Il consesso delle nazioni è un peso: Israele dichiara persona non grata il segretario generale dell’Onu Guterres. Mentre scambia i primi colpi diretti con Hezbollah in Libano, bombarda Damasco in Siria, prepara il raid sull’Iran. Senza mai smettere di colpire Gaza: ieri 79 morti
Reportage Scontri diretti a sud, è la prima volta dal 2006. Otto soldati israeliani uccisi. Beirut senza pace: le bombe continuano a cadere sui civili
Sulle macerie di un palazzo bombardato a Beirut Epa/Wael Hamzeh
Una grossa voragine sul lato sinistro della strada, macchine capovolte e carbonizzate, edifici distrutti. A poca distanza un gabbiotto di cemento che dovrebbe essere un checkpoint ma è vuoto. Da dietro un albero a bordo strada spunta la mano di un militare che fa segno di proseguire. Nessun controllo e nessuna domanda.
È COSÌ che ti accoglie Tiro in questi giorni concitati. Siamo a meno di 100 km da Beirut, nella città più grande del Libano meridionale. Lo stato ebraico ha dichiarato che l’obiettivo dell’offensiva militare contro il vicino è eliminare Hezbollah o, più realisticamente, costringere i suoi miliziani a ritirarsi al di là del fiume Litani (storicamente noto come Leonte in italiano ma ora indicato da tutti con la sua denominazione araba) che poco a nord di Tiro sfocia nel Mediterraneo.
Nei piani di Tel Aviv Tiro dovrebbe rientrare in quella «zona cuscinetto» ampia circa 40 km che impedirebbe ai miliziani del Partito di Dio di lanciare razzi e incursioni sul nord di Israele. Diventerebbe, cioè, terra di nessuno. O al massimo un territorio formalmente libanese ma controllato di fatto dai militari di Tel Aviv o da truppe locali sue alleate. In passato una situazione del genere si è già verificata e Israele appoggiò in queste stesse aree l’Esercito del Libano del Sud, comandato all’inizio da Sa’d Haddad, giudicato tra i colpevoli del massacro di Sabra e Chatila nel 1982. La presenza dell’Els, tra l’altro contribuì a fasi alterne a destabilizzare il Libano meridionale fino al 2000 e cessò di fatto solo con la ritirata israeliana nello stesso anno.
ORA NEL PAESE dei cedri, le varie fazioni osservano attentamente gli eventi. Secondo gli analisti, sono diverse le figure che vorrebbero trarre vantaggio dall’indebolimento di Hezbollah e degli sciiti libanesi, soprattutto tra i cristiani maroniti. Questa breve digressione, che non ha nessuna pretesa di essere esaustiva, aiuta a capire due notizie fondamentali
Leggi tutto: Hezbollah e Tel Aviv faccia a faccia 18 anni dopo - di Sabato Angieri INVIATO A TIRO
Commenta (0 Commenti)In Iran passa la linea dei pasdaran: 180 missili balistici su Israele per vendicare l’uccisione dei leader di Hamas e Hezbollah generano molto allarme e pochi danni. Unica vittima accertata un palestinese a Gerico. La risposta, promette Tel Aviv, sarà dura e immediata
Escalation per l'inferno Tel Aviv annuncia che reagirà con massima forza contro l’Iran. Morto un palestinese a Gerico. Attentato armato a Giaffa poco prima dei lanci: due palestinesi hanno ucciso sei israeliani
L’allarme è scattato intorno alle 18.30. «Recatevi subito in un’area protetta, non uscite e aspettate il messaggio di cessato pericolo» era il testo apparso sullo schermo di milioni di telefoni cellulari israeliani. Quello di fine pericolo è arrivato un’ora dopo, al termine di almeno due ondate di missili balistici, in totale 180, lanciati dall’Iran verso Israele. Per molti minuti durante l’attacco, mentre l’urlo delle sirene squarciava il silenzio calato poco prima in tutti i centri abitati, il cielo è stato attraversato dalle scie e dalle luci generate dai missili inseguiti dagli intercettori. La seconda ondata è stata la più violenta, accompagnata da forti boati, anche a Gerusalemme, e dalle grida di persone spaventate. Le tv israeliane in diretta hanno mostrato i missili diretti su Tel Aviv e i suoi sobborghi. Nei video amatoriali postati sui social si sono visti missili che colpivano il territorio israeliano. Si sono registrati pochi danni materiali a Tel Aviv e minime sono state le conseguenze per i civili israeliani: solo due feriti leggeri. L’unico morto, secondo il bilancio aggiornato a ieri sera, è un lavoratore palestinese, Sami Asali, di Jabaliya. Sarebbe stato colpito in pieno dall’esplosione di un missile caduto su Gerico, nella Cisgiordania occupata.
