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Il generale Figliuolo nominato dal governo commissario per la ricostruzione. Scelta centralistica e d’emergenza minimizzando il ruolo del cambiamento climatico

Per una nuova Romagna un uomo solo al comando non basta Conselice, Romagna, 25 maggio - Giuditta Pellegrini

Con colpevole e ingiustificato ritardo il governo ha nominato il generale Figliuolo commissario per gestire la ricostruzione della Emilia Romagna, anzi di un’area ben più vasta ora che si sono aggiunte anche Marche e Toscana. Non voglio polemizzare né con chi è stato chiamato a ricoprire questo incarico gravoso, né con i presidenti delle tre regioni che lo affiancheranno. Ciò che non convince è il carattere centralistico della scelta e soprattutto il ricorso a una figura istituzionale tipica dell’intervento straordinario.
Da quanto si capisce per ora dispone di pochi soldi, poca conoscenza dei territori in cui dovrà operare e soprattutto non è chiaro come spenderà le limitate risorse di cui dispone.

Colpiscono negativamente due aspetti: il clima culturale in cui è maturata la decisione e l’evidente assenza di priorità. Per quanto riguarda l’impianto culturale è prevalso il tentativo di minimizzare il rapporto fra il cambiamento climatico in corso e ciò che è accaduto. Anzi la connessione fra le due cose è di fatto ignorata e si preferisce mettere le e gli ambientalisti al centro dell’attenzione, non per le loro idee e progetti, ma per essere proprio con i loro continui no la causa di tutti i disastri che stanno colpendo questo nostro paese, soprattutto quelli climatici. I no più gettonati sono quelli di aver impedito di scavare l’alveo dei fiumi, ostacolato la cementificazione dei loro argini e infine di essersi opposti allo sterminio delle nutrie che, con le loro innumerevoli tane, rendono gli argini fragili e facilmente aggredibili da una piena.

Si distinguono in questa opera di denuncia noti negazionisti del cambio climatico, spesso gli stessi che attaccarono l’obbligo di vaccinarsi contro il Covid. La rozzezza degli argomenti e di chi li scrive non merita una replica. Più meritevole di attenzione è Il Foglio di qualche giorno fa con l’intervista di Gianluca De Rosa allo scrittore Maurizio Maggiani. Andrebbe ricordato agli sprovveduti ecologisti, sostiene l’intervistato, che se si avverasse la loro invocazione di un salvifico ritorno alla natura non significherebbe più sicurezza per la popolazione, ma solo tornare alla vita grama di un tempo non lontano, con un delta del Po esteso da Venezia a Rimini, e con la sommersione con acqua paludosa e malsana delle tante terre che furono bonificate grazie al genio e alla fatica degli “scarriolanti” per renderle non solo coltivabili, ma soprattutto edificabili. La conclusione a cui arriva Maggiani è la stessa a cui giungono le e gli ambientalisti: non bisogna ricostruire la Romagna che c’era, ma inventarne una nuova. Il punto è proprio questo.

La recente alluvione mette di fronte a una scelta molto drastica: o la nuova Romagna, o più in generale un nuovo paese, viene disegnato e realizzato da noi umani, o lo farà il cambiamento climatico e allora non sarà molto diverso da quello descritto nel bel libro di Telmo Pievani e Mauro Varotto “Viaggio nell’Italia dell’Antropocene”. Nel libro, con dovizia di particolari, viene proposta la geografia del nostro futuro se si continuerà a non far nulla per fermare la corsa del cambiamento climatico.

Infine la questione delle priorità. Partire dalla Romagna è imposto da ciò che è successo, meno certo è il che fare. Ci si può limitare a risarcire il più possibile i danni enormi che l’alluvione ha provocato, cioè tentare di ripristinare ciò che c’era prima dell’alluvione o, viceversa, si può scegliere di mettere in sicurezza quei territori e dare priorità a tutti gli interventi in grado di garantire alle popolazioni che, se si ripetesse un evento simile a quello che è accaduto, questa volta i danni sarebbero gestibili. Per la prima strada affidarsi a un commissario è parzialmente giustificato.

Se invece ci si incammina sulla seconda la scelta «dell’uomo solo al comando» per quanto bravo ed onesto sia, è poco credibile. Per una nuova Romagna serve uno sforzo collettivo, culturale in primo luogo, una mobilitazione straordinaria di competenze con la ricostruzione dei servizi tecnici dello Stato, una nuova cultura del territorio, con la consapevolezza che si colpiranno interessi corposi e si imporranno scelte impopolari per decolonizzare intere aree a rischio.

La nomina del commissario produrrà la ricostruzione di sempre e certamente non si vedrà una nuova Romagna e tantomeno una Romagna meno fragile a questi eventi. Buon lavoro Generale