Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

Al reddito di cittadinanza, secondo i nuovi strumenti del Governo Meloni, mancherebbero circa 3 miliardi. Barbaresi, Cgil: “Misure divisive e sbagliate"

Uomo stressato riflesso nello specchio Uomo stressato, che si tiene la testa, riflesso nello specchio bagnato. Foto di © Photoshot/Sintesi Wet mirror reflection of stressed adult man holding his head in a bath.

 

La povertà in Italia aumenta, lo afferma l'Istat, eppure il governo Meloni ha deciso di abolire l'unico strumento che abbiamo di contrasto e sostegno per chi non ce la fa. A mezzo stampa è stato comunicato che il prossimo 1 maggio verrà approvato un decreto che conterrà una serie di misure che dovrebbero sostituire il reddito di cittadinanza.

Misure "Divisive e sbagliate" per Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil, che ritiene grave ciò che sta succedendo visto che l'obiettivo dichiarato è quello del risparmio: 3 miliardi in meno rispetto a quanto destinato al Rdc. E poi c'è il metodo: l'esecutivo continua a ignorare il sindacato, nessun incontro, nessuna comunicazione. 

 

Foto: Daniela Barbaresi, Cgil

Abbiamo appena letto il rapporto Bes dell'Istat, da quei numeri arriva la triste conferma che l'aumento della povertà e delle diseguaglianze nel nostro Paese è una costante. È pensabile in un momento come questo, eliminare o stravolgere l'unico strumento di sostegno alla povertà?
Crescono diseguaglianze e povertà, ci sarebbe bisogno di interventi, di sostegni, di presa in carico delle persone e di contrasto al disagio, alla povertà delle famiglie. Ciò che emerge, invece, è l'impianto identitario e ideologico di questo governo. Da quel che si sa, la scelta dell’esecutivo va esattamente nella direzione opposta. Si interviene sostanzialmente per fare cassa sui poveri, e si introduce una logica assolutamente sbagliate e pericolosa, quella di dividere la platea delle persone e delle famiglie, a prescindere dalla reale condizione di povertà.

Fino a oggi lo strumento di contrasto alla povertà è stato di natura universalistica, l'operazione che vuole fare il governo, anticipata in Legge di Bilancio, è dividere i poveri, quelli svantaggiati per condizione anagrafica o per disabilità, e quelli che hanno la colpa di non avere un lavoro. È accettabile?
È inaccettabile e pericoloso. È sbagliato perché si affronta il tema della povertà dividendo in base allo stato di famiglia anziché alla reale condizione economica e sociale di chi si trova in una condizione di fragilità. È una impostazione familistica. Il fatto stesso che siano considerati non occupabili coloro che vivono in nuclei familiari dove ci sono minori, anziani, disabili, lascia intendere che di quei bisogni se ne debba fare carico esclusivamente la famiglia anziché un sistema di welfare che dovrebbe prendere in carico, dare risposte. All’opposto, credo che tra le cause dell’impoverimento ci sia proprio il nostro sistema di servizi a partire da quelli per infanzia, gli anziani, la non autosufficienza, sempre più ristretto e non adeguato ai bisogni. E la lettura del Documento di economia e finanza appena presentato non fa che rafforzare la preoccupazione: si è messo nero su bianco la riduzione delle risorse per la sanità, l’istruzione, la povertà.

E poi ci sono i cosiddetti occupabili. Tra gli attuali percettori del reddito di cittadinanza, quelli ritenuti occupabili hanno in media cinquant'anni, sono lontani dal mondo del lavoro da oltre tre anni e nella stragrande maggioranza dei casi a stento arrivano alla terza media. Quali sono gli imprenditori che vogliono dar lavoro a queste persone?
Questo è il punto. Il Governo parte dal considerare “occupabili” coloro nei cui nuclei familiari non ci sono minori, anziani, disabili senza considerare le effettive condizioni di occupabilità, senza tener minimamente conto di quelle che sono le caratteristiche delle persone, le condizioni e le competenze, il fatto – appunto - che si tratta in gran parte di persone lontane dal mercato del lavoro da lungo tempo. E, inoltre, senza tener conto delle caratteristiche del mercato del lavoro, di quelle che sono le figure professionali richieste. E che sia la ministra del Lavoro e delle politiche sociali a proporre un impianto di questo tipo è estremamente pericoloso e sbagliato, e sottende l'impostazione di colpevolizzazione dei poveri. La povertà è colpa del singolo e non determinata da condizioni sociali ed economiche complessive.  La verità è che questo governo e questa ministra non sembrano voler conoscere e affrontare ciò che determina la condizione di povertà e di disagio.