Sei israeliani invece sono rimasti uccisi in un attacco compiuto con un’arma automatica e un coltello a una fermata di Giaffa della metropolitana leggera da due palestinesi di Hebron pochi minuti prima delle sirene per i missili in arrivo su Israele. Altre nove persone sono rimaste ferite. I due attentatori sono stati uccisi da agenti di polizia dopo un breve inseguimento. Ieri sera non era arrivata alcuna rivendicazione ma i due palestinesi potrebbero essere militanti di Hamas. Qualcuno ha anche ipotizzato un collegamento tra la sparatoria a Giaffa e l’attacco dall’Iran. La Guardia rivoluzionaria iraniana ha spiegato il lancio dei missili come una risposta alle uccisioni compiute da Israele del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, a fine luglio a Teheran, e del leader di Hezbollah venerdì scorso a Beirut. «Abbiamo colpito tre basi militari israeliane vicino a Tel Aviv», ha aggiunto. La televisione pubblica iraniana ha aggiunto che sono stati utilizzati missili ipersonici Fatah di fabbricazione iraniana.
L’attacco di ieri è stato più potente di quello dello scorso aprile, portato soprattutto con droni, che fu sventato quasi completamente dalle difese di Israele con l’aiuto decisivo degli alleati americani, francesi e arabi. Aiuto che c’è stato di nuovo ieri – anche da parte della Giordania – e che era stato assicurato da Joe Biden e dall’Amministrazione Usa quando il New York Times ha previsto l’attacco iraniano a Israele nel giro di poche ore al
Commenta (0 Commenti)Iniziate le incursioni di terra per entrare in Libano, i tank israeliani si ammassano al confine, «Netanyahu ci ha promesso un’invasione limitata» dicono gli Usa. Nessuno ferma più Tel Aviv, e Beirut diventa un campo profughi. L’Italia: lasciate subito il paese ma pagatevi l’aereo
Con permesso Nella città mediorientale il lungomare simbolo del neoliberismo estremo post-guerra civile si sta trasformando in un campo nomadi
Libanesi sfollati con gli occhi al cielo di Beirut, pieno di droni israeliani – Getty Images/Murat Sengu
Nei cieli di Beirut non si cerca un segno di Dio, ma l’elica di un drone israeliano. Notte e giorno sulla capitale libanese si sente un ronzio incessante che ricorda chi ha in mano la sorte di quanti camminano sulla terra in questa parte di mondo. Guardare verso l’alto assume così un senso nuovo, di fatale rassegnazione. È la guerra del terzo millennio che ha abbandonato i tamburi e si affida a un suono meno solenne per annunciare che la morte potrebbe venire da un momento all’altro.
Dal lungomare alla Piazza dei Martiri, Beirut è pervasa da un’attività febbrile di formicaio in emergenza. Motorini che sfrecciano ignorando ogni segnale stradale carichi di tappeti, materassi di gommapiuma e bustone tenute insieme dallo spago.
Famiglie intere che si spostano su due ruote rigorosamente senza casco e in ogni condizione possibile, dalle madri che danno il biberon ai neonati ai chi quasi sbanda con le bombole del gas o i boccioni di plastica dell’acqua. Non c’è dubbio: bisogna sbrigarsi. A tarda sera diversi media hanno dato l’allarme dell’inizio dell’invasione e il traffico è impazzito del tutto. Una parte degli sfollati ha scelto di cercare la salvezza in Siria, e secondo alcune stime sarebbero già in 100mila che hanno raggiunto il Paese confinante. Altri hanno solo cambiato quadrante di Beirut, spostandosi sul lungomare o sul piazzale antistante l’imponente moschea Al Amin.
