Decisione storica della Corte costituzionale: sono madri entrambe le donne che in coppia scelgono di avere un figlio con la procreazione assistita. Si può fare solo all’estero e resta il divieto alle single, ma la legge può farlo cadere. Piegato l’accanimento omofobo del governo
Non ce n'è una sola Storica sentenza sulla procreazione assistita. Governo sconfessato. La Corte è intervenuta su un caso sollevato a Lucca. Cambia la legge 40, nulla la circolare di Piantedosi. Confermato, però, il divieto di procreazione assistita per le single.
Due madri abbracciano il figlio, indossando le magliette dell'associazione Famiglie Arcobaleno – Getty
Due sentenze consecutive della Corte costituzionale restituiscono un quadro in chiaroscuro sulla procreazione medicalmente assistita. Più chiaro che scuro, comunque, perché la sentenza numero 68 che dichiara incostituzionale il divieto per le madri non biologiche di riconoscere il proprio figlio pesa di più della sentenza numero 69, che proclama la «non manifesta irragionevolezza» di non consentire l’accesso alla pma da parte delle donne single.
NELLO SPECIFICO, la sentenza numero 68 va a guardare all’articolo 8 della legge 40 del 2004 e lo dichiara «costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita ( ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale». La pronuncia della Consulta nasce dalla questione di legittimità sollevata dal tribunale di Lucca sul caso di due mamme di una bambina di tre anni e uno di due: la prima riconosciuta, il secondo no, in quanto nato dopo la circolare del ministro dell’Interno Piantedosi che ne vietava proprio il riconoscimento. La Corte ha ritenuto che questo impedimento non garantisce il miglior interesse del minore e costituisce quindi violazione dell’articolo 2 della Costituzione (per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile), dell’articolo 3 (per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse di rango costituzionale) e dell’articolo 30 (perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli).
DUE I RILIEVI su cui si fonda questa decisione. La responsabilità che deriva dall’impegno comune che una coppia si assume nel momento in cui
decide di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita è tale che nessuno può sottrarsi ad esso. In secondo luogo si riconosce la centralità dell’interesse del minore che valgono sia nei confronti della madre biologica sia nei confronti di quella intenzionale. Conclude la Consulta che «dalla considerazione di questi fondamenti discende che il mancato riconoscimento fin dalla nascita dello stato di figlio di entrambi i genitori lede il diritto all’identità personale del minore e pregiudica sia l’effettività del suo diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni sia il suo diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale». Vuol dire, in pratica, che esistono anche famiglie con due madri.
LA SENTENZA numero 69, da parte sua, riguarda la legge che non consente alla donna single di accedere alla pma: «Non eccede la manifesta irragionevolezza», sostengono i giudici costituzionali. Qui lee questioni di legittimità costituzionale che erano state sollevate sull’articolo 5 della legge numero 40 del 2004, nella parte in cui non consente alla donna singola di accedere alla pma A questo proposito la Consulta ha ricordato che «la disciplina dell’accesso alla pma presenta rilevanti implicazioni bioetiche e incisivi riflessi sociali sui rapporti interpersonali e familiari» e così «essa è rimessa, in linea di principio, alla discrezionalità del legislatore, con l’unico limite della manifesta irragionevolezza e sproporzione alla luce del complesso degli interessi coinvolti». Non sarebbe questo il caso, dunque. Secondo la Corte, nell’attuale assetto normativo, «non consentire alla donna di accedere da sola alla pma rinviene tuttora una giustificazione nel principio di precauzione a tutela dei futuri nati. È, infatti, nel loro interesse che il legislatore ha ritenuto di non avallare un progetto genitoriale che conduce al concepimento di un figlio in un contesto che, almeno a priori, esclude la figura del padre».
TUTTAVIA la Consulta non chiude qui la questione e sottolinea che «non sussistono ostacoli costituzionali a una eventuale estensione, da parte del legislatore, dell’accesso alla procreazione medicalmente assistita anche a nuclei familiari diversi da quelli attualmente indicati, e nello specifico alla famiglia monoparentale». È insomma una questione politica che potrebbe, o forse dovrebbe, smuovere il parlamento.