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  • UNO STUDIO ISPRA ESAMINA GLI ANNI DAL 1991 AL 2020. Evaporazione dagli specchi d’acqua e siccità sono tra le cause principali

Italia, in trent’anni abbiamo perso il 20% delle riserve

Negli ultimi trent’anni la disponibilità idrica in Italia è diminuita del 20%. Secondo le stime presentate da Ispra, frutto dell’impiego di Bigbang, il modello idrologico realizzato dall’Istituto che analizza la situazione idrologica dal 1951 al 2021, fornendo un quadro quantitativo e qualitativo delle acque in Italia, la situazione non è affatto rosea: nel periodo tra il 1991–2020 il valore ammonta a circa 133 km3, mentre il valore di riferimento storico, quello registrato tra il 1921 e il 1950, è pari a circa 166 km3. Anche le stime sul lungo periodo (1951–2021) evidenziano una riduzione significativa, circa il 16% in meno rispetto al valore annuo medio storico. «Questa riduzione, dovuta agli impatti dei cambiamenti climatici, è da attribuire non solo alla diminuzione delle precipitazioni, ma anche all’incremento dell’evaporazione dagli specchi d’acqua e dalla traspirazione dalla vegetazione, per effetto dell’aumento delle temperature» spiega un comunicato Ispra.

I numeri del bilancio idrologico nascono a partire da una stima delle componenti del bilancio idrologico a scala mensile sulla base di un’equazione che tiene conto delle variabili precipitazione totale, evapotraspirazione reale, ruscellamento superficiale, ricarica degli acquiferi e immagazzinamento di volumi idrici nel suolo e nella copertura nivale.
Le proiezioni climatiche future evidenziano, sia su scala globale che locale, possibili impatti dei cambiamenti climatici sul ciclo idrologico e sulla disponibilità di risorsa idrica, dal breve al lungo termine.

Tra gli elementi che incidono sulla disponibilità idrica vi è senz’altro la siccità: anche se i dati del 2022 sono ancora in fase di analisi, e quelli del 2023 sono in fase di registrazione, si presume che il protrarsi un deficit di precipitazione, liquida e solida, e la persistenza di elevate temperature, andrà a ridurre ulteriormente la disponibilità di risorsa e le riserve idriche per i diversi usi (civile, agricolo, industriale) e per il sostentamento degli ecosistemi e dei servizi che essi erogano, evidenziando ancor più la necessità di affrontare le problematiche connesse alle pressioni antropiche.

«Le analisi sul bilancio idrico nazionale, condotte dall’Istituto in collaborazione con l’Istat, hanno evidenziato il ruolo significativo dei prelievi di acqua dai corpi idrici che, anche in anni non siccitosi e con larga disponibilità di acqua superiore alla norma, possono determinare condizioni di stress idrico. Ciò – sottolinea Ispra – è avvenuto per l’Italia, ad esempio, nell’estate del 2019».

Ieri è intervenuto sul tema anche il Forum italiano dei movimenti per l’acqua: «L’inverno è appena finito e l’Italia già sta facendo i conti con la siccità, soprattutto al Nord, dove il disgelo dovrebbe riempire fiumi sempre più in secca e inquinati. Di fronte ad un fenomeno così grave, evidentemente frutto dei cambiamenti climatici e dell’eccessiva pressione antropica sulle riserve idriche, il Governo riesce a non dire una parola su questi temi, ma ripropone ricette a base di commissari, grandi opere da costruire “in emergenza” – bypassando le valutazioni di impatto ambientale – e privatizzazioni. Se togliere l’acqua dal mercato è il primo passo per tutelarla, il secondo è intervenire sui sistemi in cui questa vede il maggior utilizzo: il settore agricolo, colpito duramente dalla siccità, ha ampi margini di miglioramento se saprà uscire da un sistema basato su monocolture e zootecnia intensive per adottare tecniche agroecologiche che preservino la ricchezza dei terreni, compresa la loro capacità di trattenere l’acqua»

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I 27 leader paleranno di energia, aiuti di Stato e sostegno all’Ucraina, con un intervento da remoto del presidente Zelensky. Solo alla fine una relazione sull’immigrazione

L’Ue ignora Meloni, nessuna  discussione sui migranti 

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LA SEGRETARIA DEL PD INCONTRA I SOCIALISTI. Il Pse discute di situazione economica, crisi migratoria e Ucraina

Schlein a Bruxelles. Poi il nodo capigruppo

Elly Schlein è a Bruxelles. Dopo aver incontrato i parlamentari europei del Partito democratico, oggi parteciperà al pre-vertice dei socialisti in preparazione del Consiglio europeo. Incontrerà, tra l’altro, lo svedese Stefan Löfven, presidente del Pse, il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans e il commissario Paolo Gentiloni.

