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La Corte costituzionale smonta la legge sull’autonomia differenziata firmata dal ministro della Lega. È illegittima nei suoi punti essenziali: non c’è un diritto delle regioni alla secessione e il parlamento non va tagliato fuori. Referendum in forse, ma governo già sconfitto

La decisione Censurati i due pilastri della legge: la cessione alle regioni di tutte le materie previste nel Titolo V, l’esclusione del Parlamento sui Lep. La devoluzione, in particolare, deve riguardare «specifiche funzioni» e deve anche essere giustificata. La Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso da altre regioni

Il Palazzo della Consulta sede della Corte Costituzionale foto Mauro Scrobogna/LaPresse Roma, la sede della Corte Costituzionale – Mauro Scrobogna/LaPresse

La legge Calderoli sull’autonomia differenziata è incostituzionale nei suoi due cardini: la devolvibilità alle regioni di tutte le materie previste dal Titolo V della Carta, nonché le modalità di determinazione dei Lep che escludono il Parlamento dalle decisioni in materia. In più altre norme vanno «interpretate» e attuate in una direzione diversa da quella su cui si stava muovendo il governo. Lo ha detto la Corte costituzionale in un lungo e articolato comunicato in cui ha annunciato le proprie decisioni, che saranno motivate sul piano giuridico nella sentenza che verrà pubblicata ai primi di dicembre.

Una sentenza che «smonta» la contestata legge targata Lega e apre scenari politici ancora da decriptare. Questioni inedite si aprono anche per la Cassazione, chiamata a decidere se vi siano ancora gli estremi per celebrare il referendum abrogativo della legge e, se sì, come riformulare il quesito.

IL COMUNICATO, diffuso ieri nel tardo pomeriggio, spiega che la Consulta «ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata», cosa che permette al governo di salvare la faccia. Tuttavia la Corte, dopo un preambolo sui principi solidaristici e unitari della Costituzione repubblicana, spiega che «ha ravvisato l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge», con un elenco impietoso, visto che riguarda i cardini del provvedimento.

In primis il fatto che possano essere devolute intere materie o anche tutte e 23 le materie previste dall’articolo 117 della Carta, «laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata». In effetti l’articolo 116 comma 3 parla di «forme e condizioni particolari» di autonomia di competenze.

IN SECONDO LUOGO il fatto che in tutti i suoi passaggi la legge Calderoli abbia messo nelle mani del solo governo la determinazione dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) che, insiste il comunicato, «concernono i diritti civili e sociali». In particolare la legge Calderoli affida a uno o più decreti legislativi la determinazione dei Lep, sui quali il Parlamento può solo esprimere un parere; a ciò si aggiunge che la legge delega sia «priva di idonei criteri direttivi». In più, le successive modifiche ai Lep sono affidate a dei semplici dpcm, decreti della presidenza del Consiglio – di pandemica memoria – su cui le Camere non possono nemmeno dare un parere.

GIÀ L’ABBATTIMENTO dei due pilastri della legge Calderoli è una Caporetto per il governo Meloni; come se non bastasse i giudici hanno indicato che

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Milano Cemento, speculazione e ingiustizia sociale sono i grandi rimossi di questi quindici lunghi anni di centrosinistra milanese

Cantieri a Milano Cantieri a Milano – Ansa

Si scrive Salva Milano, si legge grattacielo facile. Il parlamento si appresta a votare il disegno di legge sulla rigenerazione urbana che contiene anche l’emendamento che potrebbe sottrarre ai magistrati l’edilizia milanese finita sotto inchiesta.

LO SCONTRO VA AVANTI DA MESI: secondo la Procura a Milano ci sono decine di palazzi costruiti abusivamente, senza rispettare le norme nazionali e fatti costruire con maxi sconti a favore dei costruttori; secondo la giunta di Beppe Sala, invece, tutto è stato fatto seguendo le norme nazionali e le modifiche apportate nel corso degli anni. In particolare è il decreto Fare del 2013 votato dal governo Letta ad aver aperto la strada ai grattacieli facili milanesi.

ORA L’ACCORDO TRA MAGGIORANZA di destra e Pd prevede il salvataggio dei presunti abusi milanesi tramite lo strumento dell’interpretazione autentica della legge. Il testo al voto del parlamento dice sostanzialmente che è corretto che con una semplice Scia (la segnalazione d’inizio attività) si possano realizzare nuovi edifici oltre i 25 metri d’altezza, anche al posto di edifici bassi. Al comma 3 il testo spiega che «rientrano tra gli interventi di ristrutturazione edilizia gli interventi di totale o parziale demolizione e ricostruzione che portino alla realizzazione, all’interno del medesimo lotto d’intervento, di organismi edilizi che presentino sagoma, sedime, prospetti e caratteristiche planivolumetriche, funzionali e tipologiche anche integralmente differenti da quelli originari, purché rispettino le procedure e il vincolo volumetrico previsti dalla legislazione regionale o dagli strumenti urbanistici comunali».

