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A lubrificare l’ingestione in chiave universale di tutta l’“energia di sempre”, ecco il termine che sta diventando più logoro di “sostenibilità”, e pure di “resilienza”: “Hub”. L’Italia “hub energetico per l’Europa” — ovviamente di tanti, tanti miliardi di metri cubi di gas — del quale il Mascellone già si autoproclama gran sultano. Però occorre un memento. “Hub” porta sfiga. “Malpensa”, l’aeroporto di Varese, doveva essere parecchi anni fa lo hub aereo italiano. Neanche oggi, nonostante ormai da tempo ci sia il trenino di collegamento, che, a forza di pigolare “hub”, si erano dimenticati di realizzare. E non doveva essere hub dell’acciaieria l’Ilva di Taranto? Per non parlare, negli anni Settanta, del “Quinto centro siderurgico” o della “Liquichimica”, di sicuro entrambi hub — anche se allora il prezioso termine non era in uso — di colossali perdite a carico della spesa pubblica

 

 Claudio Descalzi in diretta dallo studio del Tg1; sotto il titolo, ad Algeri firma contratti commerciali, con la premier Giorgia Meloni sullo sfondo

FACILI PROFETI, PER voluto eccesso, quando preconizzammo che il Governo Meloni sarebbe stato la facciata del governo Descalzi-Bonomi! Per eccesso, per aver aggiunto a Descalzi il capo di Confindustria, tanto per evocare il mondo industriale formalmente rappresentato da quel “cugino povero” di Salvini, ancor meno perspicuo del “cugino”, e afflitto dalle dimensioni della sua “fabbrichetta” che produce, peraltro, minchiatelle biomedicali. 

Algeria. Giorgia va come un treno ad alta velocità sulle tratte aperte da Draghi, che puzzano inesorabilmente di gas e lungo le quali, a fare salamelecchi ad autocrati africani gonfi di metano, l’uomo dal largo ma sottile sorriso ci mandava Di Maio, con il suo impeccabile costumino da lift del Grand Hotel. Ma l’Algeria è da sempre un “primo vicino” e grande esportatore di gas verso l’Italia, e quindi — quale Di Maio! — ecco in primo piano il Mascellone. Che ha dato mandato ai suoi adoratori: “Continuate con la prostasis davanti  al mio busto”, nascosti là nelle latebre del palazzo dell’Eni, mentre lui alla luce del sole algerino avrebbe indossato, impudico, addirittura i panni di Enrico Mattei“Proskinesis, ingegnere, proskinesis, niente prostata — gli ha sussurrato il suo visir. E, attenzione — ha continuato —, magari qualcuno in Algeria si ricorda per davvero di Mattei”. “Non capisci mai un tubo — gli ha sibilato con linguaggio da metanodotto Descalzi — innanzi tutto sono nato fisico, e poi non conta quel che ricordano gli algerini, ma quel che pensano gli italiani”. 

Il presidente della Repubblica algerina, Abdelmadjid Tebboune, e la premier italiana Giorgia Meloni

“E a orientare i loro pensieri ci pensa il coro dei grandi media italiani” ha ghignato il ceo dell’Eni, avendo in mente il grondar idrocarburi delle disinteressate sponsorizzazioni che elargisce a stampa, Tv e centri universitari vari. Come sempre in “Plenitude”, ma con l’avvertenza che il melenso e pigolante coro di giornalisti che celebra la sua “Algeriade” calchi un po’ l’accento su “l’energia di sempre”. Se no li manda a fare il turno per la proskinesis. Oddio, magari non è una minaccia.

A lubrificare l’ingestione in chiave universale di tutta questa “energia di sempre”, ecco il termine che sta diventando più logoro di “sostenibilità”, e pure di “resilienza”: “Hub”. L’Italia “hub energetico per l’Europa” — ovviamente di tanti, tanti miliardi di metri cubi di gas — del quale il Mascellone già si autoproclama gran sultano (Domani, 26.1.2023). Poi, anche qualche cosina di rinnovabili, ma poco beninteso. Giusto per tacitare la “sovranità energetica” di Giorgia, che ogni tanto, memore delle sue letture goethiane, rivolge a El Ceo un amorevole rimprovero: “Kennst du das land wo die zitronen blühn?” (“Conosci la terra dove fioriscono i limoni?”ndr).

Occorre un memento. “Hub” porta sfiga“Malpensa”, l’aeroporto di Varese, doveva essere parecchi anni fa lo hub aereo italiano. Neanche oggi, nonostante ormai da tempo ci sia il trenino di collegamento, che, a forza di pigolare “hub”, si erano dimenticati di realizzare. E non doveva essere hub dell’acciaieria l’Ilva di Taranto? Per non parlare, negli anni Settanta, del “Quinto centro siderurgico” o della “Liquichimica”, di sicuro entrambi hub — anche se allora il prezioso termine non era in uso — di colossali perdite a carico della spesa pubblica.