L’ATTACCO di ieri nella zona di Cola, a poca distanza dal centro, ha però ricordato che non ci sono quartieri veramente sicuri a Beirut tranne, almeno per ora, Geitaoui, la parte cristiana a est della città. A ovest sono tutti sospettosi perché è evidente che gli israeliani sanno molto di più di quanto dovrebbero. Ad aiutarli ci sono i droni, gli Hermes 900, velivoli prodotti dalla Elbit di Haifa che hanno fino a 30 ore di autonomia e sono dotati dei più avanzati sistemi di monitoraggio, dalle videocamere ultrasensibili a diversi tipi di sensori e radar. Gli Hermes passano le informazioni direttamente ai satelliti di Tel Aviv e da questi il centro di comando operativo osserva tutto. Quando l’informazione è sicura viene dato l’ordine all’aviazione e, a seconda dell’obiettivo, si rade al suolo un intero isolato per Nasrallah o si fa saltare il piano di un palazzo per i membri del Fronte popolare di liberazione palestinese come ieri a Cola.
Senza bisogno di conoscenze tecniche o militari gli abitanti di Beirut, soprattutto quelli dei quartieri sciiti, hanno capito che
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Il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah è sotto le macerie dei sei palazzi bombardati da Israele a Beirut. Bombardamenti continui sul Libano, movimenti di truppe, la guerra totale forse è già iniziata, il mondo tace attonito. Tranne Joe Biden: «È stata una misura di giustizia»
Il ritratto di Hassan Nasrallah ieri nelle strade di Beirut – foto Houssam Shbaro/Anadolu via Getty Images
«Appena arrivata la notizia si sono fermati tutti, la gente trema, piange, grida e si batte il petto… è impressionante», commenta a caldo un volontario di una ong locale che distribuisce beni di prima assistenza al centro di accoglienza allestito nel complesso messo a disposizione dal ministero dell’Educazione, nella periferia a sud-est di Beirut, Dekwaneh. Da lì venerdì le esplosioni sono state nettissime, come fossero nel cortile della scuola. La notizia, in quel momento ancora non confermata, ha fatto il giro del mondo ieri: Hassan Nasrallah è morto. Tutti sanno che le cose sono cambiate.
LA COMUNITÀ SCIITA è sotto choc in tutto il Libano. A Beirut, nei quartieri meridionali, ma anche nei centralissimi Bashoura, Zarif o Basta si sentono le grida e il pianto a singhiozzi di uomini, donne e bambini per la perdita di un leader, di una guida politica, religiosa, militare, di un punto di riferimento. Perché considerare Nasrallah solamente un capo è profondamente riduttivo. Saranno giorni difficili, imprevedibili, di dolore e risentimento. Si sentono slogan come «‘aysh, ‘aysh!» (vive, vive) o come «Labbayka ya Nasrallah!» (Ai tuoi ordini, Nasrallah!).
Condoglianze sono giunte da molta parte del mondo politico libanese: Michel Aoun (ex presidente e alleato di Hezbollah), Walid Jumblat (capo della comunità drusa), Saad Hariri (ex premier e leader sunnita) hanno espresso messaggi di stima. Le Forze Libanesi, destra conservatrice cristiana e avversario storico della milizia-partito, non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali. Ma venerdì sera nella sede del partito di Geitawe, Beirut est, roccaforte del partito nella capitale, dopo il violento attacco e la notizia della presunta morte di Nasrallah, l’aria era di festa, con musica a volume alto fino a tardi.
TUTTA LA NOTTE tra venerdì e sabato l’aviazione israeliana ha continuato a bombardare la Dahieh, come è chiamata questa parte di Beirut. La gente si è riversata per le strade ed è
Leggi tutto: Morto Nasrallah, tutto cambia - di Pasquale Porciello Beirut
Commenta (0 Commenti)Netanyahu dice all’Onu di volere la pace. Poi va in albergo e ordina di bombardare Beirut. Mira al leader di Hezbollah, abbatte sei palazzi con le bombe anti-bunker. È una strage che infiamma il Medio oriente. La guerra totale è a un passo, oggi sarà un giorno da incubo
Intanto all'Onu Se alla squadra della luce è tutto possibile, chiunque muova dissenso (l’Onu, la Corte penale, i manifestanti nelle piazze) è oscurità. Intanto, però, in piena Beirut l’esercito israeliano sbriciolava intere palazzine
Carri armati e soldati israeliani al confine con il Libano Baz Ratner/Ap
Il discorso sulla pace che Benyamin Netanyahu ha letto ieri alle Nazioni unite non è terminato quando è sceso dallo scranno più alto del pianeta. Ma un’ora dopo, quando una serie di esplosioni senza precedenti ha ridotto in macerie sei palazzi a Beirut città, seppellendo un numero imprecisato di persone e terrorizzando un popolo intero. Poco prima che Netanyahu salisse su quello scranno all’Onu, a Berlino il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella diceva che «la pace non significa sottomissione e abbandono dei principi di dignità di ogni Stato e del diritto internazionale».