TRADOTTO VUOL DIRE CHE E’ STATO corretto il rito dell’urbanistica milanese e che quindi costruire grattacieli lì dove prima c’era un edificio di uno o due piani è lecito anche senza approvare un piano attuativo, cioè quello strumento urbanistico che prevede procedure e valutazioni più complesse e costi per i costruttori più alti.

L’EDILIZIA CHE SFIGURA LA CITTA’ non è reato e le inchieste della magistratura milanese potrebbero finire lungo il binario delle archiviazioni. Un intervento a indagini in corso che aveva già sollevato le perplessità dei tecnici del Quirinale e che secondo diversi costituzionalisti sarebbe incostituzionale. Reato o non reato, ai cittadini resta sul groppone una città dove i grattacieli sono spuntati come funghi, dove il cemento verticale ha modificato la vista e gli orizzonti e dove la rendita immobiliare si sta mangiando ogni spazio libero.

CEMENTO E INGIUSTIZIA SOCIALE sono i grandi rimossi di questi quindici anni di governo di centrosinistra milanese. Con l’approvazione dell’emendamento Salva Milano il grattacielo facile diventerà però un modello nazionale, prêt-à-porter. I privati, i costruttori, gli sviluppatori, avranno più potere contrattuale nel pretendere dai comuni sconti e agevolazioni: se si può fare a Milano, si può fare anche altrove. Così nelle città scompare la pianificazione urbanistica pubblica a beneficio degli interessi e delle esigenze degli operatori privati.

UNA DEREGULATION CHE HA PORTATO in una città come Milano alla proliferazione di ristoranti e localini uno dietro l’altro, mentre librerie indipendenti e piccoli negozi al dettaglio, magari storici, sono costretti a spostarsi verso la periferia per l’aumento insostenibile degli affitti.

I GRATTACIELI FACILE INNESCANO a catena dinamiche di gentrificazione spinta tipiche delle città, ma che con questa urbanistica da luna park vanno alla velocità della luce. E la città premium che attira sempre più turisti consuma suolo ed espelle i suoi abitanti.

 

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Striscia continua Due camion dell’Onu entrano in una scuola del nord ormai svuotato, l’esercito la attacca. Il quotidiano israeliano: presenza militare di lungo periodo attraverso la distruzione degli edifici e le infrastrutture esistenti e la costruzione di nuove strade e basi militari

Palestinesi ispezionano un cratere dopo i bombardamenti israeliani in un campo che ospita sfollati interni a Khan Younis foto Haitham Imad/Ansa Il cratere provocato ieri da un raid israeliano nella «zona umanitaria» di al-Mawasi, vicino Khan Younis – Epa/Haitham Imad

I camion di aiuti umanitari erano appena arrivati nel cortile della scuola Mahdia al-Shawa di Beit Hanoun, nel nord di Gaza in piena carestia. Poi l’incendio: a denunciare l’attacco perpetrato dall’esercito israeliano sono video sui social che hanno trovato conferma nelle dichiarazioni dell’agenzia Onu per gli affari umanitari, Ocha. I due camion trasportavano razioni di cibo, sacchi di farina e acqua imbottigliata, una missione organizzata dal World Food Programme e autorizzata da Israele l’11 novembre.

A GAZA NORD sono arrivati martedì, nella scuola-rifugio per sfollati tramutata come centro di distribuzione alla popolazione della città sotto assedio. Ma subito dopo l’arrivo, dice Ocha, l’esercito israeliano ha attaccato la scuola costringendo gli sfollati a fuggire. Ha poi appiccato l’incendio che ha definitivamente distrutto l’edificio. Una pratica denunciata da settimane, la distruzione meticolosa di case e rifugi per gli sfollati volta a impedire il ritorno della popolazione cacciata via.

Si somma alle stragi: sarebbero oltre 2mila i palestinesi uccisi nel nord di Gaza dal 6 ottobre scorso. Da parte sua il ministero della difesa israeliano, tramite un suo portavoce, ha detto all’agenzia Middle East Eye che non esiste al momento alcuna politica per l’invio e la distribuzione di aiuti a nord per mancanza di «direttive da parte della leadership politica». Dichiarazioni che smentiscono le già vaghe indicazioni israeliane date al dipartimento di stato Usa, che ha comunque balbettato di apparenti «miglioramenti» della situazione per non interrompere l’invio di armi a Tel Aviv, come minacciato un mese fa.

