RIFORME. Bonus, detrazioni fiscali, flat tax, svuotamento della revisione del catasto. E non è credibile la scommessa sull’aumento delle entrate perché c’è il ridimensionamento del Pil
Della riforma fiscale, definita «strutturale» dal presidente Draghi nel suo discorso d’insediamento alle Camere, non resta traccia. Intendiamoci, la legge delega verrà approvata, ma cambiata in peggio, aldilà di ogni aspettativa.
Il fisco italiano fa passi da gigante verso un sistema «proporzionale». Con la riduzione delle aliquote Irpef da quattro a tre e la conferma e l’estensione della flat tax viene di fatto sancito l’abbandono dei criteri di equità e progressività previsti dalla Costituzione. Il cosiddetto regime «duale» è sparito dai radar. Rimane una tassazione differenziata e di favore dei redditi da capitale e delle rendite finanziarie e immobiliari.
Sul Catasto, indietro tutta. La revisione degli estimi non avrà alcun effetto pratico. Non è tempo di aumentare le tasse. Le ville con piscina, accatastate come case rurali, e gli immobili ristrutturati nei centri storici, pur con valori aggiornati, continueranno a pagare imposte più basse degli appartamenti nei quartieri di periferia. Non è tempo nemmeno di far pagare un po’ di più chi eredita grandi fortune, e guai a parlare di
Leggi tutto: Dalla crisi dello Stato fiscale alla crisi dello Stato sociale - di Gaetano Lamanna
Commenta (0 Commenti)Una figura complessa come quella di Enrico Berlinguer ha lasciato dietro di sé un ampio spettro di immagini e di memorie diverse. Innanzitutto, la sua personalità, la sua onestà intellettuale, il modo di porsi di fronte all’opinione pubblica hanno incarnato più ancora che le sue proposte politiche il senso di un certo modo di concepire la politica e di essere comunisti. Per questo è stato spesso contrapposto ai democristiani, o a Craxi, giudicati antropologicamente agli antipodi.
C’è però anche un rovescio della medaglia: negli anni dell’accordo con la Dc (’76-’79), Berlinguer fu accusato di voler blindare il quadro politico e tradire i trent’anni precedenti del suo partito, così come nell’ultima fase della sua segreteria, la crescente distanza del Pci da alcune tendenze della società, l’isolamento a cui la sua linea sembrava condannarlo, la «questione morale», furono stigmatizzati dai suoi avversari e da gran parte dei mass media.
NEGLI ULTIMI DUE DECENNI proprio per quella «diversità comunista» Berlinguer è stato spesso dipinto, sul web in particolare, come un profeta dell’antipolitica ante litteram. Con un rovesciamento completo e del tutto anacronistico rispetto alla storia e alla visione politica proprie del politico sardo. Perché fu profondamente un uomo di partito e della forza politica più identitaria e novecentesca di tutte.
Quando nel 1972 Berlinguer divenne leader del Pci era poco conosciuto. Ciononostante, anche grazie al suo inaspettato carisma, il Pci conquistò un crescente consenso in un Paese che stava vivendo una grave crisi economica e politica. Una credibilità che traeva origine anche dalle sue coraggiose scelte in campo internazionale: l’eurocomunismo e il crescente distacco dall’Urss.
Nell’Italia del «lungo ‘68», che vide il più duraturo e intenso ciclo di lotte sociali dell‘Occidente, la segreteria di Berlinguer conobbe però alcuni dei suoi punti più critici. A cominciare dalla vittoria del «no» nel referendum sull’abolizione del divorzio. Se il Pci contribuì attivamente alla sconfitta del quesito abrogativo, Berlinguer si adoperò fino all’ultimo per evitare quel voto, temendo una contrapposizione tra laici e cattolici.
Del resto, il Pci, come quasi tutto il sistema dei partiti, non aveva compreso la profondità della «grande trasformazione», frutto dello sviluppo economico, che aveva cambiato il volto dell’Italia. E questo nonostante il fatto che Berlinguer si mostrò molto sensibile rispetto al più importante movimento del periodo, quello femminista, nei confronti del quale il Pci non manifestò quella volontà di disciplinamento che spesso caratterizzò la sua azione rispetto ad altri movimenti.
