Nella foto: Manifestazione di Non Una Di Meno a Roma, del 23 novembre. Contro la violenza maschile e le guerre via Getty Images
Oggi un Lunedì Rosso dedicato alla giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile sulle donne e violenza di genere.
Mandiamo con questa newsletter alcuni degli articoli usciti con lo speciale di sabato dedicato a questo tema.
Il titolo dell’inserto è “Furore”. Una parola politica già disarmata, da rilanciare nei nostri luoghi come passione del presente.
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Libano Nessun ordine di evacuazione sulla capitale. Colpito il centro, 15 uccisi e si scava ancora. Le bombe in piena notte sul quartiere artigiano di Basta terrorizzano la popolazione: «Siamo sfiniti». Pesanti raid a est e sud: decine di morti
Un attacco aereo israeliano nell'area di Al-Chiyah del distretto di Dahieh, a Beirut, in Libano – Wael Hamzeh/Ansa
Basta è un dedalo di vicoli, stradine, slarghi, una mappa irregolare sul dorso della collinetta che scende verso il parlamento e la downtown di Beirut, il centro del centro della capitale, dove si arriva passeggiando in pochi minuti.
«Sono saltata letteralmente dal letto e ho scritto ai miei amici per sapere se stavano bene, se avevano sentito anche loro…e per non sentirmi sola», racconta Miriam, svegliata in piena notte alle 4 dalla serie di esplosioni che hanno abbattuto una palazzina di otto piani a Basta Fawqa, la parte superiore del quartiere sciita colpito sabato mattina prima dell’alba dall’aviazione israeliana.
COME LEI, mezza città si è svegliata nel cuore della notte. «Nessun responsabile di Hezbollah si trovava nel palazzo», fa sapere il partito sciita, mentre l’esercito israeliano e altre fonti parlano di un solo responsabile. Sono almeno 15 i civili uccisi, oltre 60 i feriti. Si scava, fino a sera.
Al tramonto, dopo 12 ore, la strada principale che unisce Beirut est a Beirut ovest, un tempo impraticabile il sabato sera, è illuminata solo dalle luci blu intermittenti delle ambulanze, che fanno avanti e indietro, e dei mezzi dei vigili del fuoco, che continuano a scavare nella speranza di trovare superstiti. Basta è un quartiere popolare, di artigiani, si vendono mobili a basso costo usati, ma anche antiquariato, meravigliose madie, specchi intarsiati, armadi di legno pregiato e madreperla, antiche manifatture damascene.
«SI VENDEVANO, ora da qualche mese praticamente niente», corregge Ahmad, mercante del posto. La voragine lasciata dall’esplosione è impressionante. Si tratta del quarto attacco fuori dalla Dahieh in una settimana. La consuetudine adesso è non avvisare: l’esercito israeliano bombarda senza dare nessun ordine di evacuazione.
Innumerevoli i bombardamenti su Beirut sud, la Dahieh appunto. Il campus dell’Università Libanese, nel quartiere di Hadath, è stato danneggiato. Nella zona di Santa Teresa (Hadath), un’area a ridosso di un ospedale è stata colpita, causando il panico.
In mattinata, alle 9.30 l’ennesima esplosione violentissima, questa volta tra Hadath e Chiyah, tra i pochissimi quartieri ancora abitati. «È stata più forte di quella di Nasrallah (leader di Hezbollah ucciso il 27 settembre, ndr). Pensavo avessero bombardato il porto, davanti casa mia, ma poi ho pensato che non ne è rimasto niente dal 4 agosto 2020», racconta Rita, che porta addosso le cicatrici di quel giorno.
A Baalbek e nella Bekaa, ad est, almeno 33 morti e 18 feriti in un primo bilancio mattutino, a cui poi il ministero della salute libanese ha aggiunto altri 24 morti e 45 feriti. A Chmestar, nell’area, l’aviazione israeliana ha ucciso otto persone, di cui quattro bambini. Due pescatori ammazzati a Tiro, in un raid sulla spiaggia della città nel Libano del sud. Qui il bilancio totale è di almeno cinque morti e una ventina di feriti. Fosforo bianco su Mari (Hasbaya, a sud), su una struttura dell’esercito libanese.