Otto organizzazioni internazionali tra cui Oxfam e Save the Children hanno risposto in un rapporto di 19 pagine in cui accusano «Israele non solo di aver fallito nel rispettare i criteri posti dagli Usa…ma di portare avanti azioni che hanno drammaticamente peggiorato la situazione». Oltre al fuoco, allo sfollamento e agli assedi, anche il blocco degli aiuti: di 98 missioni umanitarie dell’Onu, scrive Ocha, solo nove sono riuscite ad accedere al nord in sei settimane.

L’ultimo esempio è di ieri: otto uccisi nella «zona umanitaria» di al-Mawasi a sud, un raid ha centrato la casa della famiglia Abu Taha, dove vivevano tante famiglie sfollate. Più tardi altri cinque uccisi nella stessa zona. È in questo contesto di mix di pratiche genocidiarie che ieri Haaretz ha pubblicato un’inchiesta in cui – citando alte fonti dell’establishment militare – scrive che Tel Aviv intende mantenere una presenza a Gaza di lungo periodo.

ALMENO FINO al 2026, scrive il quotidiano israeliano, attraverso «la distruzione degli edifici e le infrastrutture esistenti di modo che nessuna forza possa nascondercisi dentro, ma pure che nessuno possa viverci» e la costruzione di nuove strade e basi militari. L’esercito, aggiunge Haaretz, dice di aver trasformato il nord di Gaza in un’enclave militare, costringendo la popolazione civile a sfollare. Dei 400mila suoi abitanti, ne resteremmo appena 20mila.

Sul fronte libanese, nuovi ordini di evacuazione a Beirut come nel su del paese e nuove stragi: 78 gli uccisi solo nella giornata di martedì. E nuove chiusure al cessate il fuoco: se le autorità libanesi continuano a sperare in una tregua, a spegnere eventuali entusiasmi è stato ieri il neo ministro della difesa israeliano Katz, secondo cui Tel Aviv non intende «concludere nessun cessate il fuoco e non autorizzeremo nessun accordo che non includa il raggiungimento dei nostri obiettivi di guerra». Ovvero il disarmo di Hezbollah, aggiunge Katz, e il suo ritiro oltre il fiume Litani

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Fratello grande Il Capo dello Stato dopo i tweet contro i giudici: «Chi fa parte di governi amici non ci dia prescrizioni». Il miliardario lo sfida: non mi fermo. Il precedente del 2022, quando il Colle frenò le critiche a Meloni della Francia. Nel 2023 il monito del presidente contro gli oligarchi del web che concentrano poteri e «non vogliono regole». L’Anm: perchè il governo non reagisce? Anche questi sono confini da rispettare. Schlein: i sovranisti italiani si fanno dare la linea da un magnate Usa

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella foto Francesco Ammendola Sergio Mattarella – Ansa

«L’Italia sa badare a se stessa nel rispetto della sua Costituzione» e nessuno dall’estero «può impartirle prescrizioni». Sergio Mattarella replica con ferma durezza a Elon Musk, che in due tweet – tra martedì e ieri- aveva scritto «questi giudici devono andarsene», per poi definire i magistrati italiani «un’autocrazia non eletta che prende le decisioni».

Ma il miliardario fresco di nomina nella squadra di Trump, che aveva messo nel mirino i giudici italiani sul caso Albania, sente l’amica Meloni e replica a stretto giro: «Continuerò a esprimere le mie opinioni tutelate dal Primo emendamento e della Costituzione italiana». Tra i due tweet anti-giudici, era riuscito a scriverne un altro per definire la ong Sea-Watch un’«organizzazione criminale».

LA REPLICA DI MATTARELLA, pur senza citare Musk, è molto diretta. E arriva circa due ore dopo il terzo tweet di Musk, quello sull’autocrazia. «Chiunque, particolarmente se, come annunziato, in procinto di assumere un importante ruolo di governo in un Paese amico e alleato, deve rispettarne la sovranità e non può attribuirsi il compito di impartirle prescrizioni».

Nel suo messaggio, il capo dello Stato ricorda che già nell’ottobre 2022, quando Meloni vinse le elezioni, aveva utilizzato le stesse parole per replicare alla ministra francese Laurence Boone, che aveva annunciato una sorta di «vigilanza» sull’operato del governo di destra centro. «L’Italia sa badare a stessa» ripete il Capo dello Stato esattamente due anni dopo rivolgendosi a Musk, appena nominato capo del Dipartimento per l’efficienza del governo americano.

