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 Ospedale, il Piano dell’Ausl non convince

I contenuti del documento dell’Azienda Usl Romagna “Linee di indirizzo per la riorganizzazione ospedaliera” – redatto il 12 dicembre scorso e approvato dalla Ctss (Conferenza territoriale sociale e sanitaria) il 9 gennaio – restano un mistero. I vertici dell’Usl intendono renderli pubblici solo dopo la loro validazione da parte della Regione, ovvero quando non sussisterebbero più margini per ulteriori modifiche.

Se a Faenza questi contenuti sono noti in un ambito ristretto è grazie all’interpellanza presentata in Consiglio comunale da Edward “Eddy” Necki, consigliere de L’Altra Faenza. Non sappiamo se ciò sia avvenuto in altre città.

Sosteniamo da tempo che su una materia importante come questa è invece doveroso procedere con la massima trasparenza e con il coinvolgimento delle comunità interessate. E’ questo, d’altra parte, il significato di due OdG votati all’unanimità a Palazzo Manfredi.

Una lettura attenta del documento e il confronto fra quanto esso prevede a proposito dell’ospedale di Faenza, la situazione in essere e i bisogni di un territorio comprendente zone collinari e montane penalizzate per distanze, tempi di percorrenza e condizioni socio-economiche, evidenzia fondati motivi di preoccupazione.

1 – Posti letto: Si afferma che attraverso tagli, trasformazioni in day surgery e redistribuzioni, in provincia di Ravenna essi si attesteranno sul parametro di 3,92 per mille abitanti; i tagli previsti, non quantificati, potrebbero essere principalmente a carico degli ospedali di Faenza e di Lugo.

2 – Area assistenza alla donna e al bambino: Per Faenza e Lugo sono previste Unità operative semplici (Uos) pur registrando assieme oltre 1.300 parti (il dato è riferito presumibilmente al 2015) e pur avendo a riferimento un bacino d’utenza di oltre 200mila persone, ovvero requisiti che secondo il decreto Balduzzi 70/2015 richiedono un’Unità operativa complessa, come del resto il Piano prevede per Ravenna e Forlì; nulla si dice a proposito dei parti in emergenza dirottati su Ravenna e dei rischi che ciò comporta proprio in ragione di distanze e tempi di trasporto.

3 – Pediatria: Il documento si limita alla conferma di quattro Unità operative complesse (Ravenna, Forlì, Cesena e Rimini). Per Faenza il capitolo non prevde nulla di preciso. Il ripristino dal 1º marzo scorso del servizio di guardia medica pediatrica anche di notte, importante quanto necessario, sa molto di precario.

4 – Breast unit (senologia multidisciplinare): Pur essendo Faenza e Lugo gli ospedali in cui viene eseguito il maggior numero di interventi in ambito provinciale, pare di capire che il polo chirurgico si sposti a Ravenna; lo confermerebbe il mancato avvio delle procedure per la sostituzione a Faenza del chirurgo prossimo al pensionamento.

5 – Medicina interna e specialistiche: Per Faenza è prevista la presenza di un’Unità complessa per epatologia, allergologia e geriatria; non si capisce invece se per pneumologia, nefrologia, malattie infettive e neurologia resterà in funzione almeno un’attività ambulatoriale.

6 – Gastroenterologia: Sono previste Unità operative complesse a Ravenna, Forlì e Rimini, più una semplice a Cesena; sparisce invece Faenza dove l’endoscopia digestiva è ora presente 12 ore al giorno.

8 – Dermatologia: Il Piano prevede la presenza di Unità operative complesse a Ravenna e a Rimini, nulla si dice per Faenza e Lugo.

9 – Resta nel vago il futuro della diagnostica strumentale: radiologia, Tac, risonanza magnetica ed ecografia (la loro diffusione capillare sul territorio pare risolversi nella telemedicina). Non è chiaro se la radioterapia sia destinata a sparire da Ravenna per essere concentrata a Rimini. Incerta infine la sorte, stando a quanto si evince dal documento, del servizio trasfusionale e della raccolta di prossimità del sangue.

