LO SCONTRO. Le bozze della proposta agli enti locali, Regioni divise: «Spacca il paese» dicono al Sud. La carica dei leghisti, l’imbarazzo di Fratelli d’Italia. Le distinzioni dei governatori Pd. Cgil: «Inaccettabili diseguaglianze»
[Guarda la proposta del CDC per una legge di iniziativa Costituzionale]
La Conferenza delle Regioni alla presenza del Ministro Calderoli
«Sono solo appunti di lavoro». Così Roberto Calderoli ha presentato ieri alla conferenza Stato-Regioni il suo progetto di «autonomia differenziata». Il ministro agli Affari regionali e all’«autonomia», cioè il pomo della discordia, ha vestito i panni del diplomatico che cerca di presentare la nascita di regioni con estesissimi poteri e capacità di spesa superiori alle altre (la Lombardia e il Veneto rispetto alla Calabria, alla Puglia o alla Campania) come una (in)credibile opportunità per tutti. «Non c’è una spaccatura tra Nord e Sud – ha detto – C’è una paura del Sud che qualcuno si avvantaggi a svantaggio loro. Mi auguro che tutti possano avere un vantaggio, piccolo o grosso, da questa riforma».
PRIMA DEL TESTO «provvisorio» di Calderoli Lombardia, Veneto e Emilia Romagna hanno già chiesto competenze vastissime e a strappare maggiori risorse finanziarie possibili, contenute solo per scuola e sanità per quanto riguarda quest’ultima. Ieri il presidente Stefano Bonaccini lo ha ribadito sottolineando la necessità di fissare prima i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), i fabbisogni standard e la spesa storica, «e poi il coinvolgimento del Parlamento».
IN QUESTA CORNICE si muove il presidente pugliese Michele Emiliano, ieri ha incontrato i gruppi parlamentari del Pd, secondo il quale «prima proponevano la secessione, poi il federalismo fiscale, ora l’autonomia differenziata, non è che possiamo dire che ci fidiamo con certezza. È necessaria una legge cornice che stabilisca quali possono essere le materie oggetto d’intesa. È escluso ad esempio che scuola, energia o trasporti possano esser oggetto di una delega alla Regioni. Il rischio è quello di una Babele».
PER IL TOSCANO GIANI (Pd) invece «l’autonomia differenziata va letta non come un problema di risorse che competono tra Nord e Sud creando squilibri, dobbiamo leggerla come un’Italia che dà in alcune Regioni che hanno un maggiore profilo di competenza su una materia – in Toscana beni culturali e geotermia – una specificità nella competenza e nell’azione della Regione».
I LEGHISTI sono carichi come pile elettriche. Per loro è la partita della vita. E giocano al rovesciamento del senso politico dell’operazione. «Il progetto è costituzionale: chi è contro l’autonomia è contro la Costituzione» ha detto il veneto Zaia infilando il coltello nella piaga: il Titolo V della Costituzione riformato dal «centro-sinistra». Il friulano Fedriga sostiene che la «leale collaborazione» del governo con le regioni e ha rilanciato la lettura dell’«identitarismo differenziale» del presidente della Camera Fontana: «Valorizzare la ricchezza delle nostre diverse identità è il futuro del nostro paese». Così le destre leghiste mascherano la «secessione delle regioni ricche» ai danni di quelle del Sud. Ma non tutte le regioni di queste destre sono allineate. Prendiamo il forzista Roberto Occhiuto, presidente della Calabria, che parla di « diritti uguali per tutti» e «si archivi l’ingiusto criterio della spesa storica per finanziare questi diritti».
NEL MEZZO si trova il partito di maggioranza Fratelli d’Italia che in passato ha proposto una riforma costituzionale (XVII legislatura) che sopprimeva «ogni forma di specialità regionale». «[La] presidente Meloni ha parlato di Autonomia parallelamente alla riforma presidenziale che gli italiani invocano e che darebbe modernità alla nostra nazione» ha ricordato Alfredo Antoniozzi (Fdi). In pratica, il progetto della devastazione completa dell’impianto costituzionale. Fuori dai Palazzi c’è tutto un mondo in ebollizione. Il sindacato dei medici dirigenti Anaao Assomed, per esempio, si è detto «attonito, la bozza del Ddl è preoccupante, no alla frantumazione del sistema sanitario nazionale». «Bisogna ridurre le inaccettabili diseguaglianze già esistenti e i divari territoriali sempre più ampi – sostiene la Cgil – L’autonomia differenziata va, invece, in direzione opposta».
