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Insomma, la sinistra non può aspettare che sia la gente a dire (lo sta già dicendo da tempo) "cosa vi aspettate ancora dal Pd di Renzi?” Perché questo è il PD che abbiamo. Non quello che vorremmo.
La premessa chiarisce dove voglio parare.
Gli avvenimenti di queste settimane: (10 punti ACT; Human factor; Kalimera; gli autoconvocati e “è-possibile”): sono i luoghi dove si sono affrontate le questioni che stanno di fronte alla sinistra che, essendo divisa e articolata, non ha il peso necessario per cambiare la situazione italiana. Non va considerato di poca importanza anche la nuova fuoriuscita di 10 parlamentari del M5s che, contestuale al resto, marca un profondo sconvolgimento all'interno dell' intera compagine politica nazionale. Li richiamo solo per segnare un passaggio positivo, potenzialmente in grado di dare un taglio alle politiche finora praticate.

Ci sono stati momenti di confronto serrato. La vittoria di Syriza in Grecia. (Faranno e diranno di tutto per soffocarla e metterne in cattiva luce gli obiettivi di giustizia. Quella giustizia che liberismo senza freni, al comando degli interessi finanziari e delle politiche dei governi tra i quali i nostri, hanno distrutto con l'austerità pagata dal popolo). Soffocarla perché continui a pagare sempre e solo il solito popolo.
Questi momenti non sono un “calderone” informe e indistinto. Sono fatti concreti. Senza contare la presenza nello scenario, di un movimento sindacale ben deciso - finalmente - a contrastare i disegni liberisti e di conservatorismo ottocentesco del governo, e dell'intero schieramento del centrodestra, portavoce dei poteri economico-finanziari. Responsabili della crisi e dell'impoverimento generale.
Sono segnali dirompenti e possono segnare il punto di svolta possibile in Italia e in Europa.
Chi non si pone in piena sintonia con questi avvenimenti si pone fuori dalla storia del cambiamento. Se la “Leopolda” renziana ha dichiarato la morte del centrosinistra; questi avvenimenti ne hanno scritto il certificato.
Su questa volontà di decisione e determinatezza, come è naturale, a fronte di una svolta così radicale, solleva alcune perplessità anche in una parte della sinistra tradizionale, fuori dal PD. Ma la sperimentazione dei tentativi di “spostare un po’ a sinistra il PD”, si sono consumati ormai tutti. Tentativi che non hanno fatto guadagnare consenso alla sinistra e non hanno comportato quei cambiamenti positivi voluti. Le voci prudenti e perplesse vanno ascoltate come opinioni diverse e legittime. Ma continuare a nascondere la testa, come lo struzzo, non ci sposta in avanti di una virgola.
Tentare ancora la strada di una alleanza con il PD, in siti locali, non ci mette in connessione con una “visibilità” nelle istituzioni, come qualcuno si illude che sia e che ci verrebbe solo dall'alleanza con il PD. E non - invece - con la conquista del consenso popolare per il nostro progetto politico. Progetto politico ormai distante un abisso dai propositi del PD.
E poi, e questo è per me decisamente determinante. Se ci si allea con chi sta trasformando la carta costituzionale in un rovello di regole che distrugge ogni forma di garanzia democratica: nel lavoro, cacciando la costituzione fuori dalle fabbriche; nel rapporto tra cittadini e istituzioni, se ne diventa complici. Non vorrei che quando si decidesse di “chiudere la stalla per non far scappare i buoi”, avvertissimo che - dentro - non c'è più nulla.
Vorrei che tentassimo di rispondere a questa domanda:
“La sinistra, a fronte di elezioni locali, acquisisce un peso maggiore, con qualche consigliere comunale, perché fa parte di una squadra vincente?
Oppure. Conta molto di più senza consiglieri (ma non è detto) in piena autonomia e senza “vincoli di alleanza”. Magari, alleati su di un programma ridotto ai minimi termini o, addirittura non condiviso fino in fondo. (I contentini ai fratelli piccoli, in cambio di piccoli premi: La solita mediazione che scende sempre più in basso).
Questa è la mia risposta. Io identifico la sinistra, non con il “potere” fine a se stesso.
Ma con l'azione politica ed i risultati che, con essa, si ottengono.
Ricordo che i problemi si affrontano anche stando fuori dalle stanze del potere. Specie quando questo è esercitato dalla forza politica maggiore, che ti ha concesso solo qualche piccolissima soddisfazione.
Questo non significa che non si deve aspirare e lavorare per entrare nelle istituzioni. Al contrario: bisogna entrarci con il consenso che ci si guadagna. Punto.

Non sto dicendo che il PD sia irrecuperabile ad una politica popolare. Sto, dicendo che deve rendersi conto che l'ambiguità e l'accondiscendenza alle pratiche liberiste, gli hanno fatto guadagnare solo le simpatie della destra e la perdita di pezzi importanti della propria base sociale, assieme ad eccellenti figure molto rappresentative. Dunque il PD, non può pretendere di recuperare terreno, se resta fermo nella continuità degli errori. Se di errori si tratta e non di scelta consapevole. Di queste politiche deve pagare il conto che gli spetta. Nessun altro glielo può pagare. Men che meno, la sinistra, tamponando le sue falle nelle istituzioni locali, perché a Roma, si è giocato tutto. Al dunque. È disposto - il PD locale - a costruire una politica amministrativa di forte contrasto a quella del suo governo nazionale? È disposto a riconoscere la disastrosità di quel governo? Se lo ammette e lo pratica, si può valutare una qualche collaborazione. Nessuno chiede abiure. Ma nessuno pretenda che - la sinistra - rinunci ad essere se stessa.
Qui i marchingegni dialettici e i cosiddetti “voli pindarici” che servono per giustificare tutto, non attecchiscono più.
(29 01 2015)

Germano Zanzi