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Una pioggia di reati e di nemici affidati al codice penale: chi protesta, chi è povero o ai margini, chi fa resistenza passiva. Approvato a colpi di fiducia e a tempo di record il decreto sicurezza. Alle polizie mano libera e una seconda arma da portare a casa. Nuovi particolari sulla morte del trentenne colpito dal taser a Pescara: era inerme. Il padre: perché gli hanno sparato?

Diritti «Denunciateci tutti»: le opposizioni inscenano una protesta in Aula. Ma il pacchetto viene approvato con la fiducia e 109 voti a favore

Risultato del voto per. la conversione in legge del DL sicurezza Risultato del voto per. la conversione in legge del DL sicurezza

I Uno spritz in mano al ministro Nordio che in diretta a «Un Giorno da Pecora» brinda al via libera definitivo del decreto Sicurezza, convertito in legge praticamente senza il parlamento. E i senatori dell’opposizione seduti a terra nell’emiciclo di Palazzo Madama che protestano, con le spalle alla presidenza e le mani alzate in una sorta di resistenza passiva alla violenza del provvedimento, innalzando cartelli con su scritto «Denunciateci tutti». Mentre in tribuna assiste, con un certo stupore, una delegazione del Senato spagnolo.

SONO SOLO DUE FERMI immagine di ieri, una giornata che conclude un percorso legislativo a suo modo inedito cominciato il 17 novembre 2023 con il via libera del Consiglio dei ministri all’omonimo disegno di legge poi tramutato in decreto il 4 aprile 2025. Un pacchetto di norme penali da allora in vigore che, con il doppio voto di fiducia imposto dal governo Meloni prima alla Camera (dove è stato licenziato il 29 maggio scorso) e poi al Senato, ieri è stato convertito definitivamente in legge con 109 voti favorevoli, 69 contrari e un’astensione.

Il passaggio lampo nella seconda camera del parlamento ha stabilito un tempo record, ad esclusivo beneficio dei calcoli politici dell’esecutivo. Martedì, in un solo giorno, il testo è passato dalle commissioni all’Aula. E ieri le opposizioni si sono fatte sentire, a tal punto che i presidenti di turno (prima La Russa, poi la dem Rossomando) sono dovuti intervenire più volte per sedare gli animi, richiamare all’ordine le minoranze e sanzionare le offese più sconclusionate di alcuni senatori delle destre.

Come nel caso del presidente della commissione Affari costituzionali, Alberto Balboni, che ha attaccato il centrosinistra con il teorema preso in prestito dal fratello di partito Donzelli (nella famosa sparata del 2023) «Le rivolte nelle carceri sono manovrate dalla mafia che vuole l’abrogazione del 41bis. Se tra destra e sinistra c’è una differenza è questa: mentre voi andavate a trovare i terroristi e mafiosi per il 41bis, noi eravamo in quest’aula a difenderlo», ha detto il senatore meloniano che alla fine, dopo due censure della presidente Rossomando, si è dovuto scusare.

L’affermazione però ha scatenato la bagarre in Aula e ha convinto il capogruppo del M5S, Patuanelli, a non partecipare al voto: «Quando la mia città ha visto un gruppo no vax e no green pass bloccare il porto e le forze dell’ordine sono intervenute, voi con chi stavate? Il ministro Salvini con chi

stava? Con le forze dell’ordine o con i no vax?», ha chiesto il senatore triestino confutando le motivazioni di Lega e Fd’I secondo cui il nuovo pacchetto penale sarebbe diventato di colpo «necessario e urgente» perché occorre proteggere le forze di polizia dalla violenza delle piazze o dei detenuti.

INIZIALMENTE, Pd, M5S e Avs avevano chiesto una riunione dei capigruppo per tentare un ritorno in commissione del testo che, affermano, «modifica la Costituzione». Niente da fare. Il presidente La Russa va avanti come un treno, ma è costretto a capitolare e interrompere la seduta quando dà la parola al leader di Azione Calenda, ma lui si rifiuta di intervenire: «Non voglio interrompere una protesta pacifica», dice.

IL PENTASTELLATO Scarpinato fa notare che questo pacchetto Sicurezza nasce da lontano e affonda le radici nell’impunità sperata per «i 25 agenti condannati in Cassazione per le violenze alla scuola Diaz al G8 di Genova del 2001» o per le divise che tradiscono lo Stato infliggendo torture ai cittadini affidati loro. Nel 2018, ricorda, Giorgia Meloni aveva promesso di abolire il reato di tortura introdotto finalmente nel nostro ordinamento l’anno prima, dopo la condanna della Cedu. «Oggi quella promessa viene mantenuta di fatto con un devastante messaggio di regressione democratica e di involuzione autoritaria dello Stato». Il dem Giorgis bolla il provvedimento come una «legislazione contraddittoria, di dubbia legittimità, che conosce solo la dimensione repressiva e demagogica, non è in grado di risolvere nessun problema e non è in grado di garantire la sicurezza necessaria per l’esercizio di ogni libertà».

NEL FRATTEMPO, mentre il Guardasigilli Nordio brindava, il ministro dell’Interno Piantedosi, ospite di Sky tg24, si è detto «convinto» che con la nuova legge «non si determinerà l’aggravio sul sistema penale». Che è sull’orlo di esplodere per via del sovraffollamento e dell’organico insufficiente ad ogni livello. Problemi che il decreto ignora alla grande mentre introduce, tra gli altri, il reato di rivolta in carcere che, come ha fatto notare ieri il sindacato di polizia penitenziaria Osapp, «secondo il sottosegretario Delmastro avrebbe dovuto ridurre le rivolte del 70%». Peccato che, invece, proprio mentre la nuova fattispecie diventava legge, negli ultimi due giorni ci sono state pesanti proteste dei detenuti prima nel carcere romano di Rebibbia e poi, ieri, a Genova Marassi. Qualsiasi fossero le cause che hanno scatenato i detenuti, in entrambi i casi l’effetto deterrente del decreto legge già in vigore è stato pari a zero.