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UMILIAMOLI A CASA NOSTRA. Giro di vite su permessi di soggiorno e Cpr con gli emendamenti al dl migranti. Il Carroccio impone la sua linea al governo Meloni

 

Nuovo giro di vite sulla protezione speciale, divieto di convertire alcuni permessi di soggiorno in permessi di lavoro, raddoppio dei tempi di detenzione per i migranti rinchiusi nei Centri per il rimpatri.

Annunciato più volte, l’assalto della Lega al decreto migranti varato dal consiglio dei ministri dopo la strage di Cutro è cominciato sotto forma di 21 emendamenti che puntano a resuscitare i decreti sicurezza varati da Matteo Salvini ma soprattutto a dettare al governo la linea della Lega sull’immigrazione. Un proposito che il Carroccio non ha mai nascosto ma che ora rischia di aprire una breccia nella stessa maggioranza dopo i rilievi avanzati dal Colle proprio sulle restrizioni alla protezione speciale e in parte accolti nella prima stesura del decreto dalla premier Giorgia Meloni, decisa finora a evitare un possibile incidente con il Quirinale. Tutto questo mentre il previsto successo del click day, con più del triplo delle domande presentate rispetto agli 82.705 ingressi previsti dal decreto flussi per i lavoratori stranieri, sta portando il governo a non escludere un ritocco verso l’alto delle quote di ingresso: «Se ci fosse la necessità e l’opportunità di ampliare i numeri in relazione alle possibilità del mercato del lavoro, non ci sono pregiudizi», ha assicurato ieri il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.

Sono in tutto 126 gli emendamenti al decreto depositati in Commissione Affari costituzionali del Senato, dove il testo è in discussione. Otre ai 21 della Lega, 5 sono di Forza Italia, 4 di FdI, 39 del Pd, 25 di Avs, 23 del M5S e 5 del terzo Polo.
Delle proposte di modifica presentate dalla Lega 15 riguardano il contrasto all’immigrazione irregolare e sei l’integrazione dei cittadini stranieri in Italia. Nella prima versione del testo viene cancellata la possibilità per un richiedente asilo di non essere espulso considerando il grado di integrazione raggiunto nel nostro Paese, restringendo il riconoscimento dello status di rifugiato solo a chi scappa da guerre e persecuzioni, al quale viene rilasciato un permesso di soggiorno della durata di due anni.

La Lega chiede di intervenire anche su questo punto dimezzando a un anno la durata del permesso di soggiorno e cancellando la sua convertibilità in permesso di lavoro come avviene oggi. Stop alla convertibilità in permessi di lavoro anche per altre categorie, come ad esempio quanti hanno ottenuto un permesso di soggiorno per calamità naturali, cure mediche, assistenza ai minori o perché apolide.

Altri emendamenti prevedono la sospensione dell’accoglienza per un periodo variabile tra i 30 giorni e i sei mesi per quanti si rendono responsabili di danneggiamenti all’interno delle strutture di accoglienza, e il prolungamento dei tempi di detenzione all’interno dei Centri per il rimpatrio (Cpr): dagli attuali 90 giorni prorogabile per altri 30, a 180 giorni prorogabili sempre di 30.

Oggi la commissione si esprimerà sulle eventuali inammissibilità di parte dei 126 emendamenti proposti, che però non dovrebbero essere numerose. «La maggioranza in generale si schiererà compatta come è avvenuto negli altri provvedimenti», ha dichiarato il capogruppo di FdI in 1a Marco Lisei, a proposito delle diverse proposte depositate dai partiti di centrodestra. Possibili pareri del governo sugli emendamenti non dovrebbero invece arrivare prima della fine della settimana. Tra il 18 e il 20 aprile è invece atteso l’arrivo del decreto nell’aula di Palazzo Madama.

