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Con il voto del 4 marzo finisce una legislatura da archiviare come una delle peggiori della storia della Repubblica. Ci si sorprende della transumanza di parlamentari da una parte all'altra, ma se i parlamentari venissero scelti dai cittadini e non nominati dai capi partito questo fenomeno non ci sarebbe.
Dall'entrata in vigore del Porcellum si sono susseguite tre legislature, una peggio dell'altra. Purtroppo anche quella che sta per iniziare avrà parlamentari eletti con una pessima legge elettorale, approvata a scatola chiusa con ben 8 voti di fiducia, che ha imposto di nuovo l'elezione dei parlamentari sulla base della fedeltà ai capi impedendo ai cittadini di sceglierli.
Eppure il tentativo di manomettere la Costituzione, con metodi e contenuti stravolgenti della Costituzione del 1947, si è infranto sul voto dei cittadini che il 4 dicembre 2016 al 60 % hanno detto No. Il governo pensava di ottenere un plebiscito e invece ha perso clamorosamente.  

Ritorna, tuttavia, in molti programmi elettorali la volontà di non tenere in considerazione la volontà popolare espressa con il voto del 4 dicembre. Per questo, pur comprendendo la sfiducia ed il disagio di fronte alla crisi di una politica e di una classe dirigente, non è tempo di stare alla finestra: il colpo di mano realizzato nel 2012 con la riforma dell’art. 81 potrebbe ripetersi se non ci sarà in Parlamento il massimo numero possibile di parlamentari fedeli alla Costituzione. L'astensione può solo agevolare i responsabili del tentativo di manomettere la Costituzione e dell'approvazione di questa legge elettorale

Il Coordinamento invita gli elettori e le elettrici a non votare i partiti e i parlamentari che hanno tentato di manomettere la Costituzione e approvato questa legge elettorale.

Chi ha voluto questa legge elettorale si è reso responsabile di una grave ferita democratica,

Provocazione nella sede della Camera del lavoro di Faenza

Attaccato un adesivo di Casapound sulla targa della Cgil, episodi simili in Emilia Romagna

 
Questa mattina sulla targa della Cgil posta nella sede della Camera del lavoro di Faenza è stato rinvenuto un adesivo di Casapound. Casi analoghi si stanno verificando in altre sedi della Cgil in Emilia Romagna. C’è un evidente tentativo di provocare e inasprire ulteriormente il clima che sta accompagnando questa campagna elettorale. La Cgil di Ravenna sottolinea che non si farà intimidire da simili gesti e ribadisce il suo impegno, affinché i temi della solidarietà e del rispetto dei valori e dei principi indicati dalla Costituzione siano sempre più centrali nel dibattito che sta attraversando il nostro Paese.

Promosso da L’Altra Faenza, si terrà nella serata di martedì 27 febbraio nei locali del Rione Verde in via Cavour un incontro pubblico al quale sono invitati i candidati locali alle elezioni del 4 marzo del Partito Democratico, del Movimento 5 Stelle, di Liberi e Uguali e di Potere al Popolo.

Tre gli argomenti proposti quali temi di discussione: il lavoro, le disuguaglianze e la qualità dello sviluppo; la sanità pubblica e le strutture sanitarie nel nostro territorio; la partecipazione democratica e l’assetto delle istituzioni locali.

La scelta non è casuale: L’Altra Faenza guarda oltre la prossima consultazione elettorale e, coerente con l’impegno fin qui espresso, ritiene che “far politica” non significhi far propaganda a suon di slogan, promesse e insolenze, ma occuparsi con impegno costante dei bisogni, delle speranze e dei diritti delle persone. Ritiene quindi utile uno stretto legame fra la concreta condizione locale e le scelte programmatiche più generali.

Per questo ha tenuto lo scorso 16 febbraio un incontro aperto al contributo di sindacalisti, ambientalisti e operatori del volontariato sociale. Per questo ha scelto il metodo del confronto pacato e di merito con le forze politiche che non fanno riferimento alle idee e ai propositi della destra vecchia e nuova.