ANCHE LE VITTORIE ELETTORALI come quella del 1975, che portò il Pci ad amministrare mezza Italia, e quella del 1976, in cui raggiunse il 34,4%, furono segnate da profonde contraddizioni. Partito più votato dai giovani, pochi mesi dopo il Pci si trovò in rotta con una parte di quel mondo giovanile, il movimento del ’77. Inoltre, se è vero che il Pci intercettò quella potente spinta modernizzatrice che veniva dalla società e che si presentò a quegli appuntamenti sulla base della discussa linea del compromesso storico, è vero anche che i voti del ’75-’76 erano contro la Dc, erano per cambiare.
Ciò aprì una tensione molto forte nel Paese e nel Pci stesso. Negli anni in cui il partito comunista fu nella maggioranza di governo, nelle ricette per uscire dalla crisi economica – l’«austerità», i «sacrifici» -, Berlinguer si mise di traverso rispetto alla spinta potente della società dei consumi. L’offensiva terroristica, di poi, costrinse il Pci alla logica dell’emergenza: a quella economica si sommò quindi quella democratica.
IN CONCLUSIONE, Berlinguer ritenne che l’ingresso delle masse rappresentate dal Pci nell’area di governo fosse la principale riforma, che fosse possibile introdurre «elementi di socialismo», ma fu, per molti versi, un’illusione. Questo non gli fece vedere che i risultati ottenuti, ancorché non scevri di criticità, erano stati rilevanti: sistema sanitario nazionale, legge Basaglia e legge sull’aborto. Riforme «bidone» ma soltanto per chi nel decennio Settanta aveva sperato in una rivoluzione.
CRISI UCRAINA. Le ragioni per cui le sanzioni economiche possono essere anche peggiori della guerra
Un campo di grano nella regione di Kiev il 16 maggio 2022 - Yomiuri Shimbun via Ap
Il famoso pronunciamento del 28° presidente degli Stati uniti, Woodrow Wilson, sul finire della Prima guerra mondiale, secondo cui le sanzioni economiche sarebbero peggiori della guerra, pare ormai relegato al passato. Dopo un secolo, Biden ha cercato di resuscitarlo dicendo che l’unica alternativa ad esse sarebbe una terza guerra mondiale. Ma non è andato al di là del richiamo orrorifico.
Le ragioni sono più d’una.
La reciproca dipendenza economica tra gli Stati anche in un quadro, quale quello attuale, di de-globalizzazione, moltiplica e diffonde gli effetti delle sanzioni economiche e allo stesso tempo le depotenzia.
Non solo perché la loro efficacia dipende in modo decisivo dal ruolo dominante che assume nella geoeconomia e nella geopolitica la potenza che le impone. E la Ue è ben lontana dall’ambire a quel ruolo, mentre gli Usa cercano di invertire o almeno
Leggi tutto: Sanzioni, perché dalla guerra ognuno esce perdente - di Alfonso Gianni
Commenta (0 Commenti)Stiamo entrando in un’altra fase. Breve, lunga, di logoramento? E quando collocare le origini della crisi? Cina e assetto post globalizzazione, Afghanistan, oppure 2014, o solo tre mesi fa con l’invasione? Figuriamoci prefigurare scenari.
Il più accreditato sembra una lunga guerra super armata, diretta e teleguidata, tradizionale e digitale, locale e globale. Scenari altalenanti che cambieranno secondo cronache, dichiarazioni, esigenze tattiche. Ma il peggio lo abbiamo visto ed il fondo toccato. Ci si poteva fermare al riconoscimento delle due autoproclamte repubbliche e aprire una nuova fase di tensione diplomatica. La politica dovrebbe servire ad evitare guerre .
Ma nel gioco infernale di potenze, aree di influenza e, nel cuore vivo dell’Europa, l’impero putiniano ha scelto la trappola della soluzione militare – naturalmente congeniale ai regimi autoritari e certo accuratamente preparata da inglesi ed americani – scatenando una grande tragedia. Distruggendo cose e persone, riportandoci a barbarie come quella di Bucha che nessuno pensava di poter rivedere. Non solo. Politicamente e strategicamente distruggendo una strada di avvicinamento Est-Ovest, per una nuova Europa solida, più autonoma dagli Usa e nel mondo per un nuovo assetto geopolitico multipolare. Un danno enorme innanzitutto per le idee sulle quali la sinistra pensava di lavorare.