Infine, pur prevedendo momenti di integrazione fra Faenza e Lugo per ambiti specifici, il Piano non fa alcun riferimento ai parametri previsti dal decreto Balduzzi per gli ospedali di 1º livello. Insistiamo su questo aspetto essenziale perché costituirebbe un fattore di certezza fra tante incertezze.

Restano inoltre irrisolti i problemi dovuti alla carenza di personale di ogni ordine e grado, col conseguente sovraccarico di lavoro per gli attuali organici.

Ci pare che tutti questi elementi suggeriscano la necessità di tenere alta l’attenzione, di non considerare chiusa la partita. Di sanità e di assetto del nostro ospedale si deve continuare a discutere alla luce del sole.

 

Faenza, marzo 2017

L’Altra Faenza

 

Lettera aperta al Sindaco Giovanni Malpezzi

Perché L’Altra Faenza ha votato

contro il Regolamento per gli incentivi alle imprese

 

Signor Sindaco,

 

abbiamo ascoltato la sua replica in Consiglio comunale e letto le sue dichiarazioni alla stampa a proposito di sviluppo economico e in particolare del Regolamento sugli incentivi alle imprese, sul quale abbiamo votato contro.

E' opportuno ribadire in termini chiari le ragioni del nostro “no”, a lei se vorrà intenderle, ma sopratutto ai faentini.

L’Altra Faenza continua a pensare che il lavoro non si crei con gli incentivi fiscali: quelli erogati col Jobs act sono costati tantissimo e hanno prodotto risultati risibili (con l'aggravante dei tagli ai diritti del lavoro, vedi Art.18).

A Faenza la logica che si vuole perseguire è la stessa. Pensiamo che essa produrrà anche qui scarsi risultati, sia per alcune criticità contenute nel Regolamento stesso (potrebbe favorire le imprese maggiori a danno delle piccole, considera equivalenti contratti a tempo indeterminato e da apprendista, ecc.), ma soprattutto perché non orienta l'innovazione e la qualità dello sviluppo, limitandosi a distribuire modesti aiuti a pioggia sull’esistente.

 

Tuttavia, noi non siamo mai stati per il “tanto peggio tanto meglio”, per cui ci auguriamo che tanti nuovi posti di lavoro, stabili e di qualità, si creino a Faenza. Li conteremo nei prossimi mesi assieme alle organizzazioni imprenditoriali e ai sindacati (rispetto ai quali non c'è mai stata da parte nostra nessuna denigrazione) e assieme a chi la “seguirà nella prossima campagna elettorale” (a proposito, è l'annuncio di sua ulteriore ricandidatura?).

Leggiamo che lei avrebbe affermato: "Lavorare per favorire lo sviluppo economico di un territorio significa mettere le imprese in condizioni di crescere e assumere. Questo in futuro sarà possibile seguendo tre direttrici: alleggerimento della pressione burocratica e fiscale sulle piccole e medie imprese, crescita dell'innovazione e sostegno alla cultura d'impresa".

Immaginiamo che il primo intendimento si sia concretizzato nel “Regolamento per gli incentivi” che, lei sostiene, “rappresenta una delle azioni principali del Patto per lo Sviluppo sottoscritto a fine gennaio”. Vorremo sapere in cosa consiste il secondo, ossia la crescita dell'innovazione. Non le chiediamo cosa significa per lei sostegno alla cultura d'impresa: ci è bastato leggere quanto sta scritto nel documento-base per la Conferenza economica, laddove si auspica una città “come organizzazione imprenditoriale il cui output è la creazione d’impresa”.

 

Noi invece ci battiamo per una città inclusiva e solidale, capace di mobilitare tutte le sue energie per uno sviluppo sostenibile e necessariamente innovativo. Non ci è stato concesso – così come ad altri – di avanzare nostre proposte, di portare un contributo al confronto, di misurare le nostre idee con quelle di altri. Cosa avremmo voluto proporre l’abbiamo riassunto in un recente comunicato:

Si può sostenere l’intraprendenza dei giovani attraverso l’istituzione di una linea di credito che coinvolga il sistema bancario. Possono essere incentivati interventi di efficientamento energetico degli edifici, per lo smaltimento dell’amianto, per la messa a norma degli impianti, per il miglioramento delle condizioni abitative. Si dovrebbe dare applicazione al Piano di Azione per l’Energia sostenibile (Paes) deliberato due anni fa e di fatto non ancora partito. Si possono compiere scelte a sostegno dell’economia circolare, per la riduzione degli sprechi e dei rifiuti. Si può aprire uno sportello in grado di fornire ai cittadini informazioni, suggerimenti e supporto per l’attivazione di pratiche virtuose e tali da consentire risparmi”.