Commenta (0 Commenti)ARIA FRITTA. La Conferenza mondiale sul clima in Egitto a rischio fallimento. Il segretario generale Onu: «Basta fossili, sequestrano l’umanità». Nella bozza della dichiarazione finale tanti vuoti e qualche spiraglio. Solo 24 ore per un compromesso. La frattura del Nord con il Sud, i grandi inquinatori non vogliono pagare i danni del caos climatico. Fra i punti di conflitto l’entità della riduzione delle emissioni e il Fondo per i danni. Greenpeace accusa: senza una buona intesa si va verso l’inferno climatico
Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres alla Cop27 - Christophe Gateau/via Getty Images
La «Conferenza delle azioni reali», la «Cop27 africana» fa tremare fino all’ultimo. Il cammino verso un impegno finale condiviso (più o meno) da 200 paesi è tortuoso, come dimostrano le 20 pagine diffuse a mo’ di bozza nella notte fra il 16 e il 17 novembre a cura della presidenza della Cop27: un «non paper», così è stato definito, con molti paragrafi ancora vuoti.
IL SEGRETARIO GENERALE dell’Onu Antonio Guterres striglia tutti: «Sono qui per fare appello a tutte le parti affinché siano all’altezza del momento e della più grande sfida che affronta l’umanità. Il mondo sta guardando e ha un semplice messaggio: o la borsa o la vita».
E visto che il pianeta «brucia e affonda sotto i nostri occhi», indica fra gli impegni essenziali, insieme alla finanza climatica e al risarcimento dei danni climatici al Sud, una netta riduzione delle emissioni, perché «i combustibili fossili sequestrano l’umanità».
Antonio Guterres
«Sono qui per fare appello a tutte le parti affinché siano all’altezza del momento e della più grande sfida che affronta l’umanità. Il mondo sta guardando e ha un semplice messaggio: o la borsa o la vita»
MA LA BOZZA «per ora è una lunga lista della spesa», ha commentato Carlos Fuller, ambasciatore del Belize e dell’Alleanza dei piccoli Stati insulari – fra le aree più vulnerabili. E mancano ancora generi di prima necessità. Come il tema più bruciante e centrale della Cop27: la questione delle perdite e danni (loss nd damage) subiti dai paesi del Sud globale a causa del caos climatico.
IL DOCUMENTO ACCOGLIE il fatto che per la prima volta in una Cop le parti abbiano accettato di discutere di accordi per fondi in materia. Ma oltre a non usare il termine «risarcimenti» come vorrebbero diversi rappresentanti del Sud e della società civile, non si indica una scadenza per decidere se creare un vero Fondo ad hoc come chiesto dai G77, dalla Cina e dai paesi più danneggiati ed esposti.
Usa e Ue temono esborsi eccessivi e il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans ha subito messo le mani avanti, anzi contro il Fondo: «Se facciamo una nuova struttura, ci vorrà tempo, e i paesi vulnerabili hanno bisogno di questi soldi adesso. Meglio aggiornare le possibilità esistenti».
Ci si chiede quali, visto che nella stessa bozza si esprime preoccupazione perché non è stato raggiunto «l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari all’anno in aiuti ai paesi in via di sviluppo per le loro politiche climatiche, previsto dall’Accordo di Parigi» e si fa appello ai paesi sviluppati affinché «almeno raddoppino i fondi per l’adattamento al clima» evitando anche «passi indietro negli impegni di azione e sostegno», vista la necessità di una cooperazione internazionale senza precedenti se si vuole arrivare a zero emissioni (nette) e al tempo stesso «fornire elettricità ai 785 milioni che non ne hanno, ed energia pulita per cucinare a 2,6 miliardi».
E dunque, sul loss and damage, i paesi maggiormente esposti insistono: «Qualunque cosa sia meno di un Fondo ad hoc per perdite e danni sarebbe un tradimento per le persone e i popoli che lavorano per l’ambiente e l’umanità», dichiara Molwyn Joseph, ministro dell’ambiente di Antigua e Barbuda.
Il capo negoziatore del gruppo dei G77, il pakistano Nabeel Munir, sottolinea che «i paesi sviluppati devono pagare. Se non ci si mette d’accordo su questo Fondo, penso che questa Cop non sarà un successo». Per la delegazione brasiliana, «i forum dell’Onu non possono continuare a essere discussioni teoriche le cui decisioni, poi, non vengono nemmeno rispettate».
