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Palestina L’al-Awda è circondato dall’esercito, l’Indonesiano fuori uso, il Nasser senza strumenti. Tel Aviv spara su generatori e cisterne d’acqua. Medici costretti a decidere chi curare e chi no

L’ospedale al-Awda nel campo profughi di Nuseirat, nel nord di Gaza L’ospedale al-Awda nel campo profughi di Nuseirat, nel nord di Gaza – Apa /Belal Abu Amer

Il messaggio vocale che il dottor Mohammed Salha ha inviato alla Bbc dall’ospedale al-Awda a Gaza nord si interrompe all’improvviso. Sotto, si sente il suono sordo di una raffica di colpi.

Salha è il direttore dell’ospedale di nuovo sotto assedio totale israeliano. Nessuno può muoversi, né entrare né uscire, l’al-Awda è circondato. «C’è un quadricottero che spara intorno all’ospedale e nel cortile. Sentiamo il fuoco dei carri armati, ma è più lontano, a 400-500 metri». Il messaggio si interrompe. La stampa locale riporterà poi di spari contro le cisterne dell’acqua.

LA GUERRA APERTA delle autorità israeliane alla sanità di Gaza non si è mai acquietata, è parte di una strategia più ampia di distruzione del tessuto sociale e degli strumenti minimi di sopravvivenza.

Tareq Abu Azzoum, giornalista di al-Jazeera, racconta da Deir al Balah dei modi in cui dottori e infermieri tentano di tamponare la scarsità di strumentazioni. Riutilizzano quelle vecchie con il rischio altissimo di provocare infezioni a feriti già gravi. «L’ospedale Martiri di al-Aqsa è uno dei pochi ancora funzionanti – scrive – Combatte per restare aperto. I medici hanno iniziato a riutilizzare gli strumenti già usati per trattare ferite da schegge e ustioni. Sono esausti. Tantissimi feriti sono sdraiati nei corridoi, senza letti».

Al Nasser Hospital di Khan Younis – città sotto l’ennesimo ordine di evacuazione ordinato pochi giorni fa dall’esercito israeliano per concentrare i palestinesi sulla costa meridionale – i medici devono scegliere chi curare e chi no. «Una dei medici di terapia intensiva pediatrica mi ha chiesto cosa fare – dice Ahmed al-Farra, direttore del reparto di maternità del Nasser – Le ho detto di dare priorità a chi ha più chance di sopravvivere. Se qualcuno può farcela, cerchiamo di aiutarlo. Per gli altri, semplicemente, non possiamo fare niente».

Al-Farra racconta di un ospedale sovraffollato, soprattutto dopo che l’assedio israeliano al vicino European Hospital ha costretto a trasferire al Nasser i malati. Una guerra senza quartiere, un ospedale dopo l’altro. Quando uno degli istituti riesce a tornare parzialmente operativo, gli attacchi riprendono in un circolo disperante.

Diamo priorità a chi ha più chance di sopravvivere. Se qualcuno può farcela, cerchiamo di aiutarlo. Per gli altri non possiamo fare nienteAhmed al-Farra

IERI IL MINISTERO della sanità di Gaza ha denunciato i raid mirati contro i generatori degli ospedali per metterli fuori uso. «La situazione sanitaria nel nord è catastrofica dopo che

l’ospedale Indonesiano ha smesso di operare – ha detto il ministero – L’occupazione mira a distruggere i sistemi elettrici per far chiudere altri ospedali».

È a sud, nel governatorato di Khan Younis e nella mega tendopoli di al-Mawasi, che Emergency opera dall’agosto 2024. Eleonora Colpo è infermiera nella clinica di salute primaria di al-Qarara: «Offriamo medicina di base, salute riproduttiva, cure infermieristiche. Quello che offrirebbe un medico di base in Italia». La clinica segue pazienti con malattie croniche: ipertensione, pressione alta, diabete, infezioni della pelle. La scabbia è sempre più comune, ci dice, «a causa delle condizioni igienico-sanitarie in cui la popolazione è costretta a vivere».

Con gli ordini di evacuazione sganciati dall’esercito su mezza Gaza, il sud è di nuovo meta di sfollati: «La gente si sposta su carretti di fortuna e a piedi, con tutti i propri averi. Zone che prima erano vuote sono tornate a riempirsi di tende. Negli ultimi giorni i pazienti sono molto aumentati, 200-250 al giorno. E vediamo casi di malnutrizione. Il ministero della salute viene ogni martedì per somministrare i vaccini e con l’occasione fornisce anche integratori alimentari. Il numero di famiglie che li chiede cresce moltissimo: non riescono a garantire ai figli un’alimentazione adeguata».

Il numero di famiglie che chiede gli integratori alimentari è cresciuto moltissimo: non riescono a garantire ai figli un’alimentazione adeguataEleonora Colpo

LA FARINA è quasi scomparsa, racconta Colpo, si trova un po’ di riso, delle patate. La verdura fresca è rara, la carne è sparita, le uova sono scarsissime e hanno comunque prezzi inarrivabili. «Le fonti proteiche sono per lo più scatolame: ceci e fagioli. Come primo screening ai bambini fino a cinque anni misuriamo la circonferenza del braccio per valutare il livello di malnutrizione. Ne vediamo molti sottopeso. La malnutrizione è una sindrome, se si sviluppa nei bambini piccoli ha conseguenze sul futuro sviluppo. Recuperare dopo un periodo di malnutrizione è difficile».

«PROVIAMO ad andare avanti con ciò che abbiamo – continua Colpo – ma diventa ogni giorno più difficile curare patologie semplici. Richiederebbero un solo farmaco o un antibiotico ma non sono disponibili. La scabbia è un esempio: sarebbe facile da trattare con dei medicinali e lavando vestiti e lenzuola ad alte temperature. Ma non ci sono lavatrici, né mezzi per bollire l’acqua». Una bombola di gas costa centinaia di dollari, un chilo di legna – con cui si fa ben poco – quattro.

«Ho lavorato quattro anni in Afghanistan e uno in Ucraina, conosco i contesti di guerra ma qui è completamente diverso. Lì c’era comunque possibilità di movimento della popolazione, le merci arrivavano seppur con difficoltà. A Gaza le persone si spostano da un posto all’altro a seconda degli ordini di evacuazione, i valichi sono del tutto chiusi da undici settimane, l’area a disposizione dei civili si va restringendo sempre di più. Dopo due mesi ho visto colleghi smagriti. Non mi era mai successo, da nessun’altra parte».