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SOLDI EUROPEI. Scaricabarile sui ritardi nei progetti per spendere i 220 miliardi. Ex premier furioso per gli attacchi. Schlein: hanno detto che erano pronti, non lo sono

 

Il segnale è eloquente e pessimo: intorno al Pnrr e ai suoi ritardi fioriscono solo accuse reciproche, oltre a un coro di sindaci e governatori che strepitano perché i soldi siano affidati a loro che saprebbero ben come spenderli. Ieri è stato il turno del primo cittadino di Roma Gualtieri: «Dateci 500 milioni e noi li mettiamo a terra entro giugno 2026». Repertorio.

Per l’opposizione è tutta colpa di questo governo incapace: «Hanno detto che erano pronti e pronti non sono», attacca Elly Schlein. L’addebito non è infondato: la governance articolata fra Chigi e il Mes funziona con dei limiti, i sistemi di controllo informatici sullo stato dei lavori dei vari ministeri devono ancora essere armonizzati, gli acconti del Mef alle aziende si limitano al 10% ed è poco. Però mettere all’indice un governo in carica da pochi mesi per vizi decennali è un bel po’ esagerato. Alcuni governanti se la prendono con l’esecutivo precedente, e anche qui qualcosa di vero c’è: i ritardi erano già certi nell’ultimo tratto del governo Draghi. Però finché è stato in carica quel governo non poteva che occuparsi della prima e di gran lunga più facile parte del Piano, le riforme, e quelle le ha completate in tempo. La premier, al telefono con un Draghi imbufalito per le accuse, se l’è presa con Bruxelles: per punire i sovranisti userebbe pesi e misure ben diversi da quelli che adoperava con Draghi. Al solito, non è solo retorica vittimista anche se il sovranismo c’entra fino a un certo punto. Il problema è che per comprensibili ragioni la Ue si fidava dell’ex presidente della Bce un migliaio di volte più di quanto si fidi del nuovo

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POLITICA. Le proposte di Sbilanciamoci!, Cgil Piemonte, Fiom Cgil, Kyoto club, Motus-E, Transport&Environmente Italia, Legambiente, Wwf e Greenpeace

Nasce l’Alleanza Clima e Lavoro: «Mobilità sostenibile e una giusta transizione» 

Giusta transizione ecologica e mobilità sostenibile, sindacato e ambientalismo. È nata l’Alleanza Clima Lavoro, presentata ieri al Senato dalla campagna Sbilanciamoci!, Cgil Piemonte, Fiom Cgil, Kyoto club, Motus-E, Transport&Environmente Italia, Legambiente, Wwf e Greenpeace.

Obiettivo: creare un’«Agenzia nazionale per la politica industriale e per la giusta transizione», dentro la cornice del Green Deal Europeo. Al centro di questa nuova politica ci sarebbe la Cassa Depositi e Prestiti considerata «lo strumento finanziario principe per sostenere e sviluppare imprese e strategie industriali».

L’Alleanza chiede l’elettrificazione del trasporto privato e pubblico; la produzione di batterie di nuova generazione nelle «gigafactories», tutte da concepire in Italia; lo spostamento del trasporto merci dalla ruota ai binari; la diffusione della «mobilità dolce». I promotori chiedono un ruolo di primo piano al Tavolo sull’automotive promosso dal governo. E rilanciano la battaglia per il taglio di 41,8 miliardi di euro in «sussidi ambientalmente dannosi». Gli ultimi governi nulla hanno fatto. Per quanto riguarda la destinazione dei bonus auto chiedono che siano usati solo per l’elettrico. E critica la richiesta del governo di considerare i biocarburanti tra le rinnovabili «zero emissioni»: «una posizione miope e sbagliata».

Per Giulio Marcon (Sbilanciamoci!) «abbiamo bisogno di uno scatto in avanti verso un nuovo modello economico e sociale». L’Italia «sembra concentrarsi più sulla conservazione che sull’innovazione» sostiene Michele De Palma (Fiom Cgil). «Per salvare posti di lavoro bisogna aumentare la produzione di auto elettriche, il contrario di quello che dice il ministro Salvini» dice Giorgio Airaudo (Cgil Piemonte). Per Chiara Gribaudo (Pd) «bisogna mettere le politiche a disposizione e al servizio di questo cambiamento, altrimenti avremo meno posti di lavoro». «Occorre investire oggi, senza altri rinvii» sostiene Nicola Fratoianni, segretario (Verdi Sinistra)