Greenpeace accusa: senza una buona intesa si va verso l’inferno climatico
MOLTO CRITICO anche Yeb Saño, capo delegazione alla Cop27 di Greenpeace International: «Mentre gli impatti e l’ingiustizia climatica galoppano, c’è una grave mancanza di fondi disponibili i paesi poveri per l’adattamento, la mitigazione e il risarcimento di perdite e danni; nessuna via credibile verso l’assegnazione dei trilioni necessari».
L’ASSOCIAZIONE BOLLA il documento preparatorio («così si spinge il pedale dell’acceleratore verso l’inferno climatico») anche per un altro punto: si ripete, in effetti, la richiesta della Cop26 di accelerare le misure per uscire dal carbone, ma non appare la fuoriuscita almeno graduale da petrolio e gas, pur chiesta da diversi paesi. Si parla solo di «eliminare e razionalizzare gli inefficienti sussidi ai combustibili fossili».
ALCUNI SPUNTI POSITIVI sono indubbiamente presenti nel documento, ma non è detto che rimangano. Intanto, gli impegni di decarbonizzazione (Ndc) presi attualmente dagli Stati nell’ambito dell’Accordo di Parigi sul clima riducono le emissioni al 2030 del 5% tenendo conto degli impegni senza condizioni (sulla base delle capacità di un paese) e del 10% tenendo conto degli impegni condizionati ad aiuti esterni. Ma per mantenere il riscaldamento globale entro 2 o 1,5 gradi dai livelli pre-industriali, queste percentuali dovrebbero aumentare al 2030 rispettivamente del 30% e del 45%.
SOPRATTUTTO SI NOTA «con profondo rincrescimento che i paesi sviluppati che hanno le maggiori capacità per ridurre le loro emissioni continuino a non farlo ed esprimano obiettivi inadeguati per arrivare a zero emissioni nette nel 2050, continuando a consumare in modo sproporzionato il budget di carbonio rimanente. Dovrebbero arrivare a zero emissioni nette al 2030».
COME AL SOLITO è questione anche di soldi. Alla finanza climatica globale si destina poco più del 30% annuo di quanto necessario per gli obiettivi di Parigi. E «una trasformazione globale verso una economia a basse emissioni richiede almeno fra i 4.000 e i 6.000 miliardi di dollari annui».
IL DOCUMENTO EVOCA poi il debito estero che grava su molti paesi e velatamente critica le istituzioni finanziarie internazionali. Uno dei tanti paragrafi ancora vuoti ha questo titolo: «Necessità speciali e circostanze speciali dell’Africa»
Commenta (0 Commenti)
LA CRISI DEM. Scontro sulla road map per le primarie. Letta «parafulmine» lavora alla mediazione tra ex renziani e sinistra. Domani l’assemblea deve fissare le regole, ma «l’accordo non c’è. Voci di scissione
Enrico Letta smentisce l’ipotesi di dimissioni che ieri era comparsa sulla Stampa. Ma non nega, e non potrebbe farlo, che il braccio di ferro tra le diverse anime del partito sui tempi del congresso sta diventando insostenibile.
DA UN LATO GLI EX RENZIANI (e non solo) che premono per tenere le primarie il prima possibile, anche a scapito della fase costituente che la direzione ha approvato pochi giorni fa a larga maggioranza. Dall’altra la sinistra interna che vuole invece una vera costituente, in cui si discuta dei nodi dell’identità prima di eleggere il nuovo leader. E soprattutto che di qui a gennaio il Pd apra porte e finestre ai tanti potenziali partecipanti ad una discussione vera e non di facciata.
Tra questi ci sono Bersani, Speranza e gli altri di Articolo 1 che hanno già messo in chiaro: «Se è un normale congresso del Pd non partecipiamo». Tra i potenziali entranti c’è anche Elly Schlein, che non è iscritta e però ha messo la faccia su un percorso in cui costruire «la visione del nuovo Pd» prima della conta sui nomi.