Che fare allora? Proporrei a me stesso e agli altri di prendere una piccola distanza dal quotidiano e dedicare un po’ di tempo alla riflessione. Non per trovare, nel bunker o nell’eremo, una risposta miracolosa, ma per riflettere fuori dalla mischia, dalle propagande e dalle ansie televisive. Non è un comodo tirarsi fuori, ma una scelta obbligata. Vedendo Greta e Vilma, due ragazze diverse per storia, colore, culture è evidente che il divario tra loro ed il potere è spaventoso ed oggi incolmabile. Ma anche quello tra paure delle persone in Italia e nel mondo e politiche e politici tutti i livelli è clamoroso.
Questa volta siamo davvero davanti al rischio che il mondo esploda: dal Covid alla guerra alle carestie non c’è dopo. Noi siamo a mani nude e questo va bene, ma anche in gran parte irrilevanti e questa è una tragedia. Il grande peso dei no ad altre armi ci incoraggia, ma questo mondo no war è disomogeneo, la cultura dominante è più guerresca da videogame che pacifista, non produciamo più visioni del mondo e letture dei processi geopolitici, non siamo più capaci di interagire con le nuove idealità dei giovani, di fare opinione e produrre senso e cultura. Per sentirci rappresentati da qualche voce dobbiamo guardare a persone nuove e spesso molto diverse da noi o ricorrere all’usato sicuro di Bersani o di Santoro. Da Greta e Vilma è proprio tanto. Troppo.
Eppure è in questo infinito spazio che dovremo vivere ed agire. L’angolo della sinistra nel quale penso dobbiamo riprendere a pensare al futuro non dovrebbe essere un rifugio per presuntuosi dotati di certezze e dogmi, ma un posto piacevole dove incontrare persone e soggetti con i quali già registriamo sintonie, convergenze, letture, sensibilità a prescindere da storie ed appartenenze. Diciamoci una cruda verità: oggi la relazione tra persone sensibili a questi temi e soggetti che producono analisi e pensiero non corrisponde più al vecchio schema verticale della rappresentanza politica.
Personalmente le persone di riferimento con le quali mi ritrovo oggi sono, ma poche, nel partitino Si in cui milito, pochissime nel partitone Pd che dovrebbe essere più vicino, molte nel mondo sparso di soggetti e giornalisti cattolici e movimentisti – W Avvenire e manifesto – buona parte nel movimento in via di ridefinizione di Conte, tante nei movimenti sociali su ambiente e lavoro. Gli steccati storici ci impediscono di uscire dai recinti e creare convergenze? Non dovremmo vergognarci di fronte alla dimensione di questi problemi di restare nei nostri orticelli senza spargere insieme semi da curare con l’amore che meritano? Vogliamo dedicarci a questo?
La ristrutturazione delle forze politiche è necessaria e da tempo la invochiamo. Ma deve salire dal basso, dai giovani ed dalle giovanissime. Fatevi avanti per favore.
DISARMO NUCLEARE. La commissione esteri della Camera vota l'attivazione in percorsi concreti di disarmo nucleare e di avvicinamento ai contenuti del trattato di proibizione delle armi nucleari (Tpnw)
Missile nucleare russo - Ap
Siamo soddisfatti di questo storico risultato a favore dell’impegno dell’Italia per il disarmo nucleare». È questo il commento di Senzatomica e Rete italiana Pace e Disarmo. I partner italiani della campagna Ican (premio Nobel per la pace 2017), dopo il voto in commissione esteri alla Camera che chiede al governo (che ha espresso parere favorevole) di attivarsi in percorsi concreti di disarmo nucleare e di avvicinamento ai contenuti del trattato di proibizione delle armi nucleari (Tpnw). Le richieste sono contenute in una Risoluzione che nel corso del tempo ha raccolto il sostegno di vari gruppi parlamentari (Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Italia viva, Manifesta) e che è stata poi approvata a maggioranza con il solo voto contrario di Fratelli d’Italia (ma il voto favorevole della Lega) e in cui si sottolinea come le armi nucleari costituiscano ancora oggi una grave minaccia per l’umanità e sia dunque necessario porsi l’obiettivo di una loro definitiva eliminazione.
«L’approvazione della Risoluzione a mia prima firma è un risultato arrivato dopo un lungo confronto con le altre forze politiche, iniziato a dicembre dello scorso anno. L’obiettivo della non proliferazione e del disarmo nucleare è sempre più importante e si rende ancora più urgente dopo la minaccia nucleare per l’invasione russa dell’Ucraina: dobbiamo proseguire con un approccio progressivo, graduale ma incisivo» è il commento di Laura Boldrini (Pd) che ha stimolato il dibattito con la presentazione di un testo che riprendeva molte delle istanze della società civile impegnata per il disarmo nucleare.
