In alto mare Intervista a Francesca Albanese
«Rompere l’assedio è un obbligo legale per gli stati e un imperativo morale per tutti noi». È uno dei post che ieri Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni unite per i Territori palestinesi occupati, ha pubblicato su X per mantenere alta l’attenzione sulla cattura della Madleen da parte di Israele. Il focus lo pone sul cuore del problema: la chiusura di Gaza e il controllo totale che Israele esercita sulla piccola enclave palestinese da due decenni. L’abbiamo raggiunta ieri al telefono.
Lei era in contatto telefonico con la Flotilla quando è stata assaltata. Cosa ha sentito?
Sono entrata in contatto con la Flottila alle 02.10 ora locale. Era in acque internazionali. Improvvisamente è scoppiato il caos. Cinque motovedette li hanno circondati, ho sentito Thiago Avila dire ad alta voce «Veniamo in pace, portiamo solo cibo e aiuti». Poco dopo tre motovedette si sono allontanate, due li hanno seguiti a fari spenti. Dopo una ventina di minuti, mi hanno richiamato: sopra di loro volavano i droni e hanno cominciato a spruzzare una sostanza bianca. Thiago ha detto agli altri di andare sottocoperta. Con loro non avevano protezioni, solo i salvagente. Nella terza telefonata li ho sentiti gridare: «Stanno arrivando…ci stanno intercettando…stanno salendo». Ho detto loro di stare calmi e seduti con le mani in alto. Sono rimasta al telefono con Thiago finché non gliel’hanno confiscato. Ha fatto in tempo a dirmi che fino ad allora non c’erano feriti.
La redazione consiglia:
Flotilla nel mirino, ma all’inizio non la videro arrivareCome va definita l’azione di Israele secondo gli standard del diritto internazionale?
Catturare una imbarcazione civile che porta aiuto umanitario a una popolazione sotto assedio da anni, bombardata da venti mesi e del tutto affamata da tre, è un atto illegale: Israele ha preso il controllo della barca in acque internazionali, un’imbarcazione battente bandiera britannica, cosa per il quale è necessario che Londra si faccia sentire. E se pure la Madleen fosse stata già in acque palestinesi, Israele non ha nessuna autorità a Gaza, è una potenza occupante illegittima. Decade l’argomento della sicurezza, che in ogni caso non c’è: che minaccia pongono degli attivisti che portano cibo e medicine a Gaza? Si è voluta imprigionare l’umanità.
Quali norme Israele ha violato verso la Flotilla e verso la popolazione prigioniera di Gaza?
Israele ha violato le regole del diritto del mare e continua a violare la proibizione di esercitare controllo su Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est. Nel luglio 2024 l’occupazione israeliana è stata dichiarata illegittima dalla Corte internazionale di Giustizia. Questa non è autodifesa, è un’aggressione. Inoltre continua a violare il diritto umanitario: il blocco della Flotilla si configura come una violazione dell’obbligo di garantire accesso agli aiuti umanitari.
In assenza dell’azione di stati terzi, è la società civile globale ad agire e ad accendere una luce sulle pratiche politiche e militari israeliane. Quanto è importante questa mobilitazione?
Questo genocidio non viene fermato per ideologia, connivenze politiche e profitto. Ci stanno speculando in troppi e moltissimi altri non riescono a imboccare la strada segnata dal diritto internazionale e del rispetto dell’ordine multilaterale, costruito per proteggerci dalle minacce alla sicurezza e alla pace. I colpevoli sono i governi, per lo più occidentali, che dovrebbero imporre sanzioni economiche e l’embargo di armi. Al contrario, Israele continua a essere tra i principali esportatori militari perché testa le armi sui palestinesi. La mobilitazione della cittadinanza globale è necessaria, oggi più che mai, per la popolazione di Gaza, ma anche per gli israeliani che non si rendono conto di che stanno facendo. Vanno salvati anche loro da questa ideologia e dal razzismo con i quali vengono nutriti. È saltato il meccanismo di autocontrollo: l’80% degli israeliani chiede che la gente di Gaza se ne vada dalla propria terra.
Molti avvertono: Gaza non si ferma a Gaza, ha effetti ovunque.
Guardate agli Stati Uniti, dove la linea tra mobilitazione per la Palestina e repressione è diretta, dove la militarizzazione dell’antisemitismo e la sua strumentalizzazione sono armi che stanno falcidiando intere comunità di dissidenza e di scrutinio sociale e politico come Jewish Voices for Peace. Bisogna stare attenti: quello che sta succedendo negli Stati uniti serpeggia già nelle società europee, lo si vede dalla repressione del dissenso, della libertà d’espressione, della libertà di critica. La mobilitazione deve continuare e crescere, insieme ce la possiamo fare.