MIGRANTI, il ritorno dei muri in Europa, dalla prima barriera a Melilla al Brennero
"Il primo muro ad essere stato eretto nell'epoca di Schengen è stato quello Mellila, pagato con fondi della Ue, l'ultimo - almeno per il momento - la barriera del Brennero, che è in fase di realizzazione". "Il reticolato di Ceuta e Melilla, come gli altri che mano a mano sono stati costruiti, non hanno, ovviamente, risolto nulla, e l'evitare di affrontare dimensioni e realtà dei problemi per calcoli elettorali e di consenso politico ha portato alle conseguenze deflagranti di oggi. Le avvisaglie, però c'erano tutte, già vent'anni fa. Europadreaming " ( da ANSA 27 aprile 201616:21 News )
I muri sono un elemento di divisione che limitano il nostro orizzonte. Non è dato inoltre sapere, in prospettiva, da quale parte del muro vi sarà un futuro migliore. Isolarsi vuol dire non poter fruire delle ricchezze degli altri, sapendo che, senza integrazione, anche quanto ora momentaneamente ci appartiene inevitabilmente si esaurirà. Pensare di congelare coi muri eventuali privilegi è irrazionale, irrealizzabile e sconveniente; via quindi al sogno europeo che superando egoismi nazionali ci porti sulla unica strada dell’integrazione europea e ad una serena e fattiva collaborazione con il resto del mondo.
Alcune associazioni faentine, in occasione della giornata dell’Europa, hanno eretto il 09 maggio 2016 in Piazza del Popolo a Faenza una simbolica barriera per enfatizzare le incongruenze che stanno prendendo piede.
A chi attraversava la barriera veniva simbolicamente consegnato un passaporto europeo riportante parte del preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea:
“I popoli d'Europa, nel creare tra loro un'unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni.
Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà; essa si basa sul principio della democrazia e sul principio dello Stato di diritto. Pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. L'Unione contribuisce alla salvaguardia e allo sviluppo di questi valori comuni nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli d'Europa, nonché dell'identità nazionale degli Stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale; essa si sforza di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile e assicura la libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali, nonché la libertà di stabilimento".
Nella serata il Teatro due Mondi ha presentato in piazza lo spettacolo “Azione contro la quotidiana indifferenza” realizzato in collaborazione con migranti presenti sul territorio.
Il racconto di Massimo Serafini, politico e scrittore, fondatore de “il Manifesto”, membro della segreteria nazionale di Legambiente. Tratto da la nuovaecologia.it
Se non segnalasse anche un tragico declino del paese, la scarsa voglia di futuro di chi lo governa, il gusto diffuso di mentire delle sue classi dirigenti, ci sarebbe solo da seppellirli con una risata questi adoratori dei combustibili fossili che, per sostenere le amate trivelle, ripetono le stesse ragioni che io, bambino, sentii oltre sessant’anni fa quando le installarono e con esse arrivò anche l’industrializzazione di Ravenna: producono lavoro, danno autonomia energetica al paese, è un’attività sicura che non inquina, compatibile col turismo… Solo una concezione del popolo come qualcosa di facilmente manipolabile può indurre a mentire con tanta sfrontatezza.
Sessant’anni fa quelle parole forse avevano un significato, trasmettevano alla popolazione la speranza di
Leggi tutto: C’era una volta Ravenna e le trivelle - di Massimo Serafini
Commenta (0 Commenti)Il cuore del referendum è: le società petrolifere sono obbligate a smontare le piattaforme, chiudere e mettere in sicurezza i pozzi, bonificare i fondali a fine concessione. Se le concessioni non hanno fine (chi mai potrà dimostrare che un giacimento è esaurito?) nessuno smonterà le piattaforme e bonificherà le aree.
E' un regalo di qualche miliardo alle società petrolifere, che lasciano in eredità allo stato smontaggio e bonifiche.
Inoltre, non esistono per la legislazione italiana ed europea concessioni di beni pubblici a vita, queste concessioni sarebbero le uniche senza scadenza.
Infine non è neppure vero che non ci saranno trivellazioni nuove, non ci saranno nuove concessioni ma dentro le vecchie concessioni e permessi di ricerca (4 sono davanti a Marche e Abruzzo) il concessionario può fare altri pozzi.