ISRAEL KATZ, ministro della difesa israeliana, in una conversazione con il suo omologo statunitense Lloyd Austin ha affermato che Israele «continuerà ad agire con determinazione, a colpire le infrastrutture terroristiche di Hezbollah e a eliminarne i dirigenti terroristi». Hezbollah ha lanciato missili sulla base di Shraga, sede amministrativa del comando della brigata Golani, su Acre, Kyriat Shmona, Safed e altri presidi militari nel nord di Israele.
Violenti i combattimenti sul terreno a Khiam (Nabatieh), al confine, e nella città costiera di Bayada. In campo aperto Hezbollah tiene e finora non ha permesso l’avanzata della fanteria israeliana, respingendo di volta in volta le incursioni. L’esercito israeliano ha annunciato due giorni fa che 1.018 soldati sono stati feriti e 83 uccisi dall’inizio delle operazioni di terra nel sud del Libano da Hezbollah e dai gruppi affiliati. Continuano gli scontri anche intorno alla base italiana Unifil di Chama (come intorno a quella di Naqora), dove venerdì quattro soldati italiani sono stati leggermente feriti da missili lanciati probabilmente da Hezbollah.
Il ministro della difesa italiana Crosetto aveva ammonito Israele di non operare a ridosso della base usandola come «scudo», che è il motivo per cui si ipotizza sia stata colpita – volontariamente o meno – dal Partito di Dio. Il premier ad interim Najib Mikati ha rassicurato ieri Giorgia Meloni si impegnerà affinché venga fatta chiarezza sull’«inaccettabile» atto.
Rita chiude il suo racconto con una riflessione disarmante: «I traumi qui non si risolvono mai, si accumulano. Siamo stanchi anche di quest’etichetta attaccata sulla fronte che abbiamo di popolo resiliente, una parola di cui si riempie la bocca chi parla in maniera superficiale del Libano. Quale resilienza. Siamo sfiniti, feriti, umiliati».
Commenta (0 Commenti)5 Stelle Il leader annuncia: «Superata la soglia del 50% dei votanti» Oggi l’esito delle urne su regole interne, alleanze, due mandati
Giuseppe Conte sul palco delle kermesse del M5S – Ansa
Sono le 19.30 quando Giuseppe Conte sale sul palco di «Nova», la kermesse del Movimento 5 Stelle del Palazzo dei congressi, per annunciare che il primo obiettivo è raggiunto con qualche ora di anticipo: il quorum dei quasi 45 mila votanti alla consultazione che si tiene in parallelo online tra gli iscritti è stato raggiunto. Significa che la votazione è legittimata politicamente e, nel caso dei quesiti che cambiano lo statuto, anche formalmente. Non sono serviti, dunque, gli appelli più o meno velati di Beppe Grillo e i suoi a boicottare l’assemblea costituente pensata per proiettare il M5S in una nuova fase della sua storia.
«STIAMO attraversando il punto più basso della politica il momento di massimo inquinamento per questo abbiamo pensato di dare l’esempio – dice Giuseppe Conte aprendo i lavori – E lasciatemi dire che per un movimento che è nato sulla partecipazione democratica invitare a non votare è la contraddizione del principio fondamentale».
OSPITI E RELATORI si avvicendano su di un palco circolare bianco circondato da ogni lato dalle file della platea. Il colpo d’occhio segnala i mutamenti. Il pubblico delle kermesse dell’era Grillo-Casaleggio era sostanzialmente televisivo, per cui aveva un’età media abbastanza alta. In questo format l’asticella anagrafica si abbassa leggermente. Conte ha investito nella creazione di una classe dirigente. Non si può (ancora) dire che l’operazione gli sia riuscita ma dentro il Palazzo dei congressi si agita un corpaccione di quaranta-cinquantenni. Rappresentano l’infrastruttura attuale del M5S, forza politica che in questi anni tra abbandoni, dimissioni, rotture ed esaurimento del ciclo dei due mandati ha consumato parecchie risorse umane.
