Delusione referendum Il 70% di astenuti è una conferma di come in questo paese sia in via di sparizione l’elemento base della partecipazione
Operazioni di spoglio delle schede – Ansa
La prima cosa da fare davanti a una sconfitta è riconoscerla come tale. Certo, ci sono anche dei segnali che, con qualche sforzo, possono essere interpretati positivamente, poco più di 14 milioni di elettori sono comunque andati a votare in condizioni difficili con l’ostilità e il boicottaggio del governo. Ma non si mettono in piedi cinque referendum per fare un sondaggio sulle intenzioni di voto degli italiani. Né è corretto interpretare i 12 milioni di sì al referendum (media dei quattro quesiti sul lavoro, estero escluso) come la prova dell’esistenza di una maggioranza alternativa rispetto ai 12 milioni e 300mila voti messi insieme dal centrodestra in una consultazione tutta diversa tre anni fa. Non è corretto numericamente e non lo è logicamente, visto che i promotori si erano appellati anche agli elettori di Meloni perché andassero a votare per i loro diritti di lavoratori, a prescindere dalle preferenze politiche.
L’appello agli elettori di destra potrebbe avere in parte funzionato, come proverebbero i dati di affluenza di certe periferie urbane, migliori dei centri storici malgrado la sinistra da anni non tocchi palla ai margini delle città. Anche il fatto che nel quinto referendum, quello sulla cittadinanza, la percentuale di no sia quasi il triplo rispetto agli altri quesiti consiglia di conteggiare tra i votanti effettivi anche un po’ di elettori di destra, per quanto sia soprattutto la (preoccupante) conferma che l’ostilità verso i migranti è penetrata anche tra quelli di sinistra.
Dunque è di una sconfitta che dobbiamo parlare. Perché i referendum abrogativi si tentano pensando di poterli vincere per rimediare a leggi sbagliate, non avendo il sindacato altro modo per ottenere il risultato e non potendo fare affidamento sui partiti di opposizione. Magari il fatto che questi partiti – tirati dentro una sfida che non avrebbero voluto – abbiano ripreso contatto con il mondo del lavoro e le assemblee sindacali durante la campagna elettorale possiamo esaltarlo come uno dei pochi lasciti positivi del referendum, ma più di tutto speriamo che duri.
Oggi è soprattutto la sconfitta, l’affluenza inferiore anche alla soglia psicologica del 35% sulla quale ufficiosamente si contava, che pesa. E peserà in favore del governo, quando nei tavoli sindacali potrà dire che su appalti e subappalti la soluzione prevista in caso di vittoria del referendum, la più utile e ragionevole, è stata bocciata dagli italiani. Nascondendosi così dietro la volontà popolare, ma volendo in realtà semplicemente continuare a non disturbare le imprese, per quanti morti sul lavoro ci siano. Peserà la sconfitta tutte le volte che si proverà a ribadire il legame stretto tra lavoro povero e precarietà: i referendum non parlavano d’altro rispetto al crollo dei salari. Peserà molto sull’approccio razzista che il governo ha e continuerà ad avere nell’affrontare migranti e migrazioni.
In definitiva dobbiamo ripartire ma non possiamo farlo di slancio.
Non la Cgil, che è una grande organizzazione anche nel confronto con gli altri sindacati europei: porterà il segno della sconfitta e avrà bisogno di sintonizzarsi da capo, nell’attività sindacale, con la grande maggioranza dei lavoratori che non ha più fiducia nelle indicazioni dei suoi rappresentanti e nemmeno nelle forme di democrazia diretta. E non il centrosinistra che ha davanti, come tutti noi, una gigantesca questione democratica.
Il 70% di astenuti è una conferma di come in questo paese sia in via di sparizione l’elemento base della partecipazione. Ed è anche peggio di una conferma, dal momento che in alcune zone, specie del sud, specie nelle aree interne, si arriva ormai a punte negative di un elettore o due ogni dieci aventi diritto.
Chiaro che adesso debba aprirsi anche una riflessione sullo strumento del referendum abrogativo. Probabilmente strumentale da parte delle destre ma impossibile da respingere in toto. Detto che il referendum si protegge innanzitutto pensandoci bene prima di convocarlo ed evitando azzardi, è vero che la soglia alta del quorum pensata nel 1948 quando votava il 92% degli aventi diritto e confermata venti anni dopo quando l’affluenza era rimasta la stessa, non ha più alcun senso. Ma non sarebbe possibile nemmeno abolire del tutto una soglia di validità. Mentre è possibile studiare un meccanismo per cui l’astensione, evidentemente sempre legittima, non parta così clamorosamente in vantaggio e non possa assorbire totalmente la campagna del no. Ragionamenti da fare, a partire da una sconfitta.