Il Partito Democratico ha fatto sapere che non parteciperà con un suo candidato o un suo esponente all’incontro di martedì 27. Non resta che prendere atto con rammarico di questa decisione. I temi proposti sono di grande significato non solo per la loro valenza generale, ma anche per il governo della città e nella prospettiva delle elezioni amministrative a Faenza.

Avviare una riflessione comune – certamente rispettosa delle opinioni e delle responsabilità di ciascuno – sul futuro della nostra comunità e sulle risposte da mettere in campo per la soluzione dei problemi che gravano sulla condizione di migliaia di famiglie, è la strada per restituire credibilità alla politica, per ridarle la dignità di autentico impegno civile e di servizio.

Convinta di questo, L’Altra Faenza rinnova l’invito a partecipare e annuncia l’intenzione di proporre altri momenti di discussione. Al tempo stesso afferma essere suo diritto farsi un’opinione sulla disponibilità o meno al confronto da parte di altre forze politiche.

 

Faenza, 24 febbraio 2018

 

 

L’Altra Faenza

 

 

COMUNICATO STAMPA

Come associazioni aderenti al Comitato Ambiente, ribadiamo la nostra forte preoccupazione (già espressa con comunicato stampa di ottobre) per l’aumento del traffico che sarà causato dall’apertura del nuovo supermercato Lidl in zona ex Cisa, e tra pochi anni con l’apertura di nuove strutture.

Così come per il supermercato Aldi, ci opponiamo a una concezione dell’urbanistica subordinata all’espansione immobiliare di natura privata. Il RUE ha previsto questa espansione, è quindi responsabilità dei politici se ora la città è satura di centri commerciali e c’è un ampio consumo di suolo.

L’impatto di una macro struttura commerciale sull’ambiente e sulla qualità della vita di un’area residenziale non può essere compensato da oneri per varie opere pubbliche previste in altre zone della città. Opere che, pur di interesse collettivo, non agirebbero sulla mitigazione dell’impatto di un nuovo supermercato nella zona d’insediamento.

Relativamente all’area ex Cisa, oltre a condividere le preoccupazioni dei residenti, che contestano il piano della viabilità in quanto non ha preso in considerazione il traffico su via Volpaccino e via Zara, strade strette e residenziali, vogliamo ampliare il nostro sguardo. Tali vie non sono infatti percorse solo dai residenti, ma da tante famiglie e bambini in bicicletta che si recano a scuola o nel parco di via Palazzo Vecchio.

A nostro avviso queste sono le priorità, per limitare il danno:

- Chiusura alle auto del vicolo di accesso secondario su via Zara al Lidl;

- Realizzazione di un marciapiede e di una pista ciclopedonale su via Zara;

- Senso unico “eccetto bici” su Via Volpaccino (in uscita) e realizzazione di un nuovo tratto ciclo pedonale sulla stessa via.

Tutto questo dovrà essere realizzato a breve termine, senza attendere la progettazione di un ampliamento di altre strutture commerciali, al fine di garantire un minimo vitale di abitabilità della zona.

Chiediamo inoltre di prevedere ulteriori interventi per mitigare l’impatto ambientale:

-il parcheggio deve essere alberato e permeabile alle piogge;

-l’impianto d'illuminazione del parcheggio e dell'area a basso consumo;

-stalli per il ricarico dell'auto elettriche;

-azioni di prevenzione dello spreco alimentare, come previsto dalla legge 166 del 19/8/2016.