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LAVORO E AMBIENTE. In 5 periferie (Roma, Torino, Napoli, Palermo, Cagliari) la mobilitazione «Fai la cosa buona» per la rigenerazione urbana in difesa del Codice appalti e Superbonus

Edili, ambientalisti, giovani, inquilini: domani in piazza l’inedita coalizione Gli studenti del liceo Cavour di Roma annunciano la loro presenza alla manifestazione al quartiere di Cinecittà per "Fai la cosa giusta"

Lavoratori edili insieme ad ambientalisti, studenti e inquilini. Una strana e inedita alleanza per chiedere rigenerazione urbana, difesa del bonus edilizia e del Codice appalti, stravolto dal governo. “Fa la cosa buona” è la mobilitazione che domani mattina riempirà cinque piazze delle periferie di Roma (Cinecittà a piazza San Giovanni Bosco), Cagliari (La Palma parco Molentargius), Napoli (Pianuta, piazza Giovanni XXIII), Palermo (Zen, via Primo Carnera), Torino (Falchera, piazza Astengo).

Guidati dagli slogan «più appalti pubblici, più salario, più legalità» e «più legalità nei cantieri, no al sub appalto a cascata», le cinque piazze si riempiranno per i comizi per poi trasformarsi in feste popolari aperte alle associazioni di quartiere, come avverrà a Roma fino a sera.

Stefano Ciafani, presidente di Legambiente spiega la presenza dell’associazione: «Saremo in piazza anche noi per esprimere la nostra grandissima preoccupazione sui provvedimenti del governo sui bonus edilizi e sul nuovo codice degli appalti. Questo paese ha bisogno di regole chiare e strumenti stabili per garantire a tutti l’efficientamento energetico e la messa in sicurezza antisismica degli edifici ma sono indispensabili anche controlli adeguati per evitare illegalità e infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici. Le ultime decisioni dell’esecutivo vanno esattamente in direzione contraria e questo per noi è intollerabile».

In piazza anche il sindacato inquilini del Sunia. «Questo decreto dà il colpo di grazia alla vivibilità dei quartieri popolari – attacca il presidente Stefano Chiappelli – . Noi ci siamo sempre battuti perché il super bonus fosse uno strumento strutturale a favore dell’edilizia pubblica per riqualificare gli edifici più vetusti: per questo saremo in piazza».

Ieri è arrivata anche la solidarietà del sindacato europeo degli edili Efbww: «Condanniamo le recenti decisioni del governo italiano sull’eliminazione del limite al subappalto e la riduzione degli investimenti in bonus per le ristruttutazioni, vi assicuriamo il pieno sostegno alla vostra battaglia», scrivono il presidente Johan Lindholm e il segretario Tom Deleu nella lettera inviata ai segretari di Fillea Cgil e Feneal Uil Alessandro Genovesi e Vito Panzarella

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IL CASO. Il rischio è stato denunciato dal presidente dell’Autorità anticorruzione Anac Giuseppe Busia: "Per le gare sotto 150 mila euro va benissimo il cugino o chi mi ha votato, si prenderà l'impresa più vicina, non quella che si comporta meglio". Cgil: "Ci saranno più cartelli, più corruzione e più precarietà". Salvini: "Con appalti veloci meno corruzione, e se la Cgil sciopera allora abbiamo fatto bene"

Appalti, il «Codice Salvini»: c’è il rischio di voto di scambio e favori ai «cugini» Sopralluogo di matteo Salvini ai cantieri del Villaggio Olimpico a Milano - LaPresse

Con il «Codice Salvini» gli appalti fino a 150 mila euro potrebbero andare «a un cugino o a chi ha votato». La battuta di Giuseppe Busia, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), ieri è stata efficace. «Si dice non consultate il mercato, scegliete l’impresa che volete – ha aggiunto – il che vuol dire che si prenderà l’impresa più vicina, quella che conosco, non quella che si comporta meglio». «Attenzione a spostare l’attenzione solo sul “fare in fretta”, che non può mai perdere di vista il ‘fare bene».

LA STRONCATURA dell’Anac è una buona introduzione alla «filosofia e all’impostazione culturale» – così l’ha definita ieri il ministro leghista alle infrastrutture e ai trasporti Matteo Salvini – del nuovo codice appalti da 229 articoli varato due giorni fa dal Consiglio dei ministri. «Chi si lamenta che sia un favore a corrotti e corruttori si sbaglia – ha detto Salvini – Non diffidiamo per partito preso delle imprese e dei sindaci. Un semplice avviso di garanzia in un paese civile non è una sentenza di condanna». Il «suo» codice appalti «scommette sul sistema industriale italiano». E alle proteste della Cgil ha risposto che «se sciopera allora significa che il nuovo codice è fatto bene».