Alcune di queste cose trovano qualche parziale riscontro nel Patto per lo sviluppo, ma abbiamo l'impressione che non si vogliano mettere in pratica. É così?

Facciamo un solo esempio: alcune delle cose sopra richiamate sono già previste, o possono essere inserite, nelle azioni del Piano di Azione per l'Energia Sostenibile (Paes), ma perché queste azioni non partono?

Per tutto il 2016 ci è stato risposto che manca un ufficio apposito e che serve un Energy manager.

Nel corso di un convegno sulla “sostenibilità ambientale” tenutosi nel gennaio scorso alla presenza del ministro Galletti e del presidente della Regione Bonaccini, lei Sig. Sindaco ha fatto un'ottima figura annunciando, tra le prossime assunzioni, anche quelle di un Energy manager e di un Mobility manager.

In seguito ha poi sostenuto che, almeno per quanto riguarda l'esperto di energia, non se ne fa niente. Per quale motivo? Mancano le risorse per retribuirlo?

Ciò significa che l'avvio delle azioni del Paes sarà ancora rimandato? Leggendo le schede inserite nel Documento Unico di Programmazione, allegato al Bilancio di prossima approvazione, pare di sì, vista la fumosità con la quale se ne parla.

 

Gradiremmo avere delle risposte precise, da lei e dalla maggioranza che la sostiene. Anche per capire se si intende dar seguito alle dichiarazioni del nuovo gruppo consigliare di Mdp. Ci riferiamo all’appello rivolto al Pd, alle forze di maggioranza e anche a quelle di opposizione, per “riprendere un lavoro comune di elaborazione per politiche che creino buona occupazione”.

Noi siamo disponibili.

Restiamo in attesa di qualche risposta.

 

L’Altra Faenza

 

 

L’Anpi ricorda Francesco Renzini

 

In questi giorni abbiamo appreso una triste e dolorosa notizia: si è spento Francesco Renzini, partigiano del Gruppo Corbari. Era nato il 12 febbraio del 1922 a Santa Maria in Castello tra Tredozio e Portico di Romagna da una famiglia poverissima e fieramente antifascista. Suo padre Edgardo, consigliere comunale a Tredozio eletto nelle 1921 nelle fine del partito comunista, fu costretto a trasferirsi a Faenza per evitare le continue persecuzioni da parte dei fascisti quando Francesco aveva appena quattro anni.

Anche a Faenza fu perseguitato e addirittura incarcerato. Francesco, di fronte alle difficoltà economiche in cui venne a trovarsi la famiglia, ritornò a vivere dai nonni a Tredozio dove frequentò la scuola. A tredici anni la famiglia si ricompose nuovamente a Faenza e Francesco iniziò a lavorare come garzone nelle case mezzadrili. Riuscì quindi a farsi assumere come apprendista dall’ebanisteria Casalini dove imparò il mestiere di falegname che avrebbe svolto per tutta la vita.

Dopo l’8 settembre, per sfuggire al reclutamento imposto dalla Repubblica Sociale, Francesco si nascose tra i monti di Tredozio, che ben conosceva e dopo qualche mese incontrò Silvio Corbari e Aldo Celli, che proprio in quel periodo stavano organizzando il primo nucleo di partigiani.  Le Brigate Nere intanto avevano arrestato sua madre per ricattarlo e Francesco, per farla uscire dal carcere, si consegnò ai “repubblichini”, che ovviamente lo arruolarono, ma durante un trasferimento verso il nord, insieme ad altri giovani, riuscì a fuggire e a ritornare nel tredoziese, negli stessi giorni della cattura e della fucilazione di Aldo Celli.

