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FRANCIA. «Al di là delle pensioni, è contro qualcosa di più profondo, uno stile dell’élite, della nobiltà di Stato come direbbe Bourdieu, di una casta arrogante»

Intervista al sociologo Louis Chauvel: «Nei giovani c’è l’avversione a ciò che rappresenta Macron» Louis Chauvel

Come mai negli altri paesi europei i cittadini hanno ingoiato le riforme delle pensioni fino a 65 o 67 anni, mentre in Francia il simbolo dei 64 anni sta suscitando tante proteste? Il sociologo Louis Chauvel, professore all’Università di Lussemburgo, ha studiato il declino delle classi medie, in libri come Les classes moyennes à la dérive (Seuil), La Spirale du déclassement (Seuil) o le destin des génerations (Puf).

Come spiegare la forza del movimento di protesta in corso?

Tutto il welfare francese, pensato negli anni dopo la seconda guerra mondiale – scuola, sanità, pensioni – è culminato negli anni ’80 con la pensione a 60 anni, quando l’immagine ansiosa della povertà nella vecchiaia è stata sostituita da un ringiovanimento e da livelli di pensione comparabili con quelli dei salari. C’è stato un enorme cambiamento e i lavoratori hanno accettato condizioni di lavoro e di remunerazione più difficili (le 35 ore hanno generato un’intensificazione del lavoro) ma con la prospettiva di una pensione diventata un ideale di vita dopo il lavoro. È una promessa dagli anni ’80: la vita in pensione non sarà né ricchezza assoluta né povertà, ma quella della classe media, un bel periodo tra i 60 e i 75 anni, in forma, l’automobile, le vacanze. Quello che succede oggi è che le persone si rendono conto che la promessa della pensione arriverà sempre più tardi, in condizioni più degradate, con livelli di assegni peggiori. Il mondo salariato difende i suoi diritti sociali. La promessa di vita migliore si allontana a grande velocità, a cominciare da chi è nato troppo tardi nel baby boom. I più fortunati sono quelli che avevano 20 anni nel ’68. Oggi al centro della protesta c’è la generazione nata attorno al ’60, che ha un po’ più di 50 anni, con la pensione relativamente vicina. Sentono che la festa è finita.

Ci sono vicinanze con il movimento dei gilet gialli?

Nei gilet gialli la categoria più rappresentata erano lavoratori del settore privato, free lance, indipendenti, partite Iva, anche in certi casi un proletariato salariato. Oggi, al centro ci sono lavoratori dipendenti che hanno dei diritti sociali conquistati, statuti speciali, occupazioni ben incluse socialmente, con un lavoro stabile. Anche se in Francia il tasso di sindacalizzazione è basso, ci sono comunque competenze sindacali nelle imprese, tutti sanno come rivolgersi a un rappresentante sindacale. In queste categorie il malcontento è generalizzato. Si percepisce un declassamento, che è anche quello più generale della Francia. Sono inoltre persone che hanno conservato connessioni con il paese profondo, che, a differenza di Macron, conoscono la Francia dell’altra parte, quella della povertà, che continua a esistere, che ha una vita dura.

Come spiega la presenza dei giovani in una protesta per le pensioni, che assorbono il 15% del Pil e quindi privano altri investimenti, per il futuro?

In modo molto regolare, le classi medie constatano il degrado sul lungo termine. Si paragonano, generazione dopo generazione. I giovani di oggi hanno in media 2-3 anni più di studi dei loro genitori, ma vivono diverse frustrazioni, a cominciare ad esempio dalla casa, ci vogliono molti più anni di lavoro per poter acquisire una stessa superficie rispetto al passato. Quando si mettono a confronto con i genitori, vedono che è più difficile. Anche se spesso i giovani hanno dimenticato molte competenze sindacali e la difesa collettiva degli interessi dei lavoratori, hanno aspirazioni da classe media superiore, ma per le difficoltà economiche si trovano con livelli di vita bassi, una volta pagato l’affitto e il resto, vivono una profonda regressione sociale. Nel passato, anche i conservatori puntavano sull’avvenire del paese, c’era una proiezione, tanto più in Francia che ha avuto un’alta natalità. Oggi la situazione è diversa rispetto agli anni ’80, i giovani sono meno numerosi demograficamente.

Quali sono le prospettive politiche?

C’è un vero rischio di vittoria del Rassemblement national se continua così. Una durezza reale della vita rende l’estrema destra una possibilità. Potrebbe finire con una crisi sociale e politica di grande ampiezza, Macron riattiva una forma di pensiero violento in politica, Mélenchon rianima il 1793. Bisogna dire che Macron manca assolutamente di tatto, si rivolge a non più del 10-15% della popolazione francese e suscita ormai ostilità anche in chi lo ha sostenuto. Al di là delle pensioni, c’è qualcosa di più profondo, uno stile dell’élite, della nobiltà di stato come direbbe Bourdieu, di una casta arrogante. Per i giovani, che vivono frustrazioni generazionali, la profondità del movimento è determinata meno dalle pensioni che da un’avversione profonda per tutto quello che Macron rappresenta. Adesso non si può ancora parlare di esplosione, ma c’è un degrado molto rapido del clima sociale. Il Big One sarà adesso o fra 5 anni? È imprevedibile