IL TEMPO di scaldare i microfoni e per un attimo, la sala sembra diventare una delle arene infuocate dei partiti della prima repubblica: una ventina persone urla verso Conte «Dimissioni dimissioni». In mezzo a loro c’è anche Marco Bella, che era deputato nella scorsa legislatura e che contesta il nuovo corso con il gruppo che si è autodenominato «Figli delle stelle» e che indossa magliette con la faccia di Grillo e Casaleggio. «Hanno provato a delegittimarci ma noi siamo aperti anche al dissenso», minimizza l’avvocato. Che cerca di spiegare di aver scavalcato i fondatori sul loro terreno: «Gianroberto Casaleggio per primo ha individuato potenzialità della democrazia diretta su piattaforma digitale – afferma l’ex premier – Ma noi stiamo andando oltre verso la democrazia partecipativa per definire Obiettivi strategici e progetti di cambiamento della società».
PER ANDARE col Pd? Uno dei quesiti sui quali si sta esprimendo la base (oggi pomeriggio, in chiusura, i risultati) riguarda proprio la collocazione. Pasquale Tridico, che è stato uno dei più convinti traghettatori del M5S verso The Left a Bruxelles, interroga il suo collega Joseph Stiglitz su cosa significhi essere di sinistra. «Per un movimento progressista è fondamentale combattere le disuguaglianze – dice Stiglitz – Le coesione sociale aumenta la fiducia dei cittadini. E se vogliamo essere equi per le future generazioni dobbiamo salvare il pianeta».
SAREBBE SBAGLIATO dire che circolano sentimenti trumpisti, ma è indubbio che da più parti si allude al fatto che Trump ha vinto perché l’anti-politica ancora paga. Assunto che cortocircuita con i mutamenti di questi mesi e con quelli proposti da Conte. «Prima l’emergenza era la Casta – riflette ad esempio dietro le quinte un membro dello staff – Adesso l’emergenza è battere la destra».
È INEVITABILE il gioco delle presenze e delle assenze. Non pervenuta Virginia Raggi. C’è Chiara Appendino, che nei giorni scorsi ha espresso qualche dubbio sulle alleanza ma che si dice «felice per il raggiungimento del quorum». Sono pochi i parlamentari del ciclo precedente, quelli del debutto nel Palazzo e della conquista del potere. Ecco allora l’ex capo politico e traghettatore Vito Crimi, oggi funzionario di partito. E Paola Taverna, che da responsabile degli enti locali, distribuisce stelline «natalizie ma con la forma del presidente» ai gruppi territoriali. Come previsto è arrivato Roberto Fico. Si aggira Stefano Buffagni, viceministro allo sviluppo economico nel Conte II un tempo considerato vicino a Luigi Di Maio che l’altro giorno ha criticato Tridico perché «troppo di sinistra». Oggi si prosegue con, tra gli altri, la leader della Bsw tedesca Sahra Wagenknecht. Poi arriverà il responso su regole e coordinate politiche. Anche se il modo in cui sono formulate le domande, senza risposte secche e con più opzioni, difficilmente restituirà un esito che confligge con le condizioni dettate da Conte.
Commenta (0 Commenti)Il limite ignoto Dopo il lancio del nuovo missile ipersonico l’Ucraina convoca gli ambasciatori Nato. Per l’intelligence militare di Kiev, Mosca dispone solo di alcuni prototipi di Oreshnik
Sumy, soccorritori ucraini portano via in barella un ferito da un attacco russo
Il giorno dopo il primo lancio del missile ipersonico russo Oreshnik sull’Ucraina è tempo di assestamento. La Russia esulta: nonostante il bombardamento in sé non sia stato nulla di eclatante, la sola notizia che Mosca ha testato un nuovo ordigno è bastata a impressionare il mondo. E sembra proprio che il Cremlino non aspettasse altro.
Il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha dichiarato che le forze armate russe «hanno chiaramente dimostrato la propria capacità di rispondere all’Occidente» in caso di attacco. Inoltre, prosegue Peskov, durante il discorso di giovedì sera del presidente Putin «anche le risposte successive sono state delineate inequivocabilmente, a meno che le nostre preoccupazioni non vengano prese in considerazione».
LE AGENZIE RUSSE hanno dato ampio risalto alle capacità dell’Oreshnik, citando diversi personaggi come il comandante della divisione missilistica dell’esercito russo, il quale ha affermato che i nuovi missili ipersonici «possono raggiungere obiettivi in tutta Europa». Putin dal canto suo ha fatto sapere che ritiene «un successo» il test del missile e che la Russia continuerà a sperimentarne altri «in contesti di combattimento attivo». Poi, come nei migliori finali dei cinegiornali d’antan, le agenzie hanno diffuso la velina con la nota «il presidente ha ordinato la produzione in serie del nuovo missile balistico ipersonico Oreshnik».
Non è d’accordo con questi toni trionfalistici il capo dell’intelligence militare ucraina, Kyrylo Budanov: «Il missile è sperimentale. Sappiamo per certo che entro ottobre i russi ne avrebbero realizzato due prototipi, forse anche qualcuno in più, ma credetemi, è un prototipo, ma non ancora prodotto in serie, grazie a Dio». Budanov ha anche chiarito cosa significa il nome Oreshnik: «È il nome del progetto di ricerca, si tratta solo di un nome in codice. Il sistema stesso, che è sperimentale, è noto come Kedr. Chiamiamolo semplicemente missile balistico a medio raggio. Un vettore di armi nucleari». Molto significativa l’ultima frase del suo intervento in videoconferenza: «Il fatto che abbiano utilizzato una versione non nucleare è, come dicono, un avvertimento da parte loro che non sono impazziti del tutto».
PIÙ DIRETTO il messaggio agli Usa: «Non ci sono stati contatti con l’attuale amministrazione statunitense, ma d’altro canto il messaggio è stato molto comprensibile, logico». Dunque al Cremlino sono certi che Washington abbia capito cosa intendevano dimostrare i russi. Cosa si aspetta ora Putin è difficile dirlo, ma di sicuro non possiamo più credere che il conflitto in Ucraina si svilupperà fino all’insediamento di Trump come previsto alla vigilia delle elezioni negli Usa. Ciononostante, la comunicazione del Cremlino ha insistito ancora una volta sul fatto che Vladimir Putin è «aperto al dialogo», ma il messaggio sembra più rivolto all’amministrazione che verrà piuttosto che a quella attuale.
L’ESCALATION nell’ultima settimana è stata quotidiana. Il cancelliere tedesco Scholz l’ha definita «spaventosa, esattamente come quando Putin ha assoldato i nordcoreani». Il capo di governo ha anche chiarito che il sostegno a Kiev non deve mai dimenticare la «preoccupazione che non si arrivi a un conflitto diretto fra Nato e Russia». Per il premier polacco Donald Tusk la guerra nell’Est dell’Europa è entrata in una «fase decisiva» e le ultime evoluzione non devono indurre a sottovalutare una «grave e reale minaccia di conflitto globale». Per Tusk il futuro è incerto: «Sentiamo che si sta avvicinando l’incognito. Nessuno di noi conosce la fine di questo conflitto, ma sappiamo che attualmente sta assumendo dimensioni molto drammatiche». Secondo il portavoce della Nato, Farah Dakhlallah, «il missile sperimentale lanciato dalla Russia contro l’Ucraina non influenzerà il corso della guerra né il sostegno della Nato a Kiev». Tuttavia, martedì si terrà una riunione straordinaria del Consiglio Nato-Ucraina, con la presenza degli ambasciatori, su richiesta del governo di Volodymyr Zelensky.
DA PECHINO, il portavoce del ministero degli Esteri, Lin Jian, ha invitato nuovamente le parti alla «calma e moderazione» e le ha invitate a «lavorare alla de-escalation della situazione attraverso il dialogo e la consultazione per creare le condizioni di un cessate il fuoco da attuare il prima possibile».
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Sono tornate, o meglio non sono mai andate via. Non una di meno riempie Roma (e Palermo). In piazza sono oltre 200mila, una conferma della forza del movimento transfemminista. Protagonista della lotta per la vita e la libertà delle donne, fuori dal potere maschile
Contaci Nella Capitale una marea fucsia contro i femminicidi e il genocidio e per il welfare
Resisteva un sospetto. L’enorme successo della manifestazione contro la violenza sulle donne dello scorso anno era forse dovuto esclusivamente all’ondata di emozione per il femminicidio di Giiulia Cecchettin? Era un sospetto sbagliato. Un anno dopo il corteo transfemminista convocato a Roma da Non una di meno ha visto sfilare almeno 200 mila persone con una piattaforma politica ed economica che prescinde, travalica e restituisce senso ai fatti di cronaca. «La violenza è politica e questo è un governo patriarcale, non basta una premier donna», spiegano le attiviste Nudm alla partenza, davanti la Piramide Cestia.
ALLA SPICCIOLATA arrivano donne e uomini di tutte le età, bambini e bambine: la piazza che all’inizio sembra troppo vasta, si riempie. Di certo un assist fortissimo per la partecipazione lo hanno dato, loro malgrado, il ministro all’Istruzione (e merito) Valditara e la presidente del Consiglio Meloni che ne ha rivendicato le frasi inopportune, xenofobe e negazioniste pronunciate alla presentazione della Fondazione Cecchettin solo lunedì scorso. Naturale quindi che la gran parte dei cartelli, ironici e irriverenti, fosse dedicata a loro. «Il patriarcato esiste, il razzismo istituzionale non è la risposta» è il coro di risposta unanime a Valditara. Ma c’è anche altro: «manifestiamo contro l’orbanizzazione della società, contro il Ddl sicurezza che si realizza nella criminalizzazione delle scelte di vita e del dissenso e nella militarizzazione del territorio mentre la crisi economica morde, contro il lavoro povero e il part time obbligatorio femminile che è un record di Meloni – spiegano dalla piazza – contro il governo che taglia welfare, sanità e scuola per finanziare il riarmo».
«104 morti di Stato. Non è l’immigrazione ma la vostra educazione», recita lo striscione dei collettivi degli studenti medi che arrivano in massa dopo aver fatto un flash mob davanti al ministero dell’Istruzione di Viale Trastevere. Lì hanno anche bruciato una foto del ministro leghista: gesto preso subito a pretesto dalla maggioranza per tentare di descrivere anche questo corteo come violento e per chiedere ai partiti di centrosinistra di prenderne le distanze. Altro segnale che al governo sfugge il senso di una mobilitazione femminista che non è convocata da nessun partito ma da una rete composita di associazioni, centri anti violenza, collettivi, centri di aggregazione giovanile.
Ci sono gli striscioni di Be Free, Differenza Donna, Lucha y Siesta, Giuridicamente Libera. Quelli della Casa Internazionale delle Donne, di Scosse della Rete degli studenti medi, di Aracne. C’è la Cgil e Nonna Roma. Ci sono anche diversi esponenti del centro sinistra ma senza alcun simbolo di partito. «È una manifestazione di tutti», spiega
Leggi tutto: «Meloni, il patriarcato esiste». 200 mila al corteo femminista - di Luciana Cimino
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