L’Europa già entro i prossimi dieci anni avrà il 50% di energia prodotta da rinnovabili, a costi economici e sanitari assai inferiori e con ritorni occupazionali inconfrontabili con quelli della “energia di sempre”

Figuriamoci se il Mascellone, palluto com’è, si può abbandonare a riti apotropaici per contrastare evocazioni cariche di negatività! Allora, proviamo con il ragionamento. In un ciclo di interessanti seminari su temi energetici patrocinato dall’Accademia dei Lincei, a parte il confronto tra gli ingegneri e i progettisti dell’Enel con quelli dell’Edf sui modelli di gestione di un parco elettrico nazionale, tenne banco quello della Exxon, che, a colpi di puntuali slide sull’evoluzione dei grandi sistemi energetici, mostrò che nel “pianeta energia” i tempi delle innovazioni, e della conseguente programmazione, sfidano le decadi. È roba di quarant’anni fa, e si può sperare che quel sapere abbia scavalcato il muretto di via della Lungara per diventare patrimonio di chi si occupa d’energia.

Allora, programmare per davvero l’Italia come hub energetico — in realtà del gas, con un condimento di “idrogeno verde”, che non si nega a nessuno — è una scelta che va pensata sui prossimi trent’anni. Ora, anche se l’Europa non è la California, già entro i prossimi dieci anni avrà il 50% di energia prodotta da rinnovabili, a costi economici e sanitari assai inferiori e con ritorni occupazionali inconfrontabili con quelli della “energia di sempre”. Anche a fottersene del global warming, com’è virile attitudine di Descalzi, che non vuole donnicciole alla Thunberg attorno al suo busto, l’inquinamento da particolato, soprattutto PM2.5, che vede gli idrocarburi protagonisti, è responsabile di una “pandemia” di malattie respiratorie con oltre seicentomila morti all’anno in Europa. Già, ma siccome il giornalismo d’inchiesta è confinato in nicchie di informazione, mentre untuosi speaker si prodigano in lacrimosa empatia verso tutti coloro che soffrono e muoiono per una qualche patologia, tranne che verso i morti da idrocarburi, “tirem innanz” dice il Mascellone, novello amatore Sciesa, verso il patibolo. Non il suo, quello della salute degli Italiani.

«Entro il 2024, sarà azzerata la dipendenza dal gas di Mosca», annuncia trionfalmente da Algeri il ceo di Eni Descalzi

Quanto alle prestazioni: «Entro il 2024, azzerata la dipendenza dal gas di Mosca!», annuncia trionfalmente da Algeri il dominus della politica energetica italiana. E anche della politica estera, lasciando a Tajani l’antico mestiere di raccattare con la paletta, come quando studiava da dogsitter di Berlusconi. Certo, altro metanodotto dall’Algeria, così Salvini smette di ripetere con labbro pendulo, anche davanti allo specchio, “Ponte sullo Stretto”. Eppure, se guardassimo alle vicende energetiche come Exxon già allora ammaestrava, potremmo snebbiare lo sguardo dal velo degli idrocarburi e guardare a quei 180 – 200 GW di Fer (Fonti energetiche rinnovabili), di cui Terna ha registrato la richiesta di allaccio alla rete. E magari provare a imitare la California, il cui Pil come Stato è il quarto del mondo (sopra la Germania), e che l’obiettivo “Net zero by 2050” lo anticipa di cinque anni. «La trasformazione economica più significativa dalla rivoluzione industriale» ha rivendicato il Governatore, Gavin Newson, insieme alla previsione di quattro milioni di nuovi posti di lavoro e duecento miliardi di dollari di costi sanitari risparmiati. Ma quale “untuoso” darà mai risalto di stampa o Tv a quest’ultima bazzecola? 

Mentre Newson programmava, per migliorare ulteriormente la perfomance, di andare a ripetizione di “sovranità energetica” dalla nostra premier, El Ceo, con la mano sulla fondina come sente parlare di trasformazione economica “green”, ha incaricato il suo cerimoniere di organizzare un banchetto per i presidenti di Regione e i sovrintendenti che più gagliardamente si oppongono agli stupri che le Fer operano sul territorio. “Cernia e patate, e lo spumante della cooperativa” ha raccomandato Descalzi, che sa come trattare con la plebe. I croissant di Maria Antonietta erano altri tempi. E poi, avete visto com’è finita. Bonaccini, informato del menu, voleva passare la mano, ma si è ricordato dell’elegante party di celebrazione del Ccs di Ravenna, e, in un sussulto d’orgoglio ha preteso, con un bigliettino al Mascellone: “Oh, per me spigola e champagne”. Che uomo! © RIPRODUZIONE RISERVATA