NEPPURE DOPO IL SECONDO tweet del miliardario vicino a Trump, da palazzo Chigi e dintorni nessuno aveva sentito il bisogno di dire qualcosa. Ci ha pensato il Quirinale che, sempre nel rispetto delle sovranità di tutti i paesi, da tempo avverte dei rischi democratici rappresentati da individui e imprese multinazionali che nello scenario globale pesano più dei singoli stati.

Parlando alle alte cariche dello Stato a fine dicembre 2023, Mattarella aveva evocato 1984 di Orwell, ricordando per i giganti del web «l’esigenza di regole per evitare che pochi

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Riforme Da una parte quattro regioni guidate dal centrosinistra contro la legge Calderoli, dall’altra tre del Nord in linea con il governo. Lo scontro sull’Autonomia differenziata è arrivato ieri alla Consulta, […]

Autonomia, la Consulta decide entro dicembre

 

Da una parte quattro regioni guidate dal centrosinistra contro la legge Calderoli, dall’altra tre del Nord in linea con il governo.

Lo scontro sull’Autonomia differenziata è arrivato ieri alla Consulta, chiamata a pronunciarsi su questioni di costituzionalità sollevate dai ricorsi di Puglia, Toscana, Sardegna e Campania che hanno impugnato la legge nella sua totalità e anche con riferimento a specifiche disposizioni.

Una battaglia a suon di ricorsi che ha visto alternarsi ieri in Aula, durante un’udienza fiume, gli interventi degli avvocati delle regioni ricorrenti (Campania, Puglia, Sardegna, Toscana), delle tre del nord (Lombardia, Piemonte e Veneto) che si oppongono a questi ricorsi e dell’Avvocatura dello Stato.

La Corte si riunirà a partire da oggi in camera di consiglio e la decisione è attesa nelle prossime settimane. La sentenza verrà depositata in ogni caso entro metà dicembre, quando la Cassazione deciderà sull’ammissibilità dei referendum abrogativi.

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Dirottare alla Difesa i Fondi per le aree povere dell’Unione, un terzo del budget europeo. La Commissione von der Leyen punta tutto sugli armamenti, ancor di più dopo il ritorno di Trump. Incaricato per la Coesione è l’italiano Fitto, ieri sotto esame. Il Pd vuole farlo passare

Svolta a destra Il Financial Times rivela: dei 379 miliardi per ridurre i divari è stato impiegato solo al 5%. Quella posta potrebbe finire in armi

ll drone VTOL Leonardo AWHERO è esposto di fronte a un elicottero AW149 durante il Farnborough International Airshow 2024 GettyImages ll drone VTOL Leonardo AWHERO esposto con un elicottero AW149 durante il Farnborough International Airshow 2024 – GettyImages

L’angolo di attacco per rilanciare la Ue e, al tempo stesso, rispondere all’indifferenza Usa accentuata dalla vittoria di Trump è accelerare sulla difesa comune europea. Ieri all’Eliseo il nuovo segretario della Nato, l’olandese Marc Rutte, ha lanciato un messaggio a Trump, ricordando all’isolazionista che «la guerra della Russia all’Ucraina è una sfida anche per la sicurezza Usa». Mentre a Strasburgo l’estone Kaja Kallas, candidata alla carica di Alta rappresentante per la politica estera e la difesa, ha ripetuto che la Ue deve sostenere l’Ucraina «fino a quando sarà necessario».

NELL’INCONTRO con Rutte, Emmanuel Macron ha insistito sulla necessità non solo di «un’Alleanza forte» ma al suo interno di «una crescita di potenza» della Ue. Oggi al Collège de France, Macron discuterà di competitività europea con Mario Draghi, che nel suo recente Rapporto alla Ue ha dedicato ampio spazio allo sviluppo della difesa, valutando intorno ai 500 miliardi la spesa dal prossimo anno. Il commissario-candidato alla nuova carica sulla Difesa europea, il lituano Andius Kubilius, ha spiegato nella sua audizione di fronte al Parlamento europeo la scorsa settimana che la Ue deve «spendere di più» per la propria difesa, deve «creare un mercato europeo», certo «non per fare la guerra ma per mantenere la pace».

STA DI FATTO che gli europei, che gli americani hanno definito «scrocconi» perché non pagano abbastanza per l’ombrello Usa nella Nato (è stato posto un obiettivo del 2% del Pil ma si tende già ad alzare il livello), devono trovare i finanziamenti per questa politica. Ma i «frugali»

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