Intanto ieri è cominciato al ministero del Lavoro il tavolo tecnico che dovrebbe portare alla definizione delle quote massime di ingressi di lavoratori stranieri in Italia per il triennio 2023-2025. Al governo le parti sociali hanno sottolineato la necessità di un nuovo decreto flussi che possa assorbire l’eccedenza di domande già presentate. «A fronte di tali dati il rischio di rimanere senza la necessaria manodopera nei campi è alto, soprattutto in vista delle prossime settimane, nelle quali si concentreranno gran parte delle operazioni di raccolta – ha spiegato il presidente di Copagri Tommaso Battista -; tutto ciò potrà avere sensibili ricadute sull’intera filiera, partendo dai produttori agricoli, che dovranno fare i conti con perdite non indifferenti, e passando per i cittadini, che rischiano di pagare lo scotto di una minore disponibilità di produzione, con possibili ricadute sui prezzi al consumo»

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Al via la presentazione delle richieste di lavoratori extracomunitari. Previsto 82.705 ingressi. La Coldiretti: solo nell'agricoltura il fabbisogno è di oltre 100 mila

Un bracciante al lavoro nei campi Un bracciante al lavoro nei campi

Click day già saturato con le domande di ingresso per lavoratori extracomunitari che hanno di gran lunga superato le disponibilità a conferma della mancanza di manodopera che interessa diversi settori dell'economia. È la prima impressione di Coldiretti a poche ore dall'avvio della presentazione delle domande in base al Dpcm (Decreto del presidente del Consiglio dei ministri) di programmazione transitoria dei flussi che stabilisce 82.705 ingressi, in aumento rispetto ai 69.700 dell'anno precedente. (QUI TUTTE LE ISTRUZIONI)

La Coldiretti sottolinea che le quote per lavoro stagionale attese principalmente nelle campagne, oltre che nel settore turistico alberghiero, ammontano a 44.000 unità (contro le 42.000 dello scorso anno) delle quali 1.500 riservate alle nuove richieste di nullaosta stagionale pluriennale, ingressi che di fatto consentono all'impresa negli anni successivi di non essere vincolata ai termini di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Dpcm per avere accesso all'autorizzazione.

"La vera ed importante novità di questo decreto è la riconferma - indica l'associazione in una nota, del rilascio di quote stagionali di ingresso riservate alle Associazioni di categoria per i propri associati nella misura di 22.000 unità (erano 14.000 l'anno prima), norma sperimentale introdotta dal decreto semplificazione (Dl 73/2022), sostenuta dalla Coldiretti e resa strutturale con il recente decreto legge 20/2023. Le richieste presentate dalle organizzazioni professionali dei datori di lavoro, che avranno priorità sulla generalità delle istanze, saranno preventivamente verificate dalle organizzazioni professionali stesse che - evidenzia l'associazione - assumono anche l'impegno a sovraintendere alla conclusione del procedimento di assunzione dei lavoratori, di fatto accelerando l'intero iter della procedura d'ingresso. Il nuovo Decreto - precisa la Coldiretti - sarà anche l'occasione per sperimentare il superamento del nullaosta, sostituito da una comunicazione allo sportello unico per l'immigrazione da parte del datore di lavoro contenente la proposta di contratto di soggiorno per lavoro subordinato, che verrà immediatamente trasmesso all'ambasciata italiana all'estero per più tempestivo rilascio del visto di ingresso".

''Nelle campagne con l'arrivo della primavera c'è bisogno di almeno centomila giovani per colmare la mancanza di manodopera che ha duramente colpito le campagne lo scorso anno con la perdita rilevante dei raccolti agricoli nazionali", afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che si tratta "di una necessità da affrontare con un decreto flussi aggiuntivo, previsto peraltro dalla legge, ma è importante anche il nuovo sistema di prestazioni occasionali introdotto nella Manovra dal Governo e sostenuto da Coldiretti che porta una rilevante semplificazione burocratica per facilitare l'avvicinamento dei cittadini italiani al settore agricolo".

Potranno accedervi, ricorda l'associazione, pensionati, studenti, disoccupati, percettori di Naspi, reddito di cittadinanza, ammortizzatori sociali e detenuti ammessi al lavoro all'esterno. Al lavoratore saranno inoltre garantite le stesse tutele (contrattuali, previdenziali, assistenziali, ecc.) previste per gli occupati a tempo determinato.

"In Italia - sottolinea la Coldiretti - un prodotto agricolo su quattro viene raccolto da mani straniere con 358mila lavoratori provenienti da ben 164 Paesi diversi che sono impegnati nei campi e nelle stalle fornendo più del 30 per cento del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore, secondo il Dossier Idos. Sono molti i ''distretti agricoli'' dove i lavoratori immigrati sono una componente bene integrata nel tessuto economico e sociale come nel caso della raccolta delle fragole nel Veronese, della preparazione delle barbatelle in Friuli, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna, dell'uva in Piemonte fino agli allevamenti da latte in Lombardia dove a svolgere l'attività di bergamini sono soprattutto gli indiani".