C'è un dato che forse sfugge nei commenti e che, invece, è il tratto dominante di questi nuovi provvedimenti: si alza la soglia dell'Isee per avere accesso allo strumento, si diminuisce la quantità di risorse destinate al singolo assegno e diminuisce il tempo in cui l'assegno verrà corrisposto. Insomma, l'unica cosa che emerge è che si riducono le risorse?
Il filo conduttore è il risparmio, si fa cassa sui poveri. L'effetto, se non l'obiettivo, è proprio quello di risparmiare sui poveri, sullo sfondo di una logica, appunto, colpevolizzante. E a regime i risparmi saranno notevoli, si stimano circa 3 miliardi in meno sulle misure di contrasto alla povertà rispetto agli attuali 8. Insomma si elimina l’unica misura universale di contrasto alla povertà, si dividono percorsi, importi e durata dei nuovi strumenti, si riducono le risorse e si penalizzano i giovani perché se sono vere le cose che si leggono nelle bozze che circolano, i giovani maggiorenni vengono inclusi nel nucleo familiare ma poi sono esclusi dalla scala di equivalenza e quindi non incidono nella determinazione dell'importo.

Parlavi di bozze...
Bozze che non ci sono state consegnate ufficialmente così come non ci sono stati incontri. In realtà continua il problema di metodo, su un tema così rilevante che interessa così tante persone, il governo non ha avuto e non ha previsto il benché minimo confronto con le organizzazioni sindacali. Insomma, stiamo ragionando di indiscrezioni giornalistiche o di testi che circolano. Aggiungo: se davvero si volesse affrontare il tema della povertà, la necessità sarebbe quella di migliorare uno strumento universale di contrasto alla povertà e di sostegno alle persone in condizione di fragilità così come prevede l’Europa. E poi, contemporaneamente, andrebbe messa in campo un'azione di presa in carico sociale che solamente un adeguamento e un rafforzamento del sistema di welfare può garantire. Se davvero dovessero approvare questi “cosiddetti nuovi strumenti” il 1 maggio, come viene annunciato, si rafforzerebbero le ragioni della mobilitazione unitaria che ci vedrà in piazza il 6, il 13 e il 20 maggio.

 

Leggi anche

L'APPROFONDIMENTO

La povertà non è una colpa

Giordana Pallone

Il governo scarica sui singoli la causa della condizione di fragilità che vivono. Ma difficoltà economiche e sociali sono una responsabilità collettiva

LOTTE SINDACALI. Elezione degli Rls nella fabbrica simbolo del metodo Marchionne. Ai metalmeccanici Cgil il 36% dei voti Landini: risultato straordinario, ora Stellantis cambi

 I delegati della Fiom di Pomigliano festeggiano la vittoria nelle elezioni per gli Rls

Tredici anni dopo la «rivoluzione di Marchionne», a Pomigliano la Fiom torna a vincere una elezione. Cacciati dallo stabilimento napoletano come da tutte le fabbriche Fiat per non aver accettato il ricatto diritti in cambio del lavoro nel 2010-2011, i metalmeccanici della Cgil sono rientrati grazie alla sentenza della Corte costituzionale del 2013 che ha sancito l’illegittimità della strategia di Marchionne. Nel 2015 la Fiom partecipò alle elezioni per i Rappresentanti dei lavoratori della sicurezza – Rls – ottenendo tra gli operai la percentuale della Fiom del 17,2%, finendo dietro Fim Cisl, Uilm e Fismic.

Otto anni dopo, ieri si sono chiuse le elezioni per degli Rls della nuova gestione Stellantis al Giambattista Vico: hanno partecipato 3902 lavoratori ( 94,29% degli aventi diritto). La Fiom ha ottenuto 1387 voti, pari al 36,6%, la Fim 837 voti (21,75%), la Uilm 787 voti (20,45%), il Fismic 691 (17,69%), Ugl 157 (4,8%). Gli Rls eletti sono: 3 della Fiom, 2 della Fim, 2 della Uilm, 1 del Fismic.