All’ordine del giorno del Pse ci sono la situazione economica, la crisi migratoria e l’Ucraina. Tutte questioni sulla quali il Pd si è espresso nelle risoluzioni presentate alle camere negli ultimi due giorni. Sui migranti chiede che «si intraprenda ogni azione finalizzata a favorire la revisione, in tempi brevi, del Patto su migrazione e asilo» per una politica comune europea ispirata «ai principi di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario».

Il Pd chiede al governo di «attivarsi affinché si affronti la transizione ad un mercato dell’auto a zero emissioni mediante l’adozione di una strategia industriale europea che preveda lo stanziamento di adeguate risorse per la riconversione». Sull’Ucraina chiede una maggiore sforzo diplomatico europeo insieme alla conferma del sostegno a Kiev in nome del diritto all’«autodifesa» degli ucraini.

Ci sarà anche l’attuale capodelegazione Brando Benifei, che al congresso è stato sostenitore di Stefano Bonaccini e che Schlein potrebbe riconfermare. A proposito di nomine: la segretaria dovrebbe riunire i gruppi parlamentari dem lunedì pomeriggio per fare «il punto sulla situazione politica». Il giorno successivo dovrebbe chiudersi la partita del rinnovo dei capigruppo. A guidare i parlamentari dovrebbero essere Francesco Boccia al Senato e Chiara Braga alla Camera. A quel punto verrà annunciata anche la nuova segreteria

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LA PREMIER IN AULA. La Lega fa notare le divisioni sulla guerra e sulle nomine con le assenze dei suoi ministri

  Giorgia Meloni ieri alla Camera - foto LaPresse

È la pace o sono le poltrone? Come si spiega il plateale sgarbo dei ministri leghisti, che ieri hanno disertato in massa le comunicazione della premier alla Camera? Un po’, probabilmente, hanno concorso entrambe le fonti di malcontento e forse la seconda più della prima. Però, dopo l’affondo clamoroso del capogruppo al Senato Massimiliano Romeo del giorno prima, è difficile credere che Matteo Salvini non volesse segnalare anche la distanza dalle posizioni iper-atlantiste dell’alleata. Lui, il vicepremier la cui assenza spiccava più di ogni altra, aveva l’alibi già pronto: una riunione al ministero sul traffico. Debolina assai.

I FRATELLI, DI FRONTE a quei banchi vuoti, s’indispettiscono, la premier anche di più. I richiami di ogni tipo trascinano in aula il ministro Giuseppe Valditara, quando già il caso è esploso e Carlo Calenda afferma addirittura che «l’esecutivo è già in crisi, anche se per le ragioni sbagliate».

Il ministro dell’Istruzione è in quota Carroccio ma non è un leghista: il suo arrivo non colma il vuoto. Fortuna che dopo un po’ lo sostituisce Roberto Calderoli e tutti possono giurare che l’incidente è chiuso. Però non è vero. Non è affatto sopita la tensione sulle nomine, montata nelle ultime settimane sia per il metodo che per il merito. Non lo è quella, meno transitoria, sulla guerra. La divisione netta tra una premier che vuole fare dell’Italia una specie di Polonia dell’Europa occidentale e alleati che preferirebbero l’estremo opposto prima o poi finirà per emergere.

SULLE NOMINE, che tra piccole e grandi ammontano a un piccolo esercito, i leghisti sono inviperiti per il metodo, per la verità non inedito, per cui la presidente del consiglio ascolta molti e decide con pochi, anzi pochissimi: il fedelissimo sottosegretario Giovanbattista Fazzolari e l’anche più potente Alfredo Mantovani.