Il riferimento era alla guerra all’Ucraina, ma quella definizione è – o dovrebbe essere – universale. Eppure c’è pace e pace. C’è una pace che può sorgere solo dalla giustizia e dall’eguaglianza e c’è una pace intesa come mera assenza di conflitto.
In questa seconda «pace» il Medio Oriente vive da tempo, dentro i vari regimi che lo costellano, silenziatori seriali di dissenso, dove il conflitto sociale e politico necessario in un sistema democratico è soffocato. I palestinesi in una simile pace vivono impantanati da 74 anni: è la condizione per cui un’occupazione militare e un sistema di apartheid possono prosperare senza troppi scossoni se li si continua a gestire, facendoli assimilare ai tuoi, trasformati in secondini, e agli altri, ridotti a prigionieri. Fino all’esplosione.
È la pace di cui ieri, di fronte a un’Assemblea generale fantasma, ha parlato il primo ministro israeliano mentre la sua aviazione si preparava a cancellare un quartiere. Un ribaltamento concettuale, quello pratico lo vediamo ormai da un anno eppure non ha trovato spazio nel discorso fiume di Netanyahu. La pace? Si fa con la guerra, perché la pace che si va cercando è
Leggi tutto: Netanyahu, la civiltà del bombardiere - di Chiara Cruciati
Commenta (0 Commenti)Tele-Meloni Eletti Di Majo e Natale per 5s e rossoverdi; Frangi e Marano per Fdi e Lega. Il Mef indica Rossi e Agnes come ad e presidente. Scontro Conte-Schlein. La leader dem: «Le opposizioni erano unite, qualcuno ha cambiato idea». L’avvocato: siamo lì per vigilare, il Pd faccia l’Aventino per le direzioni e le testate dopo decenni di segno diverso. Fratoianni: abbiamo ottenuto l'avvio della riforma della tv pubblica
Peggio di così non poteva finire: con il centrosinistra diviso e avvelenato, la destra compatta e il nuovo cda Rai pronto a dare un’ulteriore stretta a tele-Meloni, con l’arrivo al timone del meloniano Giampaolo Rossi. Ad agosto le opposizioni unite avevano provato a mettere in difficoltà la destre: niente nomina del cda Rai senza una riforma del servizio pubblico che recepisca le indicazioni Del Media freedom Act europeo.
UNA BARRICATA CHE HA tenuto fino a un paio di settimane fa, quando era stata la destra a imporre un rinvio per le proprie divisioni interne. Negli ultimi giorni il fronte di centrosinistra si è sgretolato, con Conte che per primo si è detto disponibile a procedere alle nomine: e così ieri M5S e Avs hanno partecipato alle votazioni sui 4 membri del cda di nomina parlamentare, ottenendone due (la conferma di Alessandro di Majo per i 5S, per i rossoverdi entra l’ex Fnsi Roberto Natale), mentre il Pd, con Azione e Iv, ha confermato la linea dura.
PER LA DESTRA BOTTINO pieno: ha eletto l’ex direttore di Rai2 Antonio Marano (quota Lega) e Federica Frangi (già a Porta a porta e poi un passaggio nell’ufficio stampa di Fdi). Mentre il ministero dell’Economia ha completato la squadra con le due nomine più pesanti: Gianpaolo Rossi, amministratore delegato in pectore e Simona Agnes, designata in quota Fi come presidente della tv pubblica ma ancora sub iudice, visto che deve ottenere il voto dei due terzi della commissione di Vigilanza. Fi Italia sta lavorando per trovarle i voti, per palazzo Chigi non c’è particolare fretta: se non li troverà il presidente ad interim sarà il più anziano, e cioè Marano, e così anche Salvini avrà ottenuto qualcosa (anche se dalla Lega arriva un pizzino a Meloni: «La riforma Rai è più che mai necessaria»).
PER ORA IL DRAMMA è tutto a sinistra. Per il Pd non c’è solo la solita inaffidabilità di Conte (sui temi Rai più frequente del solito), ma anche lo strappo con i cugini di Avs. «Noi siamo
Leggi tutto: Rai, 5s e Avs votano il nuovo cda con le destre. Pd furioso - di Andrea Carugati
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