NEL MEZZO C’È LETTA, che ha promesso a se stesso di portare il partito in modo ordinato fino alla scelta del suo successore. E che però in queste ore è diventato il «parafulmine» di tutte le tensioni interne. Una tenaglia insostenibile per un leader che il 26 settembre ha scelto di restare solo per senso del dovere. E per evitare che il partito imploda prima di arrivare alle assise. «Abbiamo già perso quasi tre settimane», lo sfogo di Letta. «In questi giorni dovremmo essere tutti impegnato a discutere, fare assemblee, definire i cardini del nuovo manifesto dei valori».
La sua road map prevede che la prima fase duri fino a fine anno. A gennaio ci sarebbe il voto degli iscritti sulle diverse mozioni e il 19 febbraio le primarie. Quasi un mese della data fissata all’inizio, il 12 marzo. «Tempi più stretti di così non sarebbero seri», il ragionamento del segretario. «La fase costituente è fondamentale».
DIETRO LE QUINTE STA succedendo di tutto. Gli ex renziani guidati da Lorenzo Guerini sono convinti che il loro candidato, Stefano Bonaccini (che però non vuole essere etichettato dalle correnti) sia il grande favorito. E non vogliono perdere altro tempo in una discussione che potrebbe evidenziare come, tra gli iscritti, prevalgano idee molto più di sinistra.
Voci di partito raccontano che il vero obiettivo sia lasciare fuori i bersaniani e soprattutto Schlein, che sarebbe una pericolosa competitor alle primarie. Anche la sinistra di Orlando e Bettini resta fredda su Schlein, e vorrebbe allungare i tempi perché non ha ancora scelto su quale candidato puntare.
«La questione è semplice: o si fa la costituente e si costruiscono le condizioni per un’apertura oppure si fa un congresso ordinario», dice Orlando. «Non c’è nessuna volontà di diluire i tempi per ragioni oscure». Sulla stessa linea Provenzano: «La costituente o si fa seriamente o è meglio fare subito le primarie. Non possiamo continuare a cercare una via di mezzo».
PROPRIO LE INFINITE mediazioni vengono viste da tanti come uno dei mali del Pd. «Mi preoccupa che ci sia un congresso un po’ falso, dove magari si trova un accrocco in cui tutti si ritrovano e non c’è la soluzione della contraddizione identitaria», dice Bettini, che ieri alla presentazione del suo libro a Napoli ha condiviso con D’Alema l’idea di un riformismo che «smetta di adattare la società alle esigenze del capitalismo globale». D’Alema ha invitato i dem ad approfittare della fase di opposizione per «ricostruire le fondamenta del partito». E ha citato Lula che «vince perché lo votano i poveri».
LETTA DUNQUE LAVORERÀ fino all’ultimo istante per far sì che l’assemblea dem (convocata domani a Roma) voti le modifiche statutarie necessarie per attuare il percorso che prevede le primarie il 19 febbraio e l’apertura del percorso agli esterni. Ma l’accordo «ancora non c’è», raccontano più fonti. In assemblea serviranno almeno 500 voti per approvare le modifiche allo statuto.
E il rischio che finisca male è alto. In quel caso tutto è possibile, anche che Letta getti la spugna. Anche un esperto come Franceschini vedi rischi di scissione e getta acqua sul fuoco: «Dobbiamo tornare a sentirci una comunità, smettendo coi ritornelli “se vince quello o questo me ne vado”».E se il capogruppo a Bruxelles Brando Benifei ieri ha detto al manifesto che «chi condivide le idee di Renzi dovrebbe andarsene», la destra interna replica con Lia Quartapelle: «Serve un congresso rigenerativo, non distruttivo».
Commenta (0 Commenti)
UCRAINA. Medie invernali a -15, e con gli ultimi grandi attacchi il 40% dell’energia ucraina è fuori uso
Tank e blindati russi distrutti e coperti di neve ieri nel centro di Kiev - Ap
Forse le truppe russe non riusciranno ad avanzare nei prossimi mesi ma chi dovrà resistere al gelo sono gli ucraini. Se ne sono resi conto tutti, soprattutto i media che continuano a pubblicare laconiche immagini di Kiev che inizia a tingersi di una leggera patina bianca sotto i primi fiocchi di neve. Il che, al nono mese di guerra è tutt’altro che romantico.