«Nella Risoluzione si chiede al Governo italiano di valutare l’opportunità di partecipare come Paese osservatore alla prima Conferenza degli Stati Parti del Trattato per la proibizione delle armi nucleari (Tpnw) del prossimo giugno. Una eventualità da prendere in seria considerazione, come hanno fatto Germania e Norvegia che sono Paesi Nato. Io stessa sarò presente alla Conferenza di Vienna su invito della campagna Ican che ho già incontrato diverse volte poiché ritengo che il disarmo nucleare sia la strada maestra per rendere il mondo più sicuro per tutte e tutti. È arrivato il momento di cambiare marcia» conclude Boldrini.
«Le armi nucleari minacciano la continuazione dell’esistenza umana. I nostri figli sono in pericolo. Dobbiamo dare speranza all’umanità con il disarmo nucleare: unica via realistica per vivere sicuri» aggiunge Graziano Delrio, tra i primi firmatari della Risoluzione. Mentre per Yana Chiara Ehm (componente ManifestA del gruppo misto) si tratta di «un risultato storico grazie ad un lavoro congiunto tra colleghi parlamentari che impegnerà il nostro Governo sulla strada del disarmo nucleare globale. È importante ribadirlo ora, con la guerra alle porte dell’Europa e decine di guerre e conflitti che imperversano nel mondo. Perseguire la strada del disarmo è un messaggio chiaro di pace tra popoli e di ripudio della guerra e sono orgogliosa di aver contribuito a tale risultato. Il lavoro parlamentare è prezioso e come tale deve avere un peso nelle decisioni politiche del governo».
Ma cosa comporta in concreto il testo votato in Commissione? Non si tratta ancora di un’adesione al Trattato Tpnw (come vorrebbe la maggioranza degli italiani, secondo diversi sondaggi) ma di un avvicinamento ai contenuti effettivi dello stesso. Non solo perché, come già sottolineato, la Risoluzione impegna l’esecutivo a «considerare, in consultazione con gli Alleati, l’ipotesi di partecipare come “Paese osservatore” alla prima riunione degli stati parti del trattato di proibizione delle armi nucleari» ma perché chiede anche di valutare «compatibilmente con l’obiettivo delineato, con gli obblighi assunti in sede di Alleanza atlantica e con l’orientamento degli altri Alleati, possibili azioni di avvicinamento ai contenuti del trattato Tpnw, in particolare per quanto riguarda azioni di assistenza alle vittime e risanamento ambientale» previsti da alcuni articoli della norma internazionale che al momento è stata ratificata da 61 Stati.
«Dopo questo passo positivo del Parlamento ora il Governo deve prendere una decisione coraggiosa – sottolineano Senzatomica e Rete Italiana Pace e Disarmo – e assumersi la responsabilità di mettere in pratica nel concreto l’aspirazione al disarmo nucleare che continua a ripetere a parole. Lo aspettiamo a Vienna e fin da ora chiediamo un incontro al Ministro Di Maio per esplorare questa possibilità». La partecipazione dell’Italia sarebbe davvero rilevante visto che, come altri alleati europei, è uno dei paesi che ospita le testate nucleari statunitensi, circa 40 distribuite tra Aviano e Ghedi.
* L’autore è coordinatore Campagne Rete Pace Disarmo
Commenta (0 Commenti)SCENARI. Il conflitto ucraìno non è al top dell’agenda di Biden, alle prese con le divisioni nella Nato allargata. Su di lui incombono le elezioni di midterm di novembre, l’inflazione e la crisi sociale
Joe Biden - Ap
Di ritorno da New York, sono e resto convinto che la guerra ucraina sia il sintomo di un pericolo globale che si alimenta della debolezza dei contendenti in campo: l’aggressore russo e il presunto beneficiario statunitense. Non certo l’Europa, che vede una parte del proprio territorio nuovamente ridotto a teatro di orrori e distruzioni causate da un conflitto a cui dovrebbe, e forse potrebbe, porre fine.
Basta osservare la propaganda di guerra che scaturisce da Washington e da Mosca e che si diffonde in tutta Europa, fino a diventare
Leggi tutto: La guerra in Europa e l’ambigua debolezza degli Stati uniti - di Gian Giacomo Migone
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