Si tratta «dell’unica elezione in cui i lavoratori sono liberi di scegliere il sindacato e i delegati», sottolinea la Fiom, visto che per i rappresentanti aziendali (Rsa) l’effetto della sentenza della Consulta è quello di una nomina di una quota per la Fiom, diversamente esclusa nella perdurante apartheid confermata anche da Stellantis. Anche l’appena rinnovato Ccsl (il contratto aziendale, ndr) è «un contratto non votato dalle lavoratrici e dai lavoratori», sottolinea ancora la Fiom di Napoli.

«I lavoratori hanno riconosciuto alla Fiom il fatto di aver lottato nel corso di questi anni per riaffermare il diritto alla contrattazione – commenta il segretario generale Fiom Michele De Palma – . Da oggi si cambia: si può in un paese democratico escludere dalla contrattazione il primo sindacato? A questa domanda non deve rispondere soltanto Stellantis, ma anche i ministeri del Lavoro e dello Sviluppo», conclude De Palma.

Anche Maurizio Landini, all’epoca appena eletto segretario Fiom, ha festeggiato: «È un risultato straordinario. Il disegno autoritario della Fiat non è passato È il momento che Stellantis ne prenda atto, è il momento di cambiare: non lo chiede la Fiom né la Cgil, lo chiede il voto democratico dei lavoratori»

La struttura messa a disposizione di chiunque voglia attivarsi sul territorio. È l'idea messa in pratica dalla Fp Cgil

Si chiama Spazio pubblico e si trova a Roma, in via di Porta Maggiore 52, a due passi dalla stazione Termini. All'interno ci sono sale riunioni, aule per la formazione e non solo. L’idea – messa in pratica dalla Fp Cgil – è investire nel territorio, dando così spazi ai delegati per ritrovarsi e formarsi, con l'obiettivo di aprirsi alla comunità per essere un sindacato di strada che vuole dare una "casa" a chi è in cerca di sindacato.

 

"Abbiamo spazi che possono anche usati da chi è un libero professionista o vuole usare una sede di coworking. Ma è soprattutto una casa della Cgil per chiunque – in un quartiere centrale ma popolare – voglia attivarsi e partecipare, per le associazioni, i comitati, o per il coordinamento dei delegati", afferma la segretaria generale Fp Cgil Serena Sorrentino durante l'inaugurazione della struttura. "Era un impegno preso dopo il congresso e poi fermato dal covid – sottolinea – e ora lo restituiamo ai lavoratori come impegno concreto, per dare loro strumenti per formarsi, discutere, fare sindacato".

"Sono senza parole", esordisce Maurizio Landini visitando la struttura nel giorno dell'inaugurazione. "Il nostro compito è di fare in modo che questo spazio possa essere vissuto da tutti, metterlo a disposizione dell'intera comunità. Anche al mondo associativo. Per dare gambe all'idea originaria delle prime Camere del Lavoro, nate per far incontrare i lavoratori, farli stare insieme e offrire loro un luogo di partecipazione attiva", sottolinea il segretario generale della Cgil. 

Dal punto di vista architettonico e tecnico è quanto di meglio si possa avere. La struttura, composta da un piano terra e un primo piano, è flessibile e innovativa, completamente green con pannelli fotovoltaici installati sul tetto che serviranno alla costruzione di una comunità energetica del quartiere

Il governo Meloni vuole ancora più precariato e prepara nuove norme per aumentare i contratti a termine e tornare al Jobs Act di Renzi in nome della «flessibilità». No di Landini, Conte e sinistra, Pd diviso. Silvestri (M5S): «Scelta ideologica, non conoscono il paese reale»

LAVORO. Il governo pronto a liberalizzare i contratti a termine. Landini attacca: grave errore. Il muro del M5S

Più precarietà per tutti. Meloni rivuole il Jobs Act Ansa

Mentre in Spagna le nuove norme che limitano i contratti a termine hanno portato nel 2022 a un boom di quelli a tempo indeterminato, l’Italia va nella direzione opposta. Il governo Meloni si appresta a liberalizzare ancora una volta i contratti a tempo: via i limiti introdotti dal governo Conte 1 con il decreto Dignità.