Nei primi mesi del 1944, come tanti altri partigiani, si aggregò all’8.a Brigata Garibaldi nella zona del Monte Falterona, dove rimase fino al mese di aprile, quando sotto un durissimo attacco tedesco le formazioni partigiane subirono molte perdite e in parte furono disperse. Francesco con altri partigiani del faentino rientrò sui nostri monti riunendosi al gruppo di Silvio Corbari. Nei mesi successivi partecipò a molte azioni guidate da Corbari, tra le quali il famoso aviolancio di armi da parte degli inglesi sul Monte Lavane. Dopo la morte di Corbari, Casadei, Spazzoli e Iris Versari, il gruppo si trasformò in Battaglione e continuò l’attività partigiana sotto la guida di Romeo, fratello di Silvio.

Francesco partecipò alle fasi finali della Liberazione, prima a Brisighella dove svolse anche per alcune settimane il compito di Polizia partigiana e poi a Faenza, entrandovi lo stesso giorno delle truppe alleate. Anche qui, insieme a molti altri partigiani, partecipò alla gestione dei servizi essenziali per fronteggiare l’emergenza del dopo-guerra. Infine, si arruolò volontario nelle ricostituite formazioni partigiane, nella Compagnia “Falco” con il ruolo di vice-comandante,  che affiancarono il rinato esercito italiano e le truppe alleate fino alla fine della guerra,  e il 20 maggio 1945 sfilò a Ravenna nel giorno della smobilitazione della 28.ma Brigata Garibaldi.  

Francesco Renzini tonò al suo lavoro di artigiano ebanista e nel 1947 ricevette la Croce di Guerra al merito in quanto partigiano combattente. Alcuni anni fa pubblicò il Diario degli anni della Resistenza, straordinaria testimonianza di una scelta di vita che rimane di grande esempio per le nuove generazioni. Noi lo ricordiamo sempre presente alle manifestazioni di Cà Cornio, del Monte Lavane, di Crespino  e della Liberazione di Faenza. 

Lo immaginiamo a Cà Malanca seduto dietro ad un tavolo pieno di libri dedicati alla Resistenza, intento a suggerire ai più giovani di non dimenticare coloro che si sono sacrificati per la nostra democrazia. L’Anpi di Faenza si associa al dolore della famiglia Renzini, con l’impegno di mantenere viva la passione di Francesco nel trasmettere la memoria della lotta di Liberazione alle nuove generazioni.

SEZIONE ANPI FAENZA

 

 

 

 

 Il testo dell’interpellanza presentata in Consiglio comunale da Edward “Eddy” Necki, consigliere de L’Altra Faenza

La condizione di dissesto in cui sono ridotte tante strade del territorio comunale è sempre più causa di pericolo, di disagi, di rumori fastidiosi, di danni alle automobili e agli altri mezzi coi quali Le persone si muovono. Ed è, come tutti sanno, oggetto di commenti che vanno dal sarcastico all’irritazione.

Gli interventi di manutenzione che riguardano piccole porzioni di asfalto – e ancora di più le toppe che si moltiplicano e si stratificano – non risolvono per nulla il problema. Anzi, in certi casi lo accrescono rendendo ancor più accidentata la circolazione. Sono in molti a ritenere che così facendo si spenda male il denaro pubblico e che quando finalmente si deciderà di procedere al rifacimento del manto stradale i costi risulteranno ancor maggiori.

Altrettanto dissestati sono i marciapiedi, soprattutto nelle strade della periferia. Irregolarità, buche e ostacoli costituiscono “barriere” per anziani, carrozzine e disabili e limitano il diritto alla mobilità in condizioni di sicurezza.

Sappiamo di cadute ed incidenti, causati proprio da questo stato di cose, che hanno coinvolto numerose persone.

E’ vero che i danni vengono indennizzati dalla Compagnia assicuratrice (l’austriaca Uniqa) con la quale il Comune di Faenza ha sottoscritto un contratto apposito. Ed è vero, stando alle notizie delle quali disponiamo, che solo in pochi casi il contenzioso si trasforma in cause giudiziali.

Ma questo non assolve nessuno. Non si deve infatti dimenticare che cadute e incidenti, oltre ai danni materiali, provocano ferite, sofferenze, difficoltà in ambito familiare, lavorativo e relazionale.