Buon voto!
Ricorda che nella “rubrica telefonica” del Governo ci sono le lobby petrolifere, mentre nelle nostre rubriche c'è il popolo italiano che vuole difendere il mare dagli interessi di pochi!
Manda un messaggio a tutti i contatti della tua rubrica per votare e votare SI e invita tutti a fare altrettanto!
Non esitare, Fallo subito!
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Referendum sulle trivellazioni in mare entro 12 miglia marine (17 aprile 2016) Oggetto: Divieto di attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in zone di mare entro dodici miglia marine. Esenzione da tale divieto per i titoli abilitativi già rilasciati. Abrogazione della previsione che tali titoli hanno la durata della vita utile del giacimento.
Opinioni nella cristianità
Da Agensir, Servizio di informazione religiosa della Conferenza Episcopale Italiana, Gennaio / marzo 2016
Trivelle:
- diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, “votare Sì al referendum”
- Acli, votare ‘Sì’ al referendum per “pensare a un modello energetico pulito”
- vescovi Piemonte, votare a referendum “perché il mare ci interessa”
- mons. Santoro (Taranto), “esprimo, in termini personali, ragionevole fondamento al sì al referendum del 17 aprile”
- Azione Cattolica Puglia, per il referendum “ci sentiamo di esprimere il nostro sì”
- Costalli (Mcl), “il sì darebbe al Paese una nuova prospettiva”
- Monsignor Galantino: sulle trivelle “non c’è un sì o un no”, “gli slogan non funzionano”
- Referendum trivelle: è molto più di un quesito
- Focsiv, “i cittadini italiani devono lanciare un chiaro messaggio alla politica”
- mons. Santoro (Cei), “noi vescovi del sud siamo contrari alle trivelle in Adriatico e Jonio”
- Referendum trivelle: in primavera cittadini interpellati su scelte che modellano il futuro
LEGGI TUTTO SU http://www.c3dem.it
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A seguito della visita del Ministro dell'Ambiente Gianluca Galletti. presso la sede di Caviro e delle note uscite su alcuni organi di informazione locali ci permettiamo di inviare questa lettera aperta ( allegata ) a nome del Circolo Legambiente Faenza insieme ad altre associazioni impegnate sul territorio per la tutela e la salvaguardia dell'ambiente dove vengono riportate alcune riflessioni locali ma con riferimento a quello che noi riteniamo debba essere messo in discussione oggi in Italia.
Caviro, Hera, Enomondo: Qui c'è l'economia del futuro?
L'affermazione - alla quale noi ci siamo permessi convintamente di aggiungere un interrogativo - è del Ministro all'Ambiente Gian Luca Galletti, durante la visita allo stabilimento di Caviro distillerie di Faenza, lo scorso 15 febbraio.
L'apprezzamento nascerebbe dal fatto che l'azienda avrebbe “raggiunto performance di eccellenza nella sostenibilità ambientale attraverso l'applicazione integrale dei principi dell'economia circolare”.
Forse è bene precisare che generalmente si parla di “economia circolare”, (in alternativa a quella lineare, propria della cultura industriale del '900) perché tenta di chiudere i cicli naturali, evita i prodotti di scarto, che vengono riutilizzati come materie prima di altri cicli produttivi, come era proprio della civiltà contadina, dove praticamente non esistevano rifiuti.
Non ci sembra che Caviro, con l'annesso stabilimento di Enomondo, senza nulla togliere ad alcuni processi interessanti di recupero di residui delle proprie lavorazioni, sia in questa situazione. Importare biomasse e fanghi, di non sempre di chiara provenienza, da centinaia e centinaia di chilometri, e soprattutto bruciarli insieme a parecchi rifiuti, con tutto quello che comporta in termini di emissioni, produzione di ceneri, ecc. non è un esempio di eccellenza nella sostenibilità ambientale.
Ma il Ministro, che cita a sproposito l'accordo alla Cop21 di Parigi, dichiara di voler eliminare le discariche (forse non sa che qui c'è il progetto di ampliare quella di Imola-Riolo, ormai esaurita) e vuole puntare sugli inceneritori.
E' la strategia energetica di questo Governo (come peraltro di quelli precedenti) confusionaria e legata alle fonti fossili e inquinanti, che deve essere cambiata.