"I lavoratori stranieri occupati in agricoltura - continua la Coldiretti - sono per la maggior parte provenienti da Romania, Marocco, India e Albania, ma ci sono rappresentanti di un po' tutte le nazionalità. Si tratta soprattutto di lavoratori dipendenti a tempo determinato che arrivano dall'estero e che ogni anno attraversano il confine per un lavoro stagionale per poi tornare nel proprio Paese spesso stabilendo delle durature relazioni professionali oltre che di amicizia con gli imprenditori agricoli. Ma cresce anche la presenza di stranieri - conclude la Coldiretti - alla guida delle imprese agricole con quasi 17mila titolari di nazionalità diversa da quella italiana"

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A PIEDI. Treni, voli e traghetti bloccati: la protesta nel settore pubblico per adeguare gli stipendi all’inflazione. «Una delle più grandi astensioni dal lavoro degli ultimi decenni» secondo il sindacato Ver.di

Trasporti fermi, in Germania torna il mega-sciopero Sciopero dei trasporti in Germania, la protesta a Monaco del sindacato Evg - Ap

«Il Paese è bloccato». L’incipit del comunicato ufficiale della società ferroviaria tedesca Deutsche Bahn restituisce perfettamente l’esito del colossale sciopero dei trasporti che ieri ha messo in ginocchio la Germania. Con centinaia di treni fermi nelle stazioni, voli domestici e internazionali cancellati uno dopo l’altro dal tabellone delle partenze e i traghetti per il Nord Europa rimasti ormeggiati alle banchine dei porti.

«Una delle più grandi astensioni dal lavoro degli ultimi decenni» rivendicano i Ver.di, il sindacato che rappresenta 2,5 milioni di lavoratori pubblici. Insieme all’organizzazione dei ferrovieri (Evg) ha aperto la vertenza per il rinnovo del contratto collettivo: 10,5% in più in busta-paga e aumento di 650 euro sono le rispettive richieste per adeguare gli stipendi all’inflazione che neppure all’Eurotower di Francoforte riescono più a fermare.

«ABBIAMO PORTATO a casa il primo fondamentale risultato. Grazie alle dimensioni dello sciopero i datori di lavoro si sono resi conto in modo inequivocabile che i dipendenti stanno in massa dalla nostra parte. Questo perché nel settore pubblico sono schiacciati dal peso degli aumenti di elettricità, gas e generi alimentari diventati insostenibili. E ciò coinvolge tutti, fino alle fasce di reddito medie» sottolinea Frank Werneke, leader dei Ver.di, prima di ricordare la massiccia adesione alla «protesta di avvertimento» (Warnstreik) diretta anzitutto all’equivalente di Confindustria.

Non a caso la prima “voce” insieme ai vertici delle Ferrovie statali a denunciare con forza lo «sciopero che ha provocato danni alle imprese, ai cittadini e pure all’ambiente». Un atto «spropositato» rispetto alla «congrua offerta» padronale pari all’aumento del 5% del salario più due di bonus da 1.000 e 1.500 euro da distribuire nei prossimi due anni.

«Ci hanno fatto una proposta vergognosa, questa è la verità» insistono i sindacati. Mentre il bollettino mensile dell’Ufficio federale statistica “Destatis” rende di pubblico dominio e all’attenzione del governo Scholz il dato dell’inflazione a quota 8,7%. Certificando sia i costi energetici schizzati del 19,1% che i prezzi al consumo del cibo esplosi del 21,8%.

Probabilmente, anche per questo non sono stati rari i casi di solidarietà fra chi ieri è rimasto a piedi. Nella stazione berlinese di Ostkreuz, semi-deserta con le serrande dei negozi chiusi, fra gli altoparlanti che annunciavano in modalità non-stop il blocco completo della rete della metropolitana di superficie (funzionavano solo i tram e la U-Bahn che non dipendono da Deutsche Bahn), qualcuno ringraziava i ferrovieri per la «battaglia per il Lavoro» idealmente condivisa.

Più di un applauso anche per i mini-cortei dei rappresentanti sindacali con cartello e fischietto alla Stazione Centrale di Berlino come all’indirizzo dei portantini con il gilet fluorescente e le mani platealmente in tasca.

ALTRO SEGNO dei tempi caldi anticipati dal recente braccio di ferro per il rinnovo del contratto vinto dal sindacato dei metalmeccanici Ig Metall: la spina dorsale della produzione nazionale dalla Ruhr fino al comparto automotive. Anche allora ci fu il massimo impatto sul “sistema-Germania” incardinato sul binomio catena di montaggio e trasporti.