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

Meloni alla Cgil: il gelo oltre la demagogia

Silenzioso, efficiente, se del caso diplomatico, con i contatti giusti oltre Tevere e sul Colle: in pochi mesi è diventato potentissimo e Salvini non gli ha ancora perdonato il tentativo, in buona parte fallito, di scippargli la sorveglianza marittima. Nel merito poi Giorgia Meloni, in pieno contrasto con la Lega, punta sulla continuità con Mario Draghi, soprattutto nelle nomine più pesanti come Eni, Poste ed Enel.

L’UCRAINA INSOMMA è un nodo reale, il più intricato che ci sia oggi, ma è anche uno strumento da adoperare a fini molto meno internazionali. Matteo Salvini la usa per tenere la premier sulla corda. Il leader dei 5 Stelle Giuseppe Conte va all’attacco: «Ci state trascinando di gran carriera in guerra ignorando che in un conflitto nucleare non ci sono vincitori né vinti. Ci mette la faccia ma è una faccia di bronzo».

È la linea dei pentastellati da mesi ma serve anche per mettere in difficoltà la nuova segretaria del Pd Elly Schlein per cui proprio la posizione sulla guerra è la porta più stretta. Infatti sceglie di non parlare, e non è una gran bella figura. Fa intervenire Marianna Madia che candidamente annuncia di «sostenere la posizione con la quale il governo rappresenterà l’Italia». Mica come quegli infidi alleati che la stessa Madia consiglia alla presidente di «tenere d’occhio con attenzione». Non spiega perché, essendo del tutto d’accordo, il Pd non vota la parte della mozione di maggioranza sulla guerra, come fa invece il Terzo Polo. In effetti è inspiegabile.

È un autogol e un passo falso da parte della nuova segretaria dem, che di fatto ha lasciato ieri la bandiera di “speaker” dell’opposizione a un Conte in ottima forma. Ma quanto ad autolesionismo non scherza nemmeno il verde Angelo Bonelli, che agita i sassi secchi dell’Adige per denunciare la siccità in Trentino. Sembra un po’ «non piove, governo ladro» e infatti la presidente ha gioco facile nel liquidare la faccenda ironizzando: «Vuol dire che in 5 mesi io ho prosciugato il fiume come Mosè?». Definitivo.

NEL CHIASSO della rappresentazione teatrale, dove ognuno mette in campo la propria bandiera e poco importa se con il Consiglio europeo di oggi non c’azzecca, si perdono i veri punti dolenti in Europa. Uno su tutti: la ratifica del Mes. Quella firma il governo non vuole apporla. Giorgia Meloni lo dice forte e chiaro: «Non è un totem ma uno strumento da adeguare». Di tutti i discorsi e i botta e risposta degli ultimi due giorni, a Bruxelles daranno importanza a questo passaggio più che a ogni altro. E non la prenderanno bene

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DIRITTI. Il commissario Reynders: gli stati membri sono obbligati dalla corte di giustizia europea. Parte l’esame delle proposte sul carcere per chi utilizza la gpa all’estero 

L’Ue bacchetta il governo: «Riconoscere i figli dei gay» Alla manifestazione delle famiglie arcobaleno di sabato scorso a Milano - foto LaPresse

Le destre continuano a spingere per punire penalmente le coppie che ricorrono alla maternità surrogata all’estero. E ieri hanno ottenuto che la commissione Giustizia della Camera inizi domani a esaminare le proposte di legge che, se approvate, prevederanno il carcere e multe fino a un milione di euro. Molte i testi che saranno esaminati: c’è quello di Fdi a prima firma Carolina Varchi, che ricalca una proposta presentata nella scorsa legislatura da Giorgia Meloni. Altri testi analoghi sono stati presentati da Lega, Forza Italia e Noi moderati.

IL TERZO POLO CON MARA Carfagna si dice pronto a unirsi alla crociata. «Ho presentato una legge contro l’utero in affitto da punire anche se praticato all’estero, perché in Italia è già vietato. E voterei la proposta di Giorgia Meloni», ha spiegato ieri la presidente di Azione. «Per il centrodestra c’è una posizione corale, unanime, per rendere la maternità surrogata un reato universale», ha spiegato Varchi, che ha abbinato la sua proposta a quella della Lega.