Come, il decreto “sblocca Italia” che prevede 12 nuovi inceneritori e, da ultimo, il decreto sulle Fonti rinnovabili non fotovoltaiche che prevede, per gli inceneritori, incentivi più alti rispetto a quelli previsti per l'eolico o il biogas.
Come, per altri versi, la volontà di far continuare, fino all'esaurimento dei giacimenti, le trivellazioni per l'estrazione di idrocarburi in mare, entro le 12 miglia. Questione sulla quale il 17 aprile siamo chiamati a votare con un referendum, nel quale è opportuno votare e votare SI.
Da ultimo, apprendiamo dalla stampa - con un certo stupore - che la visita del Ministro alla Caviro (alla quale hanno partecipato anche notabili locali come il Sindaco Malpezzi, il Senatore Collina, la Consigliera regionale Rontini) si è conclusa con “un incontro a porte chiuse per l'avvio di un tavolo di lavoro sulle attuali linee guida della politica del Ministero dell'Ambiente”.
Cosa significa? Che le scelte politiche in materia ambientale ed energetica vengono suggerite da Caviro, Hera, Enomondo?
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Sotto attacco la legge sulla vendita di armi a Paesi in guerra. La generazione che si oppose e lo scandalo odierno
Eugenio Melandri (Direttore di Solidarietà internazionale. Già direttore di Missione Oggi) Fonte: Città Nuova - 18 marzo 2016
È passato oltre un quarto di secolo da quando è stata approvata la legge 185/90 che regolamenta il commercio di sistemi d’armi in Italia. Una legge che, ancora oggi, è la più restrittiva in Europa e che è stata frutto di una larga mobilitazione della società italiana. “Armi italiane uccidono in tutto il mondo”: era l’incipit dell’appello dal quale nacque allora il comitato “contro i mercanti di morte”. Ricordo ancora le iniziative in tutte le città italiane, le assemblee di fabbrica con gli operai che lavoravano in fabbriche di armi, gli incontri con i gruppi parlamentari di tutti i partiti e con le commissioni parlamentari di Camera e Senato. Ho ancora presente lo stupore dei membri della commissione Esteri della Camera di fronte all’intervento di don Tonino Bello, allora presidente di Pax Christi. «Non vi chiediamo nulla di strano: solo di non vendere armi a matti più matti del manicomio internazionale».
Ora don Tonino non c’è più, così come non c’è più Aldo De Matteo, allora vicepresidente delle Acli, che seguiva passo dopo passo la campagna. Certo, i tempi erano diversi. Quando la campagna iniziò, non era ancora caduto il muro di Berlino. Si era da poco conclusa la presidenza della Repubblica di Sandro Pertini (1978-1985) che in un celebre discorso, citato proprio dall’appello da cui era nata la campagna, aveva gridato: «Si svuotino gli arsenali e si riempiano i granai». In Italia vi era una legge elettorale proporzionale con l’uso delle preferenze, che permetteva un rapporto diretto tra cittadini ed eletti. Che dava quindi la possibilità ai cittadini di rivolgersi al proprio parlamentare di riferimento e di controllarlo nel voto. Tutta una serie di situazioni che permisero al comitato “contro i mercanti di morte” – composto da 4 realtà della società civile: Acli, Mani tese, Pax Christi e Missione oggi – di allargarsi in pochissimo tempo, coinvolgendo diverse centinaia di associazioni. Per noi si trattava solo di un primo passo. Tanto che diverse volte ci eravamo detti che, il giorno dopo l’approvazione della legge, avremmo provocatoriamente presentato un disegno di legge di iniziativa popolare con un unico articolo: «L’Italia, in conformità all’art. 11 della Costituzione, decide di non costruire e commercializzare alcuna arma che possa essere usata in qualsiasi guerra».
La legge 185, come si sa, prevedeva soprattutto il divieto di esportare armi in zone di conflitto e in Paesi dove non fossero rispettati i diritti umani. La storia di questi 25 anni ci racconta invece che, purtroppo, in tanti casi si sono trovate scorciatoie per poterla eludere. Fino ad oggi, quando l’Italia continua a vendere armi a Paesi come Arabia Saudita ed Egitto. Proprio per questo è necessario riprendere e intensificare la mobilitazione. Il governo, almeno il governo, rispetti la legge.
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