IN UCRAINA le minime invernali superano i -15° e, più raramente, arrivano a -20°. Dentro uno scantinato senza corrente, gas o acqua calda, una situazione del genere diventa
Leggi tutto: Kiev, nevica in piazza Maidan. Arriva il generale più crudele - di Sabato Angieri Kiev
Commenta (0 Commenti)IL CASO. Ora il governo dovrà adeguarsi al regolamento europeo che prevede la tassazione sugli utili delle società e non più sul fatturato. L’aliquota fissata da Draghi potrebbe salire dal 25 al 33% . Al momento però il gettito previsto resta lontano dai 10,5 miliardi ed è del tutto insufficiente per coprire l'emergenza caro-bollette
Il Tar del Lazio ha riconosciuto ieri l’inammissibilità dei ricorsi presentati da una ventina di aziende energetiche contro la tassa sugli extraprofitti realizzati durante la crisi pandemica e quella attuale. La tassa è stata voluta dal governo Draghi per finanziare una parte dei decreti contro il caro-energia. Al 30 giugno scorso mancavano all’incirca 3,2 miliardi sui 4,2 attesi dal contributo straordinario pari al 25% degli importi guadagnati. Aziende come Esso ad Acea e Ip l’hanno ritenuto anche incostituzionale. Se entro il 15 dicembre queste e altre aziende versassero quanto previsto dal decreto Aiuti-bis il ministero dell’Economia potrebbe registrare entrate vicine ai 5 miliardi di euro. Il governo Draghi ha parlato di 10 miliardi. L’opposizione delle aziende al pagamento della tassa lo ha portato a raddoppiare le sanzioni dal 30 al 60% di quanto non versato. Nel Dl Aiuti bis erano stati previsti anche gli interventi dell’Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza.
Sono tenute, al momento, a pagare le aziende che producono e rivendono energia elettrica, gas metano e gas naturale; producono, distribuiscono e commerciano prodotti petroliferi. Sono state esentati gli auto-produttori di energia elettrica e chi scambia l’energia elettrica, il gas, i certificati ambientali e i carburanti. Stando alle regole stabilite da Draghi sono in regola aziende come Eni la cui tassa è stata quantificata intorno a 1,4 miliardi di euro, Edison e A2a. Acea ha sostenuto di avere versato 28,5 milioni di euro e che la parte imponibile dei suoi ricavi non è riconducibile agli extraprofitti. Per questa ragione ha deciso di impugnare la norma, contestando «elementi di illegittimità, anche costituzionale».
Il Tar del Lazio ha riscontrato un «difetto assoluto di giurisdizione» nei ricorsi delle aziende energetiche contro l’Agenzia delle entrate che si è mossa per ottenere il «contributo straordinario contro il caro bollette». Il tribunale amministrativo ha definito «puntuali» le norme che hanno individuato i soggetti passivi e la base imponibile, non è «dubitabile la definitività della prestazione patrimoniale» ed è chiaro lo scopo del «contenimento, per le imprese ed i consumatori, dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico».
Maurizio Leo, viceministro dell’Economia e delle finanze, sostiene che il governo recepirà il regolamento dell’Unione Europea secondo il quale bisogna lavorare sull’utile. «Sugli extra profitti la norma precedente era costruita sui flussi Iva, che non colgono esattamente l’extraprofitto» e «quindi, cerchiamo di costruire una nuova base imponibile che possa veramente cogliere nel segno di quello che è l’extraprofitto».
Siamo in ogni caso molto lontani dalla tassazione del 100% ipotizzata da Sinistra Italiana e Verdi che garantirebbe importi vicini, o superiori, a 40 miliardi di euro ritenuti necessari per affrontare gli effetti del record inflazione (11,8%) e del caro bollette di gas e elettricità senza scostamenti di bilancio. «Adesso che si è stabilito che la tassazione è legittima – sostiene Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana, Alleanza Verdi Sinistra) – chiediamo al governo di avere più coraggio e di tassare gli extraprofitti al 100% per restituire quei miliardi di euro a cittadini e imprese».
«Il voto della maggioranza solo qualche giorno fa, contro il nostro emendamento al Dl Aiuti-ter sulla tassazione degli extraprofitti ci ha lasciato senza parole – sostiene Angelo Bonelli (Europa Verde, Alleanza Verdi e Sinistra) – Mentre nei primi sei mesi del 2022 i bilanci di Eni hanno visto un aumento degli utili del +670% e, nell’ultimo trimestre del 2021, del + 3870%, gli italiani sono sempre più poveri a causa del caro energia». «Ora le aziende dell’energia non hanno più scusanti e devono versare la tassa sugli extraprofitti, pena denunce – afferma il Codacons – La decisione del Tar sia da stimolo al governo sia per incrementare l’aliquota della tassa, come richiede anche l’Europa, sia per estendere la platea dei soggetti interessati, estendendo il contributo a banche, assicurazioni, società farmaceutiche, aziende dell’e-commerce e farmacisti, che nell’ultimo biennio hanno registrato utili in enorme crescita».
