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ISOLA FELICE. I dati dello spoglio tardano fino a notte. Ma M5S e Pd accusano «Testa a testa costruito ad arte per minimizzare la sconfitta»

 

Sembra che Alessandra Todde ce l’abbia fatta. La candidata sostenuta dall’alleanza Pd-M5S potrebbe essere la nuova presidente della Regione Sardegna. La prima presidente donna nella storia dell’autonomia regionale sarda. Diciamo «sembra» e «potrebbe» perché al momento in cui scriviamo, i dati definitivi non sono ancora noti, a causa di un’incredibile lentezza della macchina organizzativa che la Regione ha approntato per raccogliere e diffondere i risultati.

IL FATTO è (da qui la cautela) che le cifre disponibili alle 22.30 sono riferibili solo a 1.642 sezioni scrutinate su 1844, pari a circa il 90% dei votanti. Quindi un quadro incompleto, con Todde al 45,3, Truzzu al 45% Soru all’8,7% (quindi fuori dal consiglio regionale perché non supera lo sbarramento del 10% imposto dalla legge elettorale sarda alle coalizioni) e la l’indipendentista Lucia Chessa all’1 %. Eppure il centrosinistra nella tarda serata paresicuro di vincere, tanto che per sostenere Todde nel rush finale e festeggiare la vittoria, Elly Schlein e Giuseppe Conte si sono infilati nello stesso aereo di linea e sono volati a Cagliari. Meloni, invece, già dalla tarda mattinata ha convocato d’urgenza a Palazzo Chigi Tajani e Salvini. Aria di tempesta.

PER SPIEGARE perché Todde e i suoi alleati sono sicuri di farcela, bisogna fare la cronaca della giornata. Gli scrutatori hanno cominciato a contare le schede alle 7 del mattino, dopo che dalla domenica elettorale era emerso un primo dato, quello sulla percentuale dei votanti, che ha registrato un 1,5% in meno rispetto alle regionali del 2019: il 52,4%, contro il 53,09% del 2019. Da subito si è capito che il sistema di rilevamento e di diffusione dei dati sarebbe stato lentissimo. Niente cifre dal Viminale, perché il data base del ministero, abbastanza sorprendentemente in concomitanza con una scadenza elettorale, era

IRAN. Un anno fa la morte in custodia della polizia di Mahsa Amini: indossava male il velo. Il 16 settembre 2022 nasceva il primo movimento guidato da donne in un paese islamico. Il regime si prepara ll’anniversario con arresti, minacce, droni e migliaia di milizie

L’immagine di Mahsa Amini a una manifestazione a Berlino (Ap) L’immagine di Mahsa Amini a una manifestazione a Berlino - Ap

Centinaia di arresti preventivi, licenziamento dei docenti universitari e degli insegnanti più critici, minacce alle famiglie delle vittime, obbligo per gli attivisti di prendere l’impegno, per iscritto, di non partecipare alle eventuali manifestazioni: così la Repubblica Islamica si è preparata ad affrontare l’anniversario della morte di Mahsa Amini. Come se non bastasse, sono state installate telecamere 3d con software sofisticati per il riconoscimento facciale in ogni angolo della città, e addestrate milizie, che saranno assistite dai droni, per soffocare eventuali disordini sul nascere.

UN ANNO FA si diffondeva la notizia della morte di Mahsa Amini, ventiduenne, fermata pochi giorni prima dalla polizia morale a Teheran perché indossava in maniera non corretta il velo obbligatorio. La notizia viene divulgata da una giovane giornalista, Niloofar Hamedi, e il funerale viene raccontato da un’altra collega, Elaheh Mohammadi. Entrambe vengono arrestate e rimangono tuttora in carcere.

La straziante morte di Mahsa enfatizza la discriminazione, la libertà negata e la

ELEZIONI SPAGNA. Tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo è giusto e naturale. Per alcune ragioni che ci vengono nettamente indicate dall’esito delle elezioni politiche spagnole del 23 luglio

L’onda nera non è finita, ma il caso italiano resta isolato

Tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo è giusto e naturale. Per alcune ragioni che ci vengono nettamente indicate dall’esito delle elezioni politiche spagnole del 23 luglio. La prima è che esiste ancora una maggioranza di cittadini europei che temono i fascismi e dunque coloro che, nel tempo presente, ne reinterpretano e modernizzano le eredità. La seconda è che il “modello italiano”, per quanto i neofascismi siano stati sdoganati quasi ovunque (tranne in Germania dove, pur traballando, sopravvive l’”arco costituzionale” che esclude Afd) non è così facilmente esportabile in altri contesti dove le sensibilità politiche sono meno ottuse che da noi e meno forti le tradizioni corporative. Il caso italiano, nel bene e nel male, è destinato a rimanere un “caso”.

La terza ragione è che il progetto di

DANNI COLLATERALI . Ricontati gli evacuati: sono 26mila

L’Emilia resta in allerta rossa, sul fondo aiuti resta la nebbia Castel Bolognese - LaPresse

Anche oggi è allerta rossa sull’Emilia Romagna. L’emergenza è ancora in pieno svolgimento e ancora non se ne vede la fine, mentre la Regione fornisce nuovi numeri a dare l’idea delle dimensioni della catastrofe: le persone evacuate sono 26.215 (dato aggiornato dopo che giovedì, per un errore tecnico, ne erano state indicate 20.000), le strade comunali e provinciali chiuse sono 781 e il numero delle frane sul territorio sono 422.

Da segnalare anche l’ingente quantità di volontari all’opera: 21.800 persone impegnate nelle più svariate attività, non solo lo spalamento del fango, ma anche l’assistenza alle persone rimaste isolate.

Intanto, da Trento, dove è intervenuta al Festival dell’Economia, la premier Meloni ieri è tornata a parlare degli interventi che il governo vuole mettere in atto e, soprattutto, del loro finanziamento. «È stata preziosa la visita della presidente Von der Leyen ieri, noi attiveremo il fondo di solidarietà, ma ci sono varie questioni sulle quali la Commissione può darci una mano, anche con il Pnrr», ha spiegato la premier aggiungendo che «il Pnrr è un fondo molto strategico da questo punto di vista. L’imprevisto, oggi, è la previsione più accurata che possiamo fare: sono partita per il Giappone nominando un commissario alla siccità e sono tornata con la necessità di nominare un commissario all’alluvione», ha detto ancora.

Per la verità, la visita di von der Leyen alle zone alluvionate ha lasciato solo un generico impegno da parte

Elezioni in Turchia, i risultati del primo turno: Erdogan fermo al 49,4% dei voti, Kilicdaroglu al 44,9%

Il presidente in carica rivendica di essere in testa e, dunque, di uscire vincitore il 28 maggio dal secondo turno. Per parte sua, invece, Kemal Kilicdaroglu è convinto che al ballottaggio prevarrà sul Sultano. A spoglio quasi ultimato, dopo lo scrutinio del 99,37% delle schede, il presidente del Consiglio elettorale turco Ahmet Yener ