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Cosa ripropongono le due vicende interne al Pd renziano (intervista a D'Alema e gruppo Bersani a Perugia) da una parte e, al futuro del nascente soggetto di sinistra alternativo al Pd dall'altra? Uno schema di ragionamento che sembrerà rigido ma necessario per dirimere le varie opzioni in campo. 

È fallito per il Pd, il disegno di un grande partito di centrosinistra. Divenuto solo di centro. Ogni alternativa radicale al renzismo, interna al Pd, è fuori dal possibile reale. Renzi non è una “variabile temporanea interna”. È la sua natura, più o meno intercambiabile. Ma strutturale ed organica. Il conflitto attuale tra renziani e minoranze, non è segnato tanto su politiche e identità opposte e alternative. È un conflitto sul come e quanto “dosare” la sua trasformazione. E ogni mediazione interna ha una conclusione tracciata e determinata, ma unilaterale a favore di Renzi e del suo modello di partito e di governo. Vediamola in sintesi:
Nel partito c'è una direzione ermetica e chiusa ad ogni sintesi unitaria.
Nel parlamento c'è il ricorso al voto di fiducia ormai percorso normale, in sostituzione di ogni dialettica democratica parlamentare.
Nelle istituzioni: esempio classico, l'invio dei consiglieri comunali romani dal notaio per firmare l'impegno alle dimissioni per far cadere un sindaco sgradito. Oppure, le ultime vicende “primarie”, con il partito schierato su candidature blindate su un solo concorrente particolarmente voluto dal segretario del partito. Forma che mette i candidati in posizioni di partenza differenziate e quindi, senza competizione paritaria. Non conta il programma dei singoli, ma il supporto del partito locale e nazionale.

Renzi non è “un passaggio del Pd”. È la sua conclusione mutativa. Ogni dialettica interna sarà subordinata a questa conclusione. Per inciso: quanto avviene nel Pd, non è incidente solo all'interno del partito. Lo è tanto più nel rapporto con gli alleati che agiscono lealmente. Perché, gli alleati di provenienza destrorsa, hanno sempre il potenziale uso del ricatto della caduta del governo a portata di mano. Lo si è visto con la vicenda Cirinnà.
Cosa comporta questa mutazione renziana del Pd, rispetto la possibile ricostruzione del centrosinistra, come progetto di governo? La sepoltura dell' “Ulivo” è fatto scontato. Quale possibilità esiste per la sinistra reale (quella fuori dal Pd) di essere forza di governo “nel governo”. E come può esserlo invece, “di governo”. La distinzione è abbastanza chiara.
La “spallata” di D'Alema e il diversivo perugino della sinistra interna, pur separate, ripropongono lo schema del vecchio centrosinistra. 

L'ipotesi altra, di una sinistra “di governo” disegna una sinistra con un progetto autonomo, innestato sui bisogni popolari e sulle soluzioni, che ha il proprio radicamento nei conflitti sociali e nei movimenti e realtà organizzative e associative nel volontariato, che li ispirano e li rappresentano. Lavorando per riconsegnar loro, piena autonomia dal controllo spesso coercitivo dei Pd locali. Un controllo esercitato in alcune province, anche sull'Anpi. Specie dove è forte e presente nella coscienza antifascista della gente.
Una sinistra che guarda ad un elettorato deluso non solo dal Pd, ma dal centrosinistra incapace di ribaltare i segni del berlusconismo.
Una sinistra che guarda e si rivolge ad un elettorato ormai organicamente fuori dal consenso al centrosinistra, ma che si aggrega sulle forze della rottura degli schemi tradizionali di governo.
Una sinistra che non si coalizzi per vincere le elezioni (che poi perde) e per agire, ben che vada, in subordine al partito maggiore. 

La sinistra da ricostruire è quella di una forza che propone un contrasto radicale al liberismo dei grandi poteri economico-finanziari forti: in Italia come in Europa. Che riesce ad incidere nei rapporti di forza sociali. Migliorando la condizione di vita popolare, anche se non partecipa direttamente ai governi. Vale la pena ricordare che, la sinistra, ha ottenuto i maggiori risultati riformatori (lavoro-sanità-diritti civili e molto altro ancora) indipendentemente dalla partecipazione al governo, ma con una solida battaglia nel Paese e nel parlamento. In sintesi: una sinistra che interpreta interessi sociali alternativi a quelli praticati da Berlusconi, continuati da Monti e Letta ieri e da Renzi oggi. Un ritorno a Berlinguer dei “cancelli alla Fiat e del referendum scala mobile”. Quelle lotte non furono vincenti, ma impedirono a Confindustria a Craxi di sferrare l'attacco a fondo e risolutivo al mondo del lavoro, che procedeva a tappe forzate.
Queste varie ipotesi in campo non dividono solo il Pd. Dividono anche parte della sinistra esterna. A Ravenna, nelle elezioni comunali prossime per esempio, la sinistra sperimenta un suo percorso  autonomo e alternativo al Pd. È , per inciso, la mia scelta personale e di molti altri, come si nota bene. A Milano si sono fatte scelte diverse. Quella di Ravenna è chiara e netta. Quella di Milano invece, non è senza ostacoli e piena di inevitabili contorsioni dall'una e dell'altra parte.

Germano Zanzi