LE PRIME SCHERMAGLIE polemiche si sono concentrate sull’«appalto integrato»: l’affidamento della progettazione e dell’esecuzione dei lavori allo stesso operatore economico. È stato previsto il ricorso al subappalto a cascata e senza limite. Così aumenterà la precarietà dei lavoratori e si frammenterà il sistema. La tecnica era stata vietata in precedenza, ma è

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L'Italia alla fine si astiene. Deroga per e-fuel come chiesto da Germania, nel 2026 prevista clausola di revisione

Sì definitivo Ue: dal 2035 solo auto a emissioni zero Un rifornimento di benzina

«Con il voto finale di oggi l’Unione europea ha compiuto un passo importante verso la mobilità a emissioni zero. La direzione è chiara: nel 2035 auto e furgoni nuovi devono avere zero emissioni» ha scritto in un tweet il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans commentando la ratifica formale da parte dei ministri Ue del regolamento sullo stop alle auto a benzina e diesel dal 2035. Si tratta – secondo Timmermans – di un «grande contributo alla neutralità climatica entro il 2050, parte fondamentale del Green Deal».

Il regolamento, dopo l’accordo di sabato con la Germania, contiene un riferimento agli e-fuel, in base al quale, a seguito di una consultazione con le parti interessate, la Commissione presenterà una proposta per l’immatricolazione oltre alle auto elettriche di veicoli alimentati con carburanti «CO2 neutri», cioè carburanti sintetici che bruciano comunque all’interno di motori endotermici. Il regolamento include anche una clausola di revisione: nel 2026 la Commissione valuterà a fondo i progressi compiuti verso il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni del 100% entro il 2035 e l’eventuale necessità di rivederli. La revisione terrà conto degli sviluppi tecnologici anche per quanto riguarda le tecnologie ibride plug-in e l’importanza di una transizione fattibile e socialmente equa verso emissioni zero.

L’ITALIA DOPO ESSER FINITA in un angolo ha potuto salutare la decisione come una mezza vittoria. «In merito al regolamento che riguarda gli autoveicoli, l’Italia si è astenuta anche se ha apprezzato il cambiamento di direzione della Commissione e la possibilità di immatricolare anche motori termici dopo il 2035, e non solo più solo elettrici» ha detto il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin in un punto stampa. «Abbiamo apprezzato l’apertura che c’è stata anche da parte della Commissione e del Consiglio per una valutazione della neutralità tecnologica dei biocarburanti entro il 2026», ha concluso, facendo riferimento alla trincea in cui s’è acquartierato in questi mesi l’esercito italiano negazionista.

Secondo la vicepresidente e ministra per la Transizione ecologica spagnola Teresa Ribera Rodriguez l’approccio di Germania e quello dell’Italia, insieme alla posizione della Polonia, «non è stato corretto». Al suo arrivo al consiglio Energia di Bruxelles ha sottolineato come i tre paesi «abbiano tenuto una posizione di blocco minoritaria all’ultimo momento su un dossier che era già stato concordato dalle diverse istituzioni. In linea di principio, questo approccio non ci piace, pensiamo che non sia giusto».

IL MINISTRO DELLE IMPRESE e il made in Italy, Adolfo Urso, parla invece di un«approccio pragmatico» italiano, che avrebbe «imposto la riapertura della trattativa che ha consentito di raggiungere un primo significativo obiettivo, con la previsione di contemplare l’e-fuel tra i carburanti ammessi». La decisione porta con sé una certezza, sottolinea Urso: «il motore endotermico», come sottolineava domenica il manifesto «sopravvivrà, accanto a quello elettrico, anche dopo il 2035», e non solo nelle auto usate e in quelle già in circolazione a quel momento, che non sarebbero diventate fuorilegge. A dispetto dalle strategia delle aziende dell’automotive, il problema è un governo che considera ancora i motori diesel e benzina «il traino dell’intera filiera dell’automotive italiano, asse portante della nostra industria che ci rende leader del settore». Di fronte a questa miopia, la transizione ecologica risulta la cima di una montagna inavvicinabile