SOLAMENTE LO STOP dei voli negli aeroporti tedeschi ieri ha coinvolto 380 mila passeggeri. Particolarmente colpiti il mega-hub di Francoforte e gli scali di Monaco e Stoccarda ma l’agitazione sindacale si è propagata in tre quarti dei Land della Bundesrepublik. Al contempo sono stati oltre 30 mila i ferrovieri che hanno fermato i convogli a breve e lunga percorrenza di Deutsche Bahn, comprese le reti locali.

«Specialmente tra i macchinisti la partecipazione allo sciopero è stata altissima. Hanno protestato compattamente perché si sono accorti che sul tavolo del negoziato, nonostante la grave crisi economica, non è stato presentato nulla di serio. Niente su cui si possa discutere con profitto» precisa Kristian Loroch, portavoce del sindacato Evg.

A fine giornata l’Adac, l’automobile club tedesco, segnalava così la riuscita dello sciopero: «Incremento del traffico sulla nostra rete autostradale in coincidenza con la paralisi del trasporto pubblico»

 

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FRANCIA. Oggi decima giornata di mobilitazione contro la riforma delle pensioni. Sotto accusa la violenza della polizia nei cortei. Manifestazione repressa duramente a Sainte-Soline, due feriti gravi

Francia: la protesta continua, governo disperato Parigi, dipendenti del Louvre bloccano l’ingesso al museo - foto Ansa

Dopo undici settimane di battaglia sociale, la situazione resta bloccata. Oggi, i sindacati organizzano la decima giornata di mobilitazioni e scioperi, con il corteo più importante a Parigi. Ieri, sono continuate le azioni di protesta, il Louvre chiuso a sorpresa, oltre ai blocchi alle raffinerie, spazzatura non raccolta a Parigi, scioperi diffusi, i giovani sempre più implicati, 100 licei in agitazione assieme a varie università.

«VOLTARE PAGINA» è il programma che Eliseo e governo vogliono mettere in scena. Consultazioni a ampio raggio all’Eliseo, la prima ministra, Elisabeth Borne, è stata ricevuta da Emmanuel Macron – che avendo annullato la visita di Charles III si è dedicato a cercare la via d’uscita dalla crisi – e ha l’incarico di mettere a punto, in due-tre settimane, un’agenda condivisa con le parti sociali e di trovare degli alleati per governare. Un programma disperato, anche se governo e presidente puntano sulla rassegnazione dei cittadini, favorita anche dal peso della violenza esplosa ai margini della nona giornata. Con disinvoltura, l’Eliseo, considera che la riforma delle pensioni è già “in pausa” in attesa del parere del Consiglio costituzionale atteso entro il 21 aprile, in risposta alla domanda del segretario della Cfdt, Laurent Berger, che chiede sei mesi, per aprire un dialogo e trovare una soluzione alla crisi. Ma Berger accoglierà la mano tesa del governo alla sola condizione di un ritiro del passaggio ai 64 anni per la pensione, chiede un «gesto forte» al governo e giudica «assurdo» far crollare la Francia nel caos «per così poco».

Geoffroy Roux de Bézieux, presidente del Medef (la Confindustria francese), vuole «passare ad altro», pur considerando che la riforma va fatta anche se «non è ideale», suggerisce al governo di «cambiare metodo» per il futuro, di appoggiarsi alle parti sociali e di «sedersi attorno a un tavolo».

È «DIFFICILE che il Consiglio costituzionale non censuri la riforma», sostiene il professore di Diritto Costituzionale Dominique Rousseau, per «ragioni di forma», il ricorso all’articolo 47.1 per abbreviare la discussione al Senato, la mancanza di «chiarezza e sincerità» richiesta dalla Costituzione, l’assenza di voto sulla legge all’Assemblée nationale a causa del ricorso al 49.3.

MA ORMAI LA VIOLENZA è diventata centrale. Dopo la registrazione di minacce contro dei manifestanti da parte della Brav-M, l’erede dei Voltigeurs degli anni ’80 (dissolti dopo la morte dello studente Malik Oussekine ai margini delle manifestazioni del 1986), la France Insoumise ha raccolto migliaia di firme per la dissoluzione dell’unità degli agenti antisommossa. La giustizia ha aperto 17 inchieste sulle violenze della polizia nei cortei. Un gruppo di avvocati denuncia i fermi preventivi in occasione delle manifestazioni, ma il tribunale di Parigi ha respinto la domanda di annullamento di questa pratica, presentata dall’Associazione di difesa delle libertà costituzionali.

