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E' questo il titolo di un convegno svolto lo scorso 16 aprile alla Camera del Lavoro di Bologna (di cui verrà pubblicata la relazione introduttiva), di seguito alcune considerazioni.

Il posizionamento della Cgil dell'Emilia Romagna su questa vicenda è importantissimo, e non pare una posizione momentanea. Il segretario regionale della Cgil ha affermato “apriamo una vertenza rispetto alle scelte della proprietà pubblica, lo sciopero infatti è un punto di partenza, non di arrivo”. Una dichiarazione forte, che precisa la posizione espressa dalla Cgil nazionale su altre vicende analoghe. Purtuttavia, questo sarà sufficiente a fermare la tendenza alla privatizzazione? Forse non basta, e servono alcuni approfondimenti.
Se il punto di vista che si vuole far prevalere è la corretta gestione dei beni comuni, a partire dall'acqua pubblica, bisogna riconoscere che la strategia d'impresa di Hera, come quella di tante altre multiutility, è già privatistica. Questo non perchè una Spa - anche a maggioranza pubblica - è alla ricerca di un profitto da distribuire agli azionisti, ma perchè la visione, la filosofia di gestione dei servizi pubblici locali (acqua, energia, rifiuti, risorse del territorio) è privatistica.
Un esempio (che qualcuno fece notare all'epoca) nella relazione al primo bilancio presentato da Hera Spa si leggeva questo concetto: “l'anno passato è stato molto positivo, l'inverno è stato molto freddo, e abbiamo venduto molto gas, l'estate molto caldo e abbiamo venduto molta acqua, il bilancio è stato molto postivo”.
E' naturale che per un'azienda privata, che deve vendere merci, sia positivo venderne molte. Non è invece naturale che la gestione di servizi pubblici locali risponda unicamente alla logica del mercato. Il risultato positivo per la gestione di questi servizi (che siano considerati tutti “beni comuni” o meno non è fondamentale) non dovrebbe essere solo economico, ma soprattutto dovrebbe essere quello di ridurre al massimo i consumi, di ridurre gli impatti ambientali sul territorio, di aumentare l'efficienza e l'uso razionale di tutte le risorse, di aumentare la “sostenibilità”.
Non è quello che fa Hera (nonostante tenti di darsi una immagine “green”, con un po' di propaganda, i “bilanci sociali”, ecc.), anzi fa il contrario. Oltre alle diverse criticità evidenziate nella gestione del servizio idrico e sulle tariffe, possiamo aggiungere qualcosa sugli altri servizi.
Hera possiede il 20% di azioni nel progetto di centrale a carbone di Saline Joniche (progetto

che si spera non partirà mai) ma intanto ha immobilizzato capitali che potrebbero servire per investimenti sul territorio, che invece sono diminuiti. Analogamente partecipa (assieme a Sorgenia e Iren) alla proprietà della centrale a carbone di Vado Ligure, la Tirreno Power, attualmente sequestrata dalla magistratura per inquinamento ambientale.
La quota di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (vere) è ridottissima, il grosso viene da termovalorizzatori che bruciano biogas, biomasse, ma sopratto rifiuti (più o meno assimilati), in questa strategia sta il progetto di ampliamento della centrale termoelettrica di Enomondo a Faenza (di cui Hera è proprietaria al 50%).
Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti, Hera non prevede di assumere organicamente la strategia “verso i rifiuti zero”, con la raccolta differenziata spinta, il porta a porta, la tariffazione puntuale, la promozione del riciclo e del riuso. Il suo ciclo produttivo fondato sulla raccolta e la selezione meccanica, produce significative quantità di residui (Cdr, Css, Sovvalli) che diventano l'alimentazione per i propri termovalorizzatori.
Da questi sommari cenni, ne emerge che per una gestione effettivamente pubblica e sostenibile, dei diversi servizi (acqua, energia, rifiuti) possono essere necessarie strategie diverse, e questo dovrebbe portare ad un approfondimento anche su alcuni orientamenti di fondo che la Cgil sostiene, come “l'industrializzazione dei cicli integrati” e “politiche di aggregazione anche in territori diversi”.
La gestione dei servizi idrici potrebbe essere affidata a Enti di diritto pubblico, a partire dal mantenimento (o riacquisizione) della proprietà pubblica delle reti. Sui rifiuti, per attivare una strategia “verso rifiuti zero”, sta ormai emergendo che i bacini ottimali dovrebbero essere più piccoli di quelli attuali. Sull'energia, la priorità di aumentare l'efficienza e sviluppare la generazione distribuita, da fonti rinnovabili, necessita di altri servizi diffusi a livello territoriale.
In conclusione, per difendere effettivamente la gestione pubblica dei servizi pubblici locali è necessario non solo mantenere la maggioranza pubblica, ma recuperare, per le aziende deputate, una “mission” non di mercato, che abbia al centro la gestione razionale, appropriata e sostenibile delle risorse del territorio (verso “l'economia circolare”).
Si può fare? Si, se il maggiore azionista - che è la proprietà pubblica - ha questa volontà e la fa pesare verso gli altri azionisti (invece di farsi condizionare) e articola una precisa strategia, con le necessarie competenze.
Questa strategia non è completamente definita, ma si può costruire con la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti, a partire dai lavoratori di queste aziende e delle loro rappresentanze, dai Comitati per i Beni Comuni (per l'acqua pubblica, per Rifiuti zero, per l'energia sostenibile) dagli Amministratori locali sensibili, da competenze tecnico scientifiche, disponibili.
Proprio per questo, le iniziative di questi giorni, per impedire la vendida delle azioni da parte dei Comuni, è solo un punto di partenza.

Vittorio Bardi