DA BRUXELLES ARRIVA però un segnale opposto. Il commissario Ue per la giustizia Didier Reynders ieri ha spiegato – rispondendo a una interrogazione del M5S – che «la Commissione è in continuo dialogo con gli Stati membri riguardo all’attuazione delle sentenze della Corte di giustizia dell’Ue» e «ciò comprende anche l’obbligo per gli Stati membri di riconoscere» i figli «di genitori dello stesso sesso, ai fini dell’esercizio dei diritti conferiti dall’Ue». Un messaggio diretto al governo italiano che ha bloccato con una circolare del Viminale i sindaci che registravano i figli di coppie arcobaleno. E alla maggioranza di destra che ha bocciato in Senato la proposta di regolamento per il certificato di filiazione europeo. «La Commissione conferma che i figli riconosciuti in uno Stato membro devono poter circolare senza ostacoli», spiega Marilena Grassadonia di Si. La replica di Gasparri: «Al commissario Reynders ricordo che l’Italia è uno Stato sovrano: la difesa della genitorialità di un padre e una madre è un dato che precede qualsiasi regolamentazione italiana o europea». «Quello che stiamo vedendo in Italia è un chiaro attacco ai diritti delle persone e delle famiglie Lgbtqi+», l’attacco di Terry Reintke, co-presidente del gruppo dei Verdi all’europarlamento.

SUL TEMA TORNA ANCHE la leader Pd Elly Schlein. «Credo che bisogna lottare di più perché la pressione che è stata fatta sul Comune di Milano ma adesso anche sul Comune di Padova per smettere di trascrivere ii bambini è frutto dell’ideologia che guida questa maggioranza di governo che ci vuole riportare molto indietro nel tempo. Invece quelle famiglie chiedono di essere in Europa e nel futuro, e che i loro figli vengano riconosciuti come nel resto d’Europa».

A destra usa parole più moderate il governatore leghista Luca Zaia. «Una partita delicatissima, un discorso complicato che non va liquidato come fa qualcuno. Va distinto tra il diritto all’iscrizione all’anagrafe e la rivendicazione di avere l’utero in affitto». In questo caso «c’è anche la libertà della donna che, non mi risulta, lo faccia divertendosi di restare incinta e donare il proprio bimbo». Wanda Ferro, sottosegretaria all’Interni di Fdi, prende le distanze dalle parole dei suoi colleghi di partito. «Non sono d’accordo con Mollicone che ha equiparato gpa e pedofilia che è uno dei crimini peggiori in assoluto. Anche Rampelli è stato maldestro»

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POLITICA. Informativa della premier: maggioranza compatta sulla carta, ma sull’Ucraina si vedono crepe. E il tema migranti preoccupa. Il timore è che a Bruxelles l’Italia non ottenga niente. Telefonata con von der Leyen

Meloni alla camera, il consiglio europeo la rende nervosa Giorgia Meloni al Senato - foto LaPresse

Nervosissima. Una Meloni così tesa dalla vittoria elettorale in poi forse non la si era mai vista. Alza i toni, si abbandona all’iperbole, azzarda profezie apocalittiche, si irrita e si offende. Eppure l’informativa al Senato sul Consiglio europeo di domani non presenta incognite, non ci sono rischi di sorta, alcuni degli argomenti più spinosi, dalla riforma fiscale ai diritti civili, sono espunti in partenza. Sulla carta, quella su cui si scrivono le risoluzioni, la maggioranza è compatta anche dove non lo è affatto, vedi alla voce guerra, e sul resto è unita davvero.

L’OPPOSIZIONE INVECE proprio no. La senatrice del Terzo Polo Paita, anzi, chiede di poter votare la mozione di maggioranza per parti separate, in modo da poter appoggiare la parte sull’Ucraina. Finisce proprio così e il segnale è ben chiaro: i centristi sono pronti a un dialogo che in alcuni casi, primo fra tutti il presidenzialismo, si rivelerà politicamente prezioso. Anche le altre due forze d’opposizione sono divise che più divise non si può sull’Ucraina: il Pd vuole continuare a inviare armi a Kiev,

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