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Difesa Mattarella teme che a spingere il governo sia anche la volontà di frenare una possibile accelerazione sull’integrazione

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella rivolge il suo indirizzo di saluto in occasione della cerimonia di presentazione dei candidati ai Premi “David di Donatello” per l’anno 2025, 7 maggio 2025. ANSA/ Francesco Ammendola - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica. Foto Ansa Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella rivolge il suo indirizzo di saluto in occasione della cerimonia di presentazione dei candidati ai Premi “David di Donatello” per l’anno 2025, 7 maggio 2025. ANSA/ Francesco Ammendola - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica – Ansa

Quando si leva la fumata bianca il capo dello Stato, la presidente del consiglio e il folto stuolo di ministri e alti funzionari si spostano di fronte al video, in attesa di sapere chi prenderà il posto di Francesco. Se il presidente e la premier scambiano qualche parola al di fuori della formalità del Consiglio supremo di difesa riunito sul Colle, è il quel momento, al riparo da orecchie indiscrete.

L’ordine del giorno della riunione convocata e presieduta dal capo dello Stato era a tutto campo: dalla difesa europea a praticamente tutti gli aspetti di quella italiana. Il comunicato finale spazia infatti a largo raggio anche se i passaggi chiave sono quelli iniziali: «Il Consiglio ritiene che l’Alleanza atlantica resti la garanzia primaria per scongiurare lo spettro della guerra». Subito dopo il Consiglio sottolinea «l’importanza dell’impegno dei nostri contingenti militari e della capacità e determinazione a rispondere alle minacce esterne, nonché a concorrere alla difesa dello spazio aereo europeo dell’Alleanza». Un segnale a Trump ma anche all’Europa: il rifiuto di aderire alla coalizione dei volenterosi di Macron e Starmer per l’Ucraina non implica un disimpegno dell’Italia dagli obblighi militari della difesa comune.

Il presidente aveva però convocato il vertice soprattutto pensando al versante nazionale, pur sintetizzato in poche righe nel comunicato finale: «Il Consiglio ha preso in esame lo stato della prontezza ed efficienza delle nostre capacità militari, confrontandosi sugli interventi necessari per l’ammodernamento complessivo». Questioni tecniche ma urgenti: l’armamento italiano è in buona parte obsoleto, va ammodernato quanto prima. C’è un problema anche più urgente: gli arsenali sono semivuoti, salassati dai rifornimenti per l’Ucraina. Anche questo è un vuoto che per Mattarella va colmato al più presto.
Sin qui nessuna possibilità di frizione tra il presidente e la premier. Concordano in pieno. Mattarella, peraltro, ha accolto con soddisfazione anche se senza alcuna sorpresa la decisione di arrivare entro l’anno al 2% del Pil come contributo alla spesa Nato.

Quanto al piano di riarmo di Ursula von der Leyen, Readiness 2030, già ReArmEurope, Meloni è arrivata al vertice di ieri con alle spalle il fatto compiuto. L’Italia non ha chiesto di attivare la clausola che permette di fare debito per acquistare armi e la premier era decisa a tenere il punto anche di fronte a eventuali suggerimenti in senso opposto del capo dello Stato. Che peraltro non dovrebbero esserci stati. L’Italia è in buona compagnia. La Germania ha chiesto la clausola e con lei altri 15 Paesi, quasi tutti dell’est. Ma altri 12, tra cui Italia, Francia e Spagna non lo hanno fatto.

Il presidente sa che qui non si tratta di distinzioni sull’integrazione europea. La Germania ha bisogno del riarmo per reagire alla crisi innescata dalla guerra in Ucraina: riarmo e piano industriale in questo caso sono sovrapponibili. I Paesi dell’est sono a loro volta spinti dalla scelta di Trump: la sottrazione dell’ombrello americano. Temono Putin, si sentono scoperti, quindi riarmano costi quel che costi. L’Italia e quasi tutti i Paesi europei non dell’est hanno fatto una scelta diversa e la reazione del presidente è quindi molto meno contrariata di quella provocata dall’astensione del Pd sul riarmo nel Parlamento europeo. Quel voto era stato visto come un passo indietro rispetto alla priorità dell’integrazione europea e aveva pertanto irritato più di quanto non sia trapelato Mattarella. I dubbi che nutre oggi sulle scelte del governo sono della medesima stoffa.

Il presidente teme che a spingere il governo sia anche la volontà di frenare una possibile accelerazione sull’integrazione. Quella possibilità, per il Colle, oggi esiste realmente e non solo grazie al riarmo. Macron e Merz mirano apertamente a rilanciare l’asse franco-tedesco puntando in quella direzione su più fronti, incluso quello, indicato più volte da Draghi, della competitività. Solo se Giorgia l’americana, la premier che fa il tifo per la vittoria del candidato antieuropeista in Romania, si terrà fuori o parzialmente fuori da quella dinamica, le tensioni assenti ieri affioreranno eccome.