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Israele/Palestina Il movimento islamico palestinese chiede di inserire nell’accordo la fine dell’offensiva. L’inviato Usa: totalmente inaccettabile. Vietato l’ingresso in Cisgiordania alla delegazione diplomatica dei paesi arabi

La fuga dopo un bombardamento israeliano a Gaza City foto Yousef Alzanoun/Middle East Images La fuga dopo un bombardamento israeliano a Gaza City – foto Yousef Alzanoun/Middle East Images

Ancora una volta sembrava di esser giunti vicini a un accordo di cessate il fuoco a Gaza. Lo avevano dichiarato più fonti, compreso il presidente Usa Donald Trump.

La proposta dell’inviato in Medio Oriente, Steve Witkoff, accolta da Tel Aviv, è stata sottoposta al vaglio di Hamas. Ieri il gruppo palestinese ha dichiarato di aver risposto, proponendo alcuni emendamenti. Dopo poche ore, è giunta la sentenza secca di Witkoff, che ha dichiarato le modifiche palestinesi «totalmente inaccettabili», aggiungendo che «Hamas dovrebbe accogliere la proposta quadro che abbiamo presentato come base per i colloqui di prossimità, che possiamo iniziare immediatamente la prossima settimana».

SECONDO IL CANALE egiziano Al-Rad gli emendamenti riguardavano le tempistiche del rilascio degli ostaggi. Hamas vorrebbe che la liberazione avvenisse in più fasi, tre o forse quattro, così da assicurarsi che Israele partecipi ai colloqui sul cessate il fuoco definitivo e non si tiri dietro all’ultimo momento, com’è successo in passato. Lo scoglio più grande rimane la garanzia che Tel Aviv rispetti i patti e non si limiti a riprendere le sue operazioni dopo lo scambio dei prigionieri (esattamente quello che Netanyahu, per sua stessa pubblica ammissione, intenderebbe fare). Witkoff ha dichiarato che il suo piano garantirebbe «negoziati in buona fede per cercare di raggiungere un cessate il fuoco permanente» e che si tratta «dell’unico modo in cui possiamo chiudere un accordo di cessate il fuoco di 60 giorni».

Funzionari israeliani hanno dichiarato al quotidiano Haaretz che per Tel Aviv gli emendamenti equivalgono a un rifiuto. La proposta torna dunque indietro ad Hamas, che dovrà decidere in poco tempo se accettarla o meno.

L’esercito ha emesso ieri sera ordini di evacuazione per quasi l’intera area meridionale di Gaza. Alla popolazione di Khan Yunis, Bani Suhaila e Abasan è stato intimato di spostarsi immediatamente verso la zona di al-Mawasi, dichiarata «area umanitaria» da Israele ma sottoposta a continui bombardamenti. Gli attacchi israeliani si sono intensificati durante la notte tra venerdì e sabato. Almeno sessanta persone sono state uccise in ventiquattro ore, secondo i dati del ministero della salute di Gaza.

MA I NUMERI non comprendono le vittime del nord, le aree attaccate sono spesso impossibili da raggiungere. Tre bambini sono morti quando Israele ha bombardato la tenda in cui si trovavano, nel campo profughi di Shati. Un’altra tenda è stata colpita da un drone vicino Khan Younis. Secondo l’agenzia di stampa Wafa l’attacco ha ucciso sei persone, tra cui quattro membri della stessa famiglia. In serata alcuni razzi lanciati dalla Striscia sono caduti in un’area disabitata nei pressi del confine israeliano. Poco dopo l’esercito israeliano ha confermato l’assassinio del leader di Hamas, Mohammed Sinwar.

La fondazione americana che opera a Gaza ha detto di aver distribuito ieri trenta camion di aiuti. L’hanno definita la «più grande distribuzione di pasti dall’inizio delle nostre operazioni». I funzionari, circondati dall’esercito e dagli appaltatori armati statunitensi, comunicano di aver consegnato in tutto 51.840 pacchi, per un totale di più di tre milioni e 800mila pasti. Dunque, se fino a due giorni fa la stessa fondazione dichiarava che ogni pacco contiene 57,75 pasti (che già sembrava un’enormità), oggi il numero aumenta addirittura a 73,95. Stime che fanno sorgere seri dubbi, come i resoconti che negano i disordini nelle aree di smistamento. I filmati girati ieri mostrano persone in fuga dal centro di Rafah sotto il suono di spari di armi da fuoco. L’agenzia Wafa ha informato che almeno due palestinesi sono stati uccisi e decine feriti nelle prime ore di sabato, quando i militari israeliani hanno aperto il fuoco sui civili che provavano a raggiungere i cancelli del centro di distribuzione nei pressi della rotonda Al-Aram, a ovest di Rafah.

IL PROGRAMMA alimentare mondiale (Wfp) ha dichiarato che 77 camion carichi di farina sono entrati tra la notte di venerdì e le prime ore di sabato. Tutti sono stati fermati durante il percorso e il cibo è stato portato via «da palestinesi affamati che cercavano di sfamare le loro famiglie». Secondo l’agenzia Onu, «dopo quasi 80 giorni di blocco totale, le comunità muoiono di fame e non sono più disposte a sopportare che il cibo gli passi davanti». Solo l’ingresso di aiuti su larga scala potrebbe riportare la fiducia di una consegna certa ed evitare caos. Ma perché ciò avvenga, aggiunge il Wfp, «abbiamo bisogno di rotte di trasporto più sicure e affidabili, di autorizzazioni più rapide e di ulteriori attraversamenti di frontiera aperti Questa consegna è un inizio, ma non è affatto sufficiente». Jens Laerke, il portavoce dell’Ufficio dell’Onu per il Coordinamento degli Affari Umanitari (Ocha), ha dichiarato che quella di Gaza è «una delle operazioni di aiuti più ostacolate nel mondo, non solo di oggi, ma nella storia recente». Venerdì lo stesso Laerke aveva descritto Gaza come «il luogo più affamato del mondo».

INTANTO, potrebbe portare a conseguenze diplomatiche da non sottovalutare, il divieto espresso ieri da Israele alla delegazione ministeriale araba che avrebbe dovuto recarsi a Ramallah, in territorio palestinese. Il ministero degli esteri giordano ha fatto sapere che la visita era prevista da tempo e che la delegazione comprendeva ministri di Arabia saudita, Emirati arabi uniti, Egitto, Giordania e Qatar. All’ultimo, Israele ha negato il permesso di volo nello spazio aereo della Cisgiordania occupata, che è sotto il suo controllo. I rappresentanti arabi avrebbero dovuto parlare con il presidente dell’Autorità palestinese, Mahmoud Abbas, del rilancio della soluzione a due stati. Il vicepresidente palestinese, Hussein al-Sheikh, ha definito la decisione di Tel Aviv un «comportamento arrogante, provocatorio e senza precedenti».