NEL WEEK END la violenza si è concentrata a Sainte-Soline nelle Deux-Sèvres, dove scontri e repressione di una manifestazione non autorizzata contro la costruzione di bacini di raccolta d’acqua per l’agricoltura sono finiti con decine di feriti, un uomo di 30 anni è tra la vita e la morte, un altro grave, i contestatori dei «grandi progetti inutili» accusano i gendarmi, tra cui ci sono anche feriti, di aver ostacolato l’arrivo dei soccorsi. Macron accusa la France Insoumise di voler «delegittimare le istituzioni», il portavoce del governo, Olivier Véran, definisce Mélenchon e i suoi «rentiers della rabbia». Per la deputata di Europa Ecologia, Sandrine Rousseau, Macron e il governo «cercano l’incidente». La capogruppo di Renaissance (il partito di Macron), Aurore Bergé, ha mostrato una lettera di minacce anche contro il suo bébé di 4 mesi. La presidente dell’Assembée nationale, Yael Braun-Pivet, ha denunciato una missiva con contenuti antisemiti. 33 deputati della maggioranza e di Lr hanno ricevuto minacce o sono stati distrutti i loro uffici locali.

OGGI, NEL CORTEO parigino non ci sarà il segretario della Cgt. Philippe Martinez, 62 anni, è a Clermont-Ferrand al congresso del sindacato, che deve scegliere il suo successore. Sarà probabilmente una donna, o la delfina di Martinez, l’insegnante Marie Buisson o la più radicale Céline Verzeletti, statale. La Cgt attraversa un momento difficile, frammentata con la fronda delle categorie più forti che vogliono più radicalità e contestano l’ipotesi Buisson, che cerca un’apertura verso i temi ambientalisti

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ADDIO GIANNI. L'annuncio della famiglia affidato ai social: "Gianni Minà ci ha lasciato dopo una breve malattia cardiaca. Non è stato mai lasciato solo, ed è stato circondato dall’amore della sua famiglia e dei suoi amici più cari"

È morto Gianni Minà Gianni Minà nel corso della presentazione del suo libro "Così va il mondo" al centro sociale "Scugnizzo liberato", Napoli 31 maggio 2017 - ANSA/CESARE ABBATE

“Gianni Minà ci ha lasciato dopo una breve malattia cardiaca. Non è stato mai lasciato solo, ed è stato circondato dall’amore della sua famiglia e dei suoi amici più cari”. Così, su Facebook, la famiglia ha annunciato la morte del giornalista.

Nato a Torino, Minà ha iniziato la carriera giornalistica nel 1959 a Tuttosport, di cui fu poi direttore dal 1996 al 1998. Nel 1960 ha esordito alla RAI come collaboratore dei servizi sportivi per le Olimpiadi di Roma.

Nella sua carriera ha seguito otto mondiali di calcio e sette olimpiadi, oltre a decine di campionati mondiali di pugilato, fra cui quelli storici dell’epoca di Muhammad Ali.

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L'attore di Villanova di Bagnacavallo morto a 77 anni dopo il ritiro: «Recitare cambia la vita». Il legame con la Romagna, i matrimoni, la cacciata dal Pci, il voto per Grillo, la candidatura con Tsipras

Ivano Marescotti: il padre partigiano, il teatro e i film (da Benigni a Ridley Scott), la delusione della politica

Ivano Marescotti è stato uno dei più grandi figli-padri-maestri di una cultura eterna come quella del Carro dei Tespi. Un predicatore di teatro, che girava ovunque lo chiamassero, non aveva nemmeno bisogno di quattro assi per andare in scena. È morto sabato sera all’ospedale di Ravenna, aveva 77 anni compiuti il 4 febbraio. Tumore, una malattia che aveva già affrontato un quarto di secolo fa, lo aveva attaccato e fatto soffrire a lungo, come adesso: ne era uscito, proprio la sera in cui tornò su un palco seppe che suo figlio Mattia era morto, a 44 anni, tumore. Era un girovago ironico, amaro, comico, amava la poesia romagnola, Raffaello Baldini in testa, e uno scrittore acido come Pierre Lemaitre, il volto scavato, gli occhi mefistofelici come i suoi. «Per essere attori – diceva, citando la sua amica Piera Degli Esposti – bisogna calarsi nel proprio buio profondo, per risalire poi, portandosi alla luce». 