A nome de L’Altra Faenza chiedo di conoscere nel dettaglio:

  1. il numero degli incidenti imputabili alla condizione delle strade verificatisi dall’insediamento dell’attuale Giunta ad oggi;

  2. se risulta al Comune che le persone vittime di tali incidenti siano state indennizzate con soddisfazione;

  3. se sono attualmente pendenti vertenze legali dovute a queste problematiche.

Chiedo inoltre di sapere se l’Amministrazione ha predisposto un piano di interventi, con le relative tempistiche e i preventivi di spesa, per avviare a soluzione nel modo dovuto – e non con altre toppe – una questione che sta davvero assumendo carattere di emergenza. Si rende conto l’attuale Giunta della pesante eredità che rischia di consegnare a chi in futuro amministrerà Faenza?

 

 

 

Partita da presupposti sbagliati e gestita male – L’Altra Faenza l’ha affermato più volte sulla base di solide argomentazioni – la Conferenza economica sta producendo risultati a dir poco deludenti. L’ulteriore riprova sta nel Regolamento per l’erogazione di contributi “alle imprese che creino o incrementino l’occupazione”, presentato pochi giorni or sono e dichiarato non emendabile “perché redatto dai tecnici”.

Agli effetti pesantissimi sul sistema economico-produttivo, sull’occupazione e sul tenore di vita provocati da una crisi che si protrae ormai da nove anni, si doveva rispondere con l’idea di una Faenza inclusiva e solidale, capace di mobilitare tutte le sue energie per uno sviluppo sostenibile e necessariamente innovativo rispetto a vecchi modelli che sono in parte causa della crisi stessa.

Si è invece scelto di puntare ad “una città come organizzazione imprenditoriale il cui output è la creazione d’impresa”, si è scelto di escludere dal confronto – e quindi dalla possibilità di fornire utili contributi – i Consigli comunali, i gruppi politici di opposizione, le molte e importanti realtà associative che costituiscono una preziosa risorsa per Faenza. In una prima fase non sono stati coinvolti neppure gli altri Comuni della Romagna Faentina.

Il risultato, viste queste premesse, non poteva essere che di basso profilo, privo di progettualità e tale da non produrre i benefici possibili – date le condizioni della finanza pubblica stretta fra vincoli e ripetuti tagli da parte del governo centrale – per le famiglie e le imprese.

Ora, come si diceva, i contributi alle imprese. I meccanismi presi a riferimento per la loro erogazione (già sperimentati altrove con scarsissimi risultati) rischiano di favorire le imprese maggiori a danno di quelle piccole; non discriminano quelle che già hanno usufruito di altri incentivi; non puntano al lavoro stabile; pongono di fatto sullo stesso piano la buona occupazione con quella precaria (ad esempio un contratto a tempo determinato e uno da apprendista); non scelgono quali settori e quali attività sostenere.

In definitiva non creano nuove opportunità, non orientano lo sviluppo: si limitano a distribuire modesti aiuti a pioggia sull’esistente.

L’Altra Faenza ritiene che ben altro sia possibile e necessario fare. A partire dall’attivazione di un Osservatorio in grado di conoscere e monitorare le conseguenze della crisi (quante aziende sono scomparse, quanti i negozi chiusi, quanti i posti di lavoro persi, quanti i lavoratori in Cassa integrazione, quali i settori e le imprese più colpiti e quali stanno reggendo, ecc.).

Si può sostenere l’intraprendenza dei giovani attraverso l’istituzione di una linea di credito che coinvolga il sistema bancario. Possono essere incentivati interventi di efficientamento energetico degli edifici, per lo smaltimento dell’amianto, per la messa a norma degli impianti, per il miglioramento delle condizioni abitative. Si dovrebbe dare applicazione al Piano di Azione per l’Energia sostenibile (PAES) deliberato due anni fa e di fatto non ancora partito. Si possono compiere scelte a sostegno dell’economia circolare, per la riduzione degli sprechi e dei rifiuti. Si può aprire uno sportello in grado di fornire ai cittadini informazioni, suggerimenti e supporto per l’attivazione di pratiche virtuose e tali da consentire risparmi.