Commenta (0 Commenti)
REGIONALI. Al tavolo del centrosinistra del Lazio i rossoverdi chiedono il campo largo per poter tornare competitivi. Conte: «Ripartiamo dai programmi». Il candidato designato dal Pd ora deve provare ad allargare la coalizione
È il giorno che dovrebbe segnare la consacrazione della candidatura di Alessio D’Amato alla coalizione del centrosinistra. Fin dal mattino si avverte qualche scricchiolio. Il primo allarme arriva da Nicola Fratoianni: «Basta con giocatori di poker, si azzeri tutto, si riapra un tavolo di confronto sui temi, senza primi della classe e senza primogeniture. Non abbiamo voglia di replicare il 25 settembre».
IL SEGRETARIO di Sinistra italiana fa riferimento a un sondaggio uscito ieri sulle pagine romane di Repubblica, che conferma quanto era facilmente intuibile: senza campo largo è impossibile pensare di competere per la Regione Lazio. «Da quei numeri si vede che la partita è persa e i cittadini progressisti, democratici e ecologisti del Lazio devono rassegnarsi a vedere trionfare la destra. Giustamente gli girano le scatole. Come girano pure a noi». Fratoianni chiede che tutti gli attori in campo ripensino le loro posizioni. «A questa irresponsabilità da giocatori di poker va contrapposta intelligenza e umiltà – prosegue – Sappiano i giocatori di poker che non stanno giocando con le fiches ma con le vite dei cittadini del Lazio. E che la politica giochi con le vite delle persone non è mai una cosa bella».
NELLE INTENZIONI del Partito democratico, il tavolo della coalizione di centrosinistra (senza Terzo polo e M5S) convocato per annunciare la scelta di puntare su D’Amato doveva servire solo a decidere se fare le primarie. Invece il segretario regionale dem Bruno Astorre si trova davanti al dissenso di Sinistra italiana, Verdi e Sinistra civica ed ecologista, che chiedono che si riparta dal confronto programmatico e si faccia di tutto per ritrovare l’unità perduta. Poco prima, D’Amato aveva dichiarato per la prima volta di «non avere preclusioni verso l’allargamento della coalizione ai 5 Stelle». Dall’altro fronte della disputa, Giuseppe Conte invoca la necessità di «partire dal confronto programmatico». È un passo indietro rispetto al giorno prima, quando il leader del M5S aveva fatto sapere che stava prendendo in esame alcuni nomi per la presidenza della Regione. I Verdi, inoltre, portano il loro contributo al tavolo del centrosinistra spiegando con qualche dovizia di particolari e tecnicismi come si può sminare la questione del termovalorizzatore, che ormai è diventato il feticcio attorno al quale immolare il Lazio alle destre.
LA SCELTA del Partito democratico è quella di «sospendere» il tavolo e di consegnare a D’Amato una sorta di mandato esplorativo, allo scopo di allargare la coalizione. «Prendiamo atto delle scelte del Pd, legittime ma attualmente insufficienti a fare una proposta vincente per la regione Lazio – è la valutazione di Claudio Marotta di Sinistra civica ecologista – La palla è a D’Amato ascolteremo le sue parole. Il nostro appello è di riaprire il dialogo programmatico anche coi 5stelle e quindi a tutto il campo largo. Senza pregiudiziali né sul programma né sui nomi, per tornare competitivi e non lasciare la regione alla destra». Marta Bonafoni, presidente di Pop e capogruppo della lista Zingaretti fa capire che i giochi sono riaperti: «È il momento di tentare tutto quello che finora non si è tentato per costruire ponti e tornare alla coalizione larga con cui abbiamo governato nel Lazio negli ultimi due anni». Nicola Fratoianni estende l’esortazione a tutti i pretendenti: «Si azzeri tutto, si riapra un tavolo di confronto sui temi – conclude – Senza primogeniture e senza l’ossessione di piantare bandierine o fare i primi della classe. Altrimenti l’esito è segnato».
Commenta (0 Commenti)