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Gaza Le sinistre, le forze progressiste giungono in ritardo a riconoscere la guerra come elemento ordinatore della politica, dell’economia e del senso comune e i suoi effetti sulle opinioni pubbliche e le élite

La manifestazione per la pace a Gaza davanti alla Camera dei deputati Manifestazione per la pace a Gaza davanti alla Camera dei deputati

L’Italia è l’unico paese europeo a non aver visto una grande manifestazione per Gaza. Lo ricordava Andrea Fabozzi giorni fa su il manifesto. Finalmente il 7 giugno il centro sinistra invita a manifestare a Roma e il 21 giugno sempre a Roma la mobilitazione della campagna europea contro la guerra e il riarmo mette al centro lo sterminio di Gaza.
Perché questo ritardo in un paese con una solida storia pacifista e una forte relazione politica col movimento di liberazione palestinese?

Da settembre a oggi si sono susseguite petizioni e appelli di cittadini e cittadine, intellettuali che chiedevano alle grandi organizzazioni una manifestazione nazionale “contro la guerra e contro tutte le guerre”. La manifestazione del 7 aprile, convocata dal mov 5 stelle e divenuta occasione larga, di popolo, contro la guerra, ha mostrato lo scarto tra le grandi organizzazioni che tradizionalmente rappresentano l’ossatura della mobilitazione per la pace e la domanda della società.

Finalmente il 7 giugno il centro sinistra in piazza a Roma e il 21/6 protesta (a Roma) della campagna europea contro guerra e riarmo con al centro lo sterminio dei palestinesi

L’abdicazione al proprio ruolo da parte di chi avrebbe dovuto offrire un riferimento alla mobilitazione non è stata indolore: le manifestazioni, costruite da culture minoritarie che ne hanno segnato le parole d’ordine, hanno offerto il fianco a chi voleva liquidarle come contigue ad Hamas o “antisemite”.

Le sinistre, le forze progressiste giungono in ritardo a riconoscere la guerra come elemento ordinatore della politica, dell’economia e del senso comune e i suoi effetti sulle opinioni pubbliche e le élite.

Nel congresso di Sinistra Italiana dicemmo che la guerra non era “un tema tra gli altri” ma l’elemento che riorganizza l’assetto politico istituzionale, ridefinisce le priorità, determina ciò che è dicibile o no. La guerra determina l’involuzione delle democrazie che segna la subalternità delle leadership europee al pensiero unico di un Occidente che si rappresenta come assediato, che chiude i propri confini e i propri spazi democratici.

Chi, anche a sinistra, votò Ursula von Der Leyen come argine alle destre la ritrova a guidare la politica europea che accantona diritti sociali e riconversione ecologica per sposare la riconversione bellica di economia e politica estera europea.

Il sostegno dell’Europa alla politica di Israele e la repressione delle manifestazioni pro Palestina in molti paesi europei e Usa sono segno di questa involuzione “occidentalista” che considera Israele il proprio avamposto in un mondo ostile. L’Europa fortezza si chiude ai migranti, si riduce ad articolazione della Nato, rinuncia alla propria peculiarità fondata sullo stato sociale e una politica estera di dialogo.

Questa deriva ha le sue contraddizioni: il neoatlantismo che ieri portava a sovrapporre Nato, e Unione Europea nella logica dello scontro tra blocchi, oggi fa i conti con la svolta trumpiana e imbraccia l’oltranzismo bellico, l’escalation militare fino all’uso di armi capaci di colpire in profondità il territorio russo.

La marginalizzazione del diritto internazionale in nome dello scontro tra (nuovi) blocchi, la paranoia di una “minaccia esistenziale” a cui rispondere con la disumanizzazione dell’altro, il lasciapassare alla carneficina israeliana e l’involuzione sciovinista della società, sono parte dello stesso processo. In questa involuzione c’è anche la nuova retorica virilista dei quotidiani mainstream che riscoprono Onore, Patria e coraggio.

La manifestazione del 21 giugno tiene insieme il no al riarmo con la denuncia della politica genocida di Israele e l’involuzione autoritaria delle nostre società.

L’impegno contro la cultura della guerra è anche contro vecchi e nuovi razzismi che ne sono il portato velenoso: non possiamo chiudere gli occhi di fronte al montante razzismo anti arabo e alla paranoia islamofoba che avvelena la nostra società.

No alla pulizia etnica nella Striscia, in memoria della Shoah e del monito di Primo Levi: «Ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono di nuovo essere sedotte ed oscurate: anche le nostre».

«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari… Poi vennero a prendere gli ebrei, … Poi vennero a prendere gli omosessuali… Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare». Parole riprese giorni fa per la manifestazione per i diritti delle persone trans.

Inorridiamo di fronte alla pulizia etnica a Gaza non perché abbiamo dimenticato lo sterminio degli ebrei che la nostra Europa generò 80 anni fa, ma per il monito di Primo Levi: “ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre».

La tentazione genocidaria non è un unicum congelato nel passato. Ci siamo detti “mai più” e per questo oggi non possiamo tacere di fronte alla disumanizzazione del popolo palestinese, all’attribuzione di una colpa e di una punizione collettive.

Il 7 e il 21 giugno sono due passi per ricostruire una lettura della realtà. È necessario che l’opposizione alla guerra e alla sua logica torni ad essere l’architrave di un’alternativa di società.