Faenza, 22 febbraio 2018

Comitato Ambiente-Unione Romagna Faentina

(Legambiente Lamone; Gruppo Acquisto Solidale di Faenza; Sì alle Rinnovabili, No al Nucleare: Rete Rifiuti Zero Emilia Romagna; Ass.Fuori dal Coro; Comitato Acqua Pubblica; Fiab Faenza Forlì; Salvaiciclisti Faenza; Comitato Ambiente e Paesaggio Castelbolognese; Comitato Brisighella Bene Comune)

 

La legge costituzionale n. 1 del 2012, che ha introdotto nella Carta costituzionale il principio del pareggio di bilancio (“equilibrio tra le entrate e le spese”), è il frutto del peggior revisionismo costituzionale. Approvata praticamente all’unanimità da un Parlamento sotto pressione, in tempi rapidissimi.
Approvata in tempi rapidissimi e senza un’adeguata discussione, con una sinistra subalterna ad un governo tecnico che assumeva il rigore come unico parametro politico di giudizio, ha rappresentato una risposta alla crisi economica di natura puramente ideologica, collocando in Costituzione le particolari politiche di stampo neoliberista.
Politiche rilevatesi poi fallimentari, che la stessa classe dirigente del nostro Paese non ha potuto perseguire. Infatti, da che è stata approvata la modifica al testo della Costituzione ci si è costantemente appigliati alla possibilità di derogare

Nei giorni scorsi rappresentanti del Network della società civile europea contro le armi ENAAT (di cui fa parte la Rete italiana per il disarmo) e del sito WeMoveEUhanno simbolicamente consegnato a Commissione europea e Parlamento europeo oltre 142mila firme di cittadini e cittadine che chiedono alle istituzioni Comunitarie di non investire in armamenti.

A riceverle Oliver Rentschler, vice-Capo di Gabinetto di Federica Mogherini (Alto rappresentante UE per gli Affari Esteri e la sicurezza), e l’onorevole Jens Geier, vice-presidente della Commissione Bilancio EuP.

Le firme, raccolte negli ultimi mesi, erano in calce ad un appello indirizzato ai Membri del Parlamento Europeo e al Consiglio Europeo affinché fermino l’inclusione della ricerca militare nei finanziamenti del nuovo budget UE. Nessun fondo dell’Unione Europea dovrebbe essere destinato alle tecnologie militari e i soldi per la ricerca dovrebbero al contrario essere destinati a sviluppare progetti per la prevenzione e risoluzione nonviolenta dei conflitti, affrontando in particolare le cause di base dell’instabilità.

La Commissione Europea - sotto forte pressione dell’industria degli armamenti - sta invece pianificando di assegnare centinaia di milioni di euro di fondi pubblici per sviluppare tecnologie militari avanzate, la prima volta che ciò avviene nella storia dell’Unione. Sebbene sia presentata come uno sforzo volto ad aumentare le capacità di ‘difesa’, il vero obiettivo di questi sussidi è quello di preservare la competitività dell’industria continentale degli armamenti e la sua capacità di esportare al di fuori dei confini, in particolare verso Paesi che contribuiscono all’instabilità globale e prendono parte a conflitti sanguinosi (come ad esempio nel caso dell’Arabia Saudita). La Commissione ha spinto affinché l’industria militare diventi una priorità nelle possibili destinazioni dei finanziamenti. Nel 2016 un budget preventivo di 90 milioni su un periodo di tre anni è stato dedicato alla ricerca militare.

Il 7 giugno 2017 la Commissione ha invece lanciato il Fondo europeo della Difesa nell’ambito del quale si propone di destinare ulteriori 500 milioni del budget comunitario (biennio 2019-2020) per la ricerca e lo sviluppo ad attività condotte dall’industria bellica. Dal 2021 questo contributo salirà a 1,5 miliardi all’anno e potrà includere contributi degli Stati Membri fino ad un limite di 4 miliardi annuali.

Tutte queste misure significheranno drastici tagli su capitoli di spesa di altra natura, in particolare quella sociale, sia a livello europeo che nazionale. Le oltre 142mila firme raccolte dalle nostre organizzazioni sono un accorato appello di cittadini europei che desiderano un’Unione che lavori per la pace e non per fornire sostegno all’industria degli armamenti.

 

ArciReport, 1 febbraio 2018