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Cassato il calmiere sull’elettricità. Dopo il cdm, cabina di regia sul Recovery Fund. Fitto chiede più tempo, la Ue chiude

 

Stavolta bastano 4,9 miliardi, un quarto di quanto fu necessario erogare per contrastare il caro energia nella legge di bilancio. Merito del prezzo del gas in picchiata che salva il governo dal dover ricorrere allo scostamento di bilancio in un momento di rapporti delicatissimi con la Ue. Parte dello stanziamento, 1,1 miliardi, è peraltro destinato alla Sanità. I rimanenti 3,8 miliardi serviranno a calmierare le bollette. Su quella del gas sono confermati sia il taglio dell’Iva al 5% sia l’azzeramento degli oneri di sistema, che però è più formale che sostanziale. Per i consumatori sino a 5mila metri cubi all’anno l’intervento sulle aliquote UG2C è confermato esclusivamente per aprile e solo per il 35% del valore applicato nel trimestre precedente. Secondo l’Unione nazionale consumatori significa un esborso pari a 298 euro l’anno che arriveranno a 459 se a maggio verrà eliminato anche quel 35% superstite. Nessun dubbio invece per il calmiere sulle bollette elettriche: nella bozza portata dal ministro dell’Economia è cassato senza appello. Però con la promessa di studiare un sistema di sconti e benefici tale da evitare rincari e anzi garantire alleggerimenti della spesa.

IL BONUS SOCIALE per «clienti economicamente svantaggiati o in gravi condizioni di salute» è ribadito e allargato sino ai redditi Isee con tetto di 15mila euro: sarebbero 4 milioni e mezzo di famiglie stando alle stime del Mef. La novità è il «bonus termico» che, previsto inizialmente già dal prossimo trimestre, sarà in vigore solo per il quarto trimestre. La dinamica e la quantificazione non sono ancora chiari: dovrebbe trattarsi di un contributo per tutti, con la sola eccezione di quanti già usufruiscono del bonus sociale, però differenziato per aree geografiche e che scatterebbe quando il prezzo del gas all’ingrosso supera una soglia che ieri sera non era ancora stata definita. Confermato infine sino al 30 giugno il credito d’imposta al 40% e 45%, rispettivamente per elettricità e gas, a favore delle aziende «energivore». Andrà a quelle che nel primo trimestre 2023 hanno speso per l’energia almeno il 30% in più rispetto al primo trimestre 2019.

IL CDM DI IERI non si è limitato all’ennesimo e stavolta molto economico dl Energia. Ha varato una quantità di interventi quasi a tutto campo: dal payback sulla sanità al già noto e già criticatissimo dl Appalti di Salvini, dal dl di Lollobrigida, che vieta il cibo sintetico e che la premier a cdm in corso è andata a festeggiare sotto palazzo Chigi con gli agricoltori di Coldiretti, a quello sulla concorrenza, sul quale però la discussione si è fatta incandescente e che in tarda serata era ancora al palo. Infine nel dl Energia è entrata anche la proroga dei termini di pagamento fissati dalla legge di bilancio per la prima rata dei «ravvedimenti speciali»: dal 31 marzo al 31 ottobre.

CARNET FITTISSIMO dunque eppure nessuna delle voci in agenda ieri preoccupa il governo. Il guaio grosso è altrove, oggetto di una riunione della cabina di regia che si è svolta dopo il cdm e che chiamarla allarmata è poco. La mannaia che pende sul capo del governo si chiama Pnrr. Ieri Il ministro Fitto, responsabile dell’attuazione del Piano, è stato papale: «Alcuni interventi di qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati: è matematico, scientifico e dobbiamo dirlo con chiarezza subito, senza aspettare il 2025». Il vicepresidente della Commissione europea Dombrovskis ha risposto a strettissimo giro: «È molto difficile cambiare la scadenza del 2026». Il problema della terza rata del Recovery Fund, in sospeso perché la Commissione ha prorogato di un mese la decisione sulla richiesta italiana di accedervi, non è un ostacolo superato il quale tutto filerà liscio. Al contrario è l’intero Piano che dovrà essere rivisto. Europa permettendo. Sull’erogazione della terza rata la Commissione, che non esclude il rinvio di un altro mese, abbassa i toni. Assicura infatti che la proroga «non è inusuale e non pregiudica in alcun modo l’esito della richiesta italiana». Stile felpato, diplomatico ma con un messaggio molto chiaro. «In un mese possono succedere tante cose», segnala infatti la Commissione. Equivale a un ordine preciso

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