progressiva eliminazione. Questa dev’essere rapida, equa e completa con una tabella di marcia e chiari meccanismi di responsabilità, finanziamenti da attuare attraverso i piani nazionali.

L’altro aspetto rilevantissimo riguarda la definizione di un pacchetto finanziario credibile che sia commisurato alle esigenze del mondo reale, e che includa il lancio operativo di un nuovo Fondo per le perdite e i danni: chi ha maggiori responsabilità storiche per le emissioni di gas serra deve pagare le distruzioni e i danni che ha causato con la crisi climatica. Vedremo che ruolo giocherà il governo italiano, finora tutto sbilanciato col “Piano Mattei” sul versante fossile.

*direttore Greenpeace Italia