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Di fronte ai crimini I laburisti Starmer e Lammy sono due avvocati di spessore che coprendo Netanyhau hanno dato un contributo a delegittimare l’azione della giustizia penale internazionale

Il presidente francese Macron e il primo ministro Starmer a Londra foto Ap Il presidente francese Macron e il primo ministro Starmer a Londra – AP

La corrente sta cambiando? Nel giro di qualche giorno si sono moltiplicate la prese di distanza dal governo israeliano da parte di politici, giornalisti e intellettuali europei che finora avevano difeso le azioni di Netanyahu nonostante andassero chiaramente contro il diritto internazionale, la moralità e anche la semplice decenza. Qualcuno, in posizioni di governo, si è spinto fino al punto di annunciare sanzioni (piuttosto blande e selettive) e a fare intendere che altre iniziative potrebbero seguire se non ci fossero misure per alleviare le condizioni drammatiche in cui si trovano i civili palestinesi, e in primo luogo i bambini, che sono i più vulnerabili.

La vicinanza temporale di queste prese di posizione, in particolare quelle da parte di alcuni grandi giornali a diffusione internazionale, e poi di qualche leader politico di orientamento centrista (come Macron e Starmer) ha fatto pensare a un coordinamento. C’è stato persino chi ha ipotizzato una regia statunitense, che però sarebbe difficile da conciliare con l’atteggiamento ondivago di Trump, che non pare desideroso di cooperare in modo stabile con nessuno in Europa.

Una spiegazione più plausibile è che un qualche coordinamento ci sia stato tra alcuni governi europei, e che questo sia avvenuto ora proprio in reazione alle prese di posizione della stampa internazionale. Pubblicazioni di diverso orientamento (Guardian, Economist, Financial Times), che in questi mesi hanno spesso faticato a mantenere l’equilibrio su Gaza, hanno dato un segnale chiaro: «Siamo oltre il limite oltre il quale la difesa di Netanyahu rischia di provocare problemi di stabilità, pericolosi per governi che già faticano a trovarla per via di altri fattori, sia sociali sia economici».

La politica ne ha preso atto, e ha messo in moto un’operazione di riduzione del danno. Le misure prese è improbabile che siano efficaci nel breve periodo, e sono quindi irrilevanti per le migliaia di bambini che rischiano di morire di fame nel giro di giorni, non settimane o mesi, e quelle solo annunciate si possono sempre rivedere, o lasciare in stallo, sperando che l’opinione pubblica perda interesse per ciò che accade in Palestina.

Particolarmente stridenti sono state soprattutto le dichiarazioni di Starmer e di Lammy, due esponenti laburisti e, vale la pena di ricordarlo, due avvocati di spessore, che hanno dato un contributo considerevole alla delegittimazione dell’azione della giustizia penale internazionale. Entrambi avevano da mesi tutti gli elementi (e forse anche molti che non sono ancora a disposizione del pubblico) per rendersi conto che a Gaza si stavano commettendo crimini di guerra su una scala raramente vista nella storia recente dei paesi che si affacciano sul mediterraneo, e che alcune delle politiche attuate dal governo israeliano sono potenzialmente genocide (una valutazione su cui c’è ormai un consenso massiccio tra gli esperti). Eppure non hanno mosso un dito, e hanno pure assecondato le azioni di delegittimazione nei confronti dei critici del governo israeliano cui abbiamo assistito anche in tanti altri paesi, dagli Stati uniti alla Germania. Come hanno fatto notare gli esponenti più agguerriti dell’opposizione da sinistra al governo laburista, alcuni dei quali sono ex parlamentari del partito cacciati durante le purghe starmeriane, le sanzioni contro alcuni esponenti più radicali della destra israeliana sono poca cosa se il Regno unito continua a fornire armi e supporto tecnico all’azione dell’Idf. Un tema su cui Starmer non ha dato i chiarimenti richiesti in parlamento.

Anche se motivata dalla riduzione del danno, la svolta cui abbiamo assistito in queste ore potrebbe avere qualche aspetto positivo, ma solo se si trasformasse in decisioni operative e efficaci. Germania e Italia, per esempio, non si sono associate alle iniziative prese da altri governi, e questo non è buon segno.

La «svolta» potrebbe fallire anche perché il governo israeliano ha interesse a esasperare la situazione in modo da costringere i tiepidi dissidenti a riallinearsi. Questo potrebbe accadere in seguito a un’azione militare contro l’Iran, per esempio, oppure come conseguenza di un «incidente», come quello avvenuto ieri pomeriggio a Jenin, in Cisgiordania, quando militari israeliani hanno sparato dei colpi di avvertimento verso una delegazione di parlamentari europei. Se fatti del genere portassero a un’esasperazione delle tensioni interne, e quindi anche a disordini (come quelli ipotizzati – o auspicati? – da un ex parlamentare del Pd nei giorni scorsi) potrebbe esserci un riallineamento.

Dove non arriva la comunicazione, potrebbe arrivare la repressione, e ci sono politici «moderati» in Europa che non sembrano ostili a misure illiberali utilizzate contro opposizioni anche non violente, ma politicamente molto motivate, come quelle che durante tutti questi mesi hanno difeso caparbiamente i diritti dei palestinesi.