Si può… si sarebbe potuto. Ma è stata scelta la strada del mancato coinvolgimento, del decisionismo privo di spinta innovatrice e di attenzione per le tematiche sociali e ambientali.

Faenza, 11 marzo 2017

L’Altra Faenza

 

Pubblichiamo il comunicato di Federconsumatori della provincia di Ravenna contro la definitiva abolizione del mercato di maggior tutela per la fornitura di energia elettrica, segnalando anche la petizione on-line per il suo mantenimento, che invitiamo a firmare.

 

E' attualmente in discussione al Senato il Disegno di legge (DDL) di riforma del mercato e della concorrenza, presentato dall'ex ministra Guidi.
La Federconsumatori tuttavia ha più volte rilevato la presenza in questo DDL (che riguarda materie molto diverse) di alcune norme assai negative per i consumatori: nel 2018 sarà abolito il mercato di maggior tutela dell'energia. Chiariamo rapidamente di che cosa si tratta. I consumatori che non vogliono aderire al “libero mercato”, attualmente possono mantenere i contratti predisposti dall'Autorità garante dell'energia, che fissa il prezzo dell'energia elettrica e del gas metano. Nelle attuali condizioni, l'abolizione della “maggior tutela” non rappresenterebbe uno stimolo alla concorrenza, già esistente per i consumatori interessati, ma l'eliminazione di un utile strumento di garanzia per milioni di famiglie.
Non si può certo nascondere che il libero mercato dell'energia stia creando gravi problemi; anzitutto problemi di informazione degli utenti , continuamente perseguitati da call center che offrono contratti da concludere al telefono, senza poter prendere in visione preventivamente la documentazione scritta. Sono all'ordine del giorno contratti non voluti, o addirittura falsi, (anche con conseguenze penali), i call center non spiegano che gli sconti si applicano solo alla “quota energia” cioè al 45% della spesa per l'elettricità; la maggior parte delle offerte di libero mercato dell'energia sono più costose delle tariffe del mercato di maggior tutela. In altre parole, il prezzo di maggior tutela è un riferimento sia per i clienti, per comprendere la convenienza della altre offerte, sia per i gestori, che che devono tenerne conto per formulare offerte diverse; con l'abolizione della maggior tutela è logico quindi aspettarsi un aumento generalizzato dei prezzi.
Qual è la situazione in provincia di Ravenna? Solo due aziende energetiche hanno sportelli nella provincia: Hera, con una notevole diffusione degli sportelli, ed Enel, presente solo a Ravenna. Da anni Eni non ha più sportelli in provincia: il più vicino è a Piacenza. Quindi la maggioranza dei gestori si affida esclusivamente ai call center.
Per favorire il passaggio al mercato libero dell'elettricità, ora si offre ai consumatori un nuovo contratto, detto “tutela simile”: si offre ai consumatori la possibilità di passare per un anno al “libero mercato” mantenendo le condizioni economiche di maggior tutela, in cambio di un bonus applicato solo per il primo anno. Il bonus è assolutamente insufficiente: spetta solo per il primo anno e le proposte dei gestori sono assai differenziate e comunque basse. Per restare ai più diffusi, se ENI offre 106 euro, Hera scende ad 80, Edison a 55 e addirittura ENEL energia a soli 33 euro ed IREN a 12! Evidentemente i gestori aspettano invece che il DDL Guidi regali loro il mercato libero, senza spese. In realtà l'intento è di diffondere il “mercato libero” prima dell'emanazione della legge per forzare la mano al legislatore. I vincoli che impediscono la diffusione del libero mercato dell'elettricità sono assi diversi: anzitutto i costi elevati delle tariffe proposte; poi la scarsa chiarezza dei contratti; i ritardi nella comunicazione delle letture dei contatori da parte di Servizio elettrico nazionale agli altri gestori, che causano continui conguagli e impossibilità di comprendere i reali consumi; infine la lentezza delle procedure di cambio di gestore, che arrivano a tre o quattro mesi.
In questa caotica situazione, Federconsumatori, confermando il suo più fermo dissenso rispetto a questa proposta, darà assistenza e chiarimenti agli utenti come sempre.