IL GOVERNO È PRONTO A VARARE le nuove norme entro l’inizio di febbraio: via il limite di 12 mesi per i contratti a tempo senza causali, l’ipotesi è tornare a 36 mesi, come ai tempi del governo Renzi e del ministro Poletti. Con la possibilità di ulteriori 12 mesi da affidare ai contratti collettivi. Si allargheranno anche le causali per i rinnovi, che oggi sono

Tensione tra Meloni e Giorgetti. Il ministro apre a un nuovo taglio senza consultare la premier. Che corre dai Tg della sera

Prove di retromarcia. E il governo va in panne Giorgia Meloni - Ansa

Lo sciopero di due giorni dei benzinai, decisione per la verità non del tutto inattesa, è la goccia che porta quasi fuori controllo la tensione nel governo. Così, al termine di una giornata livida e confusa, il taglio delle accise diventa un’assurda partita di giro. L’aumento del prezzo dei carburanti determinerà un extragettito Iva. Quell’extragettito, ha deciso ieri il cdm, servirà proprio a tagliare le accise. Un valzer che denota per intero lo stato confusionale in cui versa il governo dopo il passo falso sulle accise. Viene inoltre prorogato sino al 31 dicembre il termine per la norma che permette ai datori di lavoro di distribuire buoni benzina sino a 200 euro non conteggiati nel salario. Il ministro Lollobrigida aveva anticipato la scelta annunciando «correttivi a protezione delle categorie produttive». Il «correttivo» c’è ma è poca cosa.

Mai dal giorno dell’insediamento a palazzo Chigi Giorgia Meloni era apparsa tanto nervosa e insicura come nelle due interviste lampo al Tg1 e al Tg5 decise all’ultimo momento, in piedi nel cortile del palazzo, senza dire nulla che non avesse già detto: «Bisognava scegliere tra tagliare le accise anche ai ricchi o concentrare le risorse a disposizione sui redditi medio bassi Si continua a dire che la benzina è a 2,5 euro mentre è a 1,8. L’opposizione fa il suo lavoro ma non è vero che abbiamo parlato di cancellazione delle accise: solo di sterilizzazione. Non è neppure vero che stiamo facendo scaricabarile con i gestori, che nella stragrande maggioranza si comportano bene. Tutto quello che stiamo facendo serve a calmierare l’inflazione». Come si possa abbassare l’inflazione determinando l’aumento della voce che più di ogni altra determina l’aumento dei prezzi, il costo del carburante, Giorgia Meloni non lo spiega.

Il nervosismo è del tutto giustificato. Lo sciopero dei gestori è materiale altamente infiammabile che piove sull’incendio della benzina. Il sottosegretario Mantovano ha convocato per stamattina le associazioni dei gestori che non escludono di cancellare lo sciopero. Dipenderà da cosa offriranno i ministri interessati, Giorgetti e Urso. La cancellazione del decreto trasparenza – l’obbligo di affiggere il prezzo medio dei carburanti che ha scatenato l’ira dei gestori – non sembra probabile ma quasi certamente il governo rivedrà il decreto.

La maggioranza è molto più divisa di quanto la premier sia disposta ad ammettere. L’insistenza di Lega e Fi per tornare al taglio delle accise è discreta ma pressante. Il ministro Giorgetti, senza consultarsi con la premier ma con la piena approvazione di Salvini, coglie l’occasione offerta dal question time al Senato e si lancia: «Il governo si riserva di adottare misure di riduzione delle accise in relazione all’incremento verificato dei prezzi dei carburanti». Il responsabile del Mef difende la decisione del governo, ricorda che la situazione di oggi è molto diversa dal momento in cui Draghi decise il taglio delle accise. Ma di fatto apre uno spiraglio. È a questo punto che la premier decide di riprendere le redini e rilasciare le due interviste che correggono Giorgetti. Da Chigi assicurano che l’assonanza è piena. Ma sta di fatto che i due non dicono la stessa cosa e la prospettiva di Giorgetti, tornare al taglio in caso di impennata dei prezzi, potrebbe richiedere tempi più celeri di quelli previsti dalla partita di giro sull’extragettito decisa dal governo.