Il ritiro e l'insegnamento

Era dionisiaco, come Tespi, inventore della tragedia greca. Era partito anche lui su un carro nemmeno troppo metaforico, una ventina di anni fa gli avevano dato la direzione del teatro di Conselice, in quella piana di Ravenna dove era nato, a Villanova di Bagnacavallo, e sempre tornato. Con il terzo matrimonio, quando già il male già covava, si era fermato, ritirandosi da teatro, cinema, tv per dedicarsi interamente all’insegnamento nell’accademia di recitazione con il suo nome, fondata a Marina di Ravenna. «Recitare cambia la vita. È qualcosa che sconvolge il carattere, che capovolge il modo di vedere le cose anche dopo decenni che erano così immutevoli e ferme. Il teatro smuove e muove. Non fa teatro chi vuole fare l’attore. Fa teatro chi vuole scoprire cose che non sapeva di sapere e non ha paura di scoprire». Con Andrea Mingardi ha inciso, cappellacci e baffoni alla Passator Cortese, «Emilio Romagno». «Mi chiamo Emilio Romagno/ fra Don Camillo e Peppone compagno/ Mi piace la terra/ e anche la gente che non sa stare senza far niente».

La famiglia e gli amici

Versione romagnola di Testi, aveva sposato in seconde nozze Ifigenia Kanarà, greca, femminista amorosa e decisa, avevano avuto una figlia di intelligenza vivacissima, Iliade, ora ventenne, abitavano in fondo a via Galliera a Bologna, palazzo anni 60, vedevano i tetti. Con la moglie aveva fondato la società Nekamè (servo, lascia che) poi diventata Patàka, lingua maori, patacca romagnola grecizzato, che dal 2002 si era occupata del teatro di Conselice. Un anno fa Marescotti aveva sposato Erika Leonelli, 49 anni, legale in un’azienda ravennate, già allieva al Tam, il Teatro accademia Marescotti. Era nelle file in Palazzo d’Accursio a Bologna davanti al feretro di Lucio Dalla, con cui progettava spettacoli autogestiti di artisti bolognesi non famosi. Era a quello di Maurizio Cevenini, il politico uccisosi per le durezze della politica. «Diceva di sentirsi ormai solo un presentatore e che non faceva nemmeno più ridere. Terribile», raccontava. Non era a nessuno dei funerali religiosi dei quasi-amici.

Da Benigni a Ridley Scott

Aveva avuto successo come caratterista in film di cassetta e importanti, da Benigni Zalone, ha vinto un Nastro d’Argento dei critici («L’han vest giost lour») con lo sconosciuto nel cortometraggio Assicurazione sulla vita di Tommaso Cariboni Augusto Modigliani. Rideva di tre parti internazionali, come vescovo guerriero in «King Arthur», come capitano dei carabinieri in «Il talento di Mr. Ripley», assassino sardo in «Hannibal». «La mia faccia chissà cosa ispira agli stranieri». Custodiva, raccontava, inventava la memoria in ogni parte. Le stragi terroristiche, le cooperative, gli scariolanti, il nazifascismo, la miseria, le insurrezioni, mamma Speranza e babbo Amleto «un partigiano che non aveva mai studiato e aveva dedicato tutta la sua vita al lavoro nei campi». Scriveva, dirigeva, recitava, riscriveva Dante (Dante, un patàca) e Ariosto (Bagnacavàl, Orlando furioso in Romagna).

La delusione della politica

È stato costantemente deluso dalla politica amatissima. Fu cacciato dal Pci per «frazionismo» («Non sapevo cosa voleva dire. Lo scoprii quando a Genova, dove cercavo di cominciare a fare l’attore in una comune, arrivarono i carabinieri pensando fossimo brigatisti rossi»), ha votato Grillo, si è candidato alle elezioni europee 2014 nella lista Tsipras (ah, la speranza greca). «La Rai mi cancellò dagli schermi. Presi 12.837 voti. Primo dei non eletti. Il patto era che a metà mandato gli eletti si dimettevano per la rotazione. Nessuno mollò il posto. Solo Moni Ovadia se ne andò subito, primo nel Nord Ovest. Io ero nel Nord Est».

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