Terra rimossa Si fermano le consegne degli aiuti, l'annuncio arriva prima dai droni e poi dalle pallottole. Onu: un bambino palestinese ucciso o ferito ogni 20 minuti. A Gerusalemme pestaggi al grido di «morte agli arabi»
Palestinesi con i pacchi della Ghf a Netzarim – Epa
Il messaggio lo hanno consegnato i droni israeliani, una voce registrata nel cielo di Gaza: «Nessun aiuto oggi, tornate a casa». Non è la prima volta che l’esercito affida ai droni il compito di «parlare» ai palestinesi, di terrorizzarli con latrati di cani o grida disperate di bambini piccoli. Un altro modo per spezzare le anime, insieme al ronzio incessante che non concede riposo.
IL MESSAGGIO – «nessun aiuto oggi» – era stato consegnato anche con le pallottole, sparate sulla folla che si era assiepata fuori dal centro di distribuzione statunitense della Gaza Humanitaria Foundation (Ghf) lungo il corridoio Netzarim. Almeno venti i feriti, riportano fonti mediche. «Le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro civili disperati questa mattina, che si erano raccolti su Via Salah al-Din per ricevere cibo in uno dei nuovi centri – racconta il giornalista Tareq Abu Azzoum – In un altro caso, un palestinese è stato ferito da dei cecchini israeliani vicino Rafah, mentre si avvicinava al punto di distribuzione».
Sono almeno dieci i palestinesi uccisi a Gaza negli ultimi tre giorni mentre cercavano di ottenere un pacco alimentare. Si muore di fame in tanti modi diversi. A migliaia ieri si erano presentati nei quattro centri della Ghf, hanno ricevuto solo pallottole, sparate dai cecchini o dai quadricotteri. È la faccia che assume l’assistenza umanitaria militarizzata: «Si vedono carri armati, si vedono veicoli blindati – scrive il reporter palestinese Hani Mahmoud – La sorveglianza totale…Camminiamo in una base militare, non in un centro umanitario. Ci sono anche denunce di sparizioni forzate. Molte famiglie raccontano di figli o parenti che sono andati a ritirare i pacchi e che sono scomparsi».
A poca distanza, lungo la linea di demarcazione con lo Stato di Israele, il gruppo suprematista Tzav 9, nato dalla pancia del movimento dei coloni, insisteva nei tentativi di bloccare i camion umanitari in ingresso a Gaza dal valico di Karem Abu Salem. Lo fanno da mesi, ma non è quello il principale ostacolo a un flusso dignitoso di aiuti dentro la Striscia: il blocco israeliano totale, iniziato il 2 marzo scorso, di fatto non è mai stato sospeso. Il voto del governo di Tel Aviv del 18 maggio che riapriva i valichi all’assistenza umanitaria è stato bypassato dallo stesso esecutivo, tramite la farsa della Ghf e l’embargo imposto alle Nazioni unite.
Secondo l’ufficio umanitario dell’Onu, Ocha, solo 600 dei 900 camion approvati dalle autorità israeliane hanno effettivamente raggiunto Karem Abu Salem e in ogni caso la maggior parte non è andato oltre. «Quello che abbiamo portato dentro è la farina – denuncia il portavoce di Ocha, Jens Laerke – Significa che non è pronta da mangiare. Il 100 percento dei gazawi è a rischio carestia». «(Si sono raggiunti) livelli che non avremmo mai immaginato possibili – aggiunge l’altra portavoce, Olga Cherevko – Livelli di disperazione, di fame e di completo deterioramento della dignità umana».
L’ALTRO NUMERO lo dà Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi: a sole tre ore di distanza da Gaza, ad Amman, «ci sono abbastanza forniture per sostenere oltre 200mila persone per un mese intero». La situazione peggiore resta quella del nord, dove gran parte dei governatorati è sotto ordine di evacuazione israeliano (ieri ne sono stati emessi altri), gli aiuti non arrivano e di ospedali funzionanti non ce ne sono più, come denunciava ieri Mohammed Salha, il direttore dell’ospedale Al-Awda, svuotato di pazienti e medici dall’esercito dopo due settimane di assedio totale e terribile. «Ci sono tante persone ferite – ha detto Salha – Tante uccise e rimaste per strada. Nessuno le può andare a prendere». Un abbandono completo, disperante.
Intanto a sud proseguono i raid con la strage peggiore a Khan Younis, città anche questa sotto ordine di evacuazione: 14 gli uccisi nel bombardamento di una tendopoli. Tra loro anche dei bambini, alcuni dei 50mila uccisi o feriti dal 7 ottobre 2023, «uno ogni venti minuti», ha denunciato ieri l’Unicef. Ieri il bilancio delle vittime degli ultimi venti mesi è salito a 54.300, i morti identificati a cui si aggiunge un numero impossibile da quantificare di dispersi sotto le macerie, almeno 15mila. Persone i cui corpi sono irraggiungibili perché sopra hanno tonnellate di cemento, corpi fatti a pezzi, come evaporati, corpi mangiati dai cani randagi.
Al di là dei due muri, in Cisgiordania, le violenze dei coloni non rallentano. Nella Valle del Giordano hanno eretto delle barriere per impedire ai contadini di Ein al-Hilweh di raggiungere i propri campi e a sud, a Masafer Yatta, hanno aggredito e picchiato una donna incinta di 37 anni. Intanto a Jenin era l’esercito ad aprire il fuoco nel villaggio di Sanur: due ragazzine di 10 e 12 anni sono rimaste ferite. A Gerusalemme un gruppo di tifosi del Beitar ha picchiato duramente due autisti palestinesi a bordo di un bus pubblico al grido di «Morte agli arabi».