Ma a spiegare il nervosismo di queste ore non ci sono solo considerazioni interne alla maggioranza. I problemi più seri, anzi, sono altrove. I sondaggisti concordano: la popolarità del governo rischia di risentire seriamente del colpo. Per Mannheimer potrebbe costare 2 punti. Inoltre le categorie più inviperite con il governo di destra sono tradizionalmente parte importante della base elettorale della destra stessa. Infine l’eventualità che la misura porti a una crescita invece che alla diminuzione dell’inflazione è uno spettro tutt’altro che fugato. Per questo ieri era impossibile evitare la sensazione che il governo stia cercando una strada per tornare almeno parzialmente indietro senza doverlo ammettere

 

REGIONALI. Conte conferma l’accordo con Majorino, sul quale si esprimeranno gli iscritti

 Pierfrancesco Majorino - LaPresse

«Sono pronto a presentare un programma che accolga il contributo delle forze di centrosinistra elaborato nei mesi scorsi, il punto di vista dei sindaci lombardi e i punti condivisi al tavolo di confronto, assai proficuo, tra le forze di centrosinistra e il Movimento 5 Stelle»: così il candidato del centrosinistra alle elezioni regionali in Lombardia Pierfrancesco Maiorino annuncia l’intesa per la coalizione che sfiderà Attilio Fontana e Letizia Moratti. Giuseppe Conte ha sostanzialmente avallato l’operazione per la costruzione di quella che ha chiamato una «coalizione competitiva», limitandosi a precisare che dovrà essere ratificata dagli iscritti.

La notizia piomba nel Lazio, laddove una volta era tutto campo largo. La coalizione che fino ad oggi ha governato la Regione adesso è paralizzato da veti incrociati e divisioni. Prova a riportare un po’ dello spirito lombardo Amedeo Ciaccheri, presidente dell’ottavo municipio di Roma ed esponente di Sinistra civica ecologista. «Quella dell’accordo in Lombardia tra tutte le forze del campo largo è una notizia importante che fa ben sperare e che deve scuotere le forze progressiste del Lazio – prova a rilanciare Ciaccheri – Serve un progetto nuovo per la Regione e abbiamo la responsabilità di non consegnare il Lazio alla destra: unire le forze è la strada giusta su cui lavorare. Dobbiamo alle cittadine e ai cittadini del Lazio la coalizione più forte per battere la destra». Proprio ieri, tuttavia, Sinistra civica ed ecologista ha annunciato di essere pronta ad incontrare Alessio D’Amato e di avviare una discussione con il candidato di Partito democratico e Terzo polo sulla base dei dieci punti programmatici presentati un paio di settimane fa nel tentativo di ricucire l’alleanza. Dunque, la forza politica che federa diverse forze progressiste e civiche e che da tempo si spende per non consegnare la Regione alla destra riapre un’interlocuzione con i dem. «A meno di due mesi dalle elezioni regionali – spiegano – in assenza di segnali unitari da parte dei soggetti in campo, abbiamo deciso di avviare una dettagliata interlocuzione programmatica con il candidato presidente Alessio D’Amato, espresso dalla gran parte delle forze che attualmente governano in Regione». Il vertice è previsto per domani.

Nelle ultime ore è partita una lettera ai vertici di Sinistra italiana ed Europa Verde, una last call per riunire almeno le forze di sinistra, estremo tentativo prima dell’«ognuno per conto suo». È firmata dall’europarlamentare indipendente dei Socialisti e democratici Massimiliano Smeriglio, dalla deputata eletta con i rossoverdi Francesca Ghirra e da numerosi consiglieri comunali del Lazio, a partire dai due esponenti eletti in Campidoglio da Sinistra civica ecologista. «La componente civica che rappresentiamo è saldamente insediata nei territori da cui vi scriviamo -si legge tra le altre cose nel documento – Finora abbiamo concorso senza chiedere nulla in cambio. Lo abbiamo fatto fiduciosi di avviare un percorso ricompositivo, pubblico, aperto, partecipato eppure ad oggi non riusciamo a comprendere dinamiche e obiettivi della vostra discussione in vista delle elezioni regionali del Lazio».

E ancora: «Spiegare alle nostre comunità che il nostro contributo non è gradito o impedito sarebbe faticoso e inevitabile«. I firmatari, infine, lamentano «l’ennesima battuta d’arresto nel tentativo di ricomporre un polo autonomo, forte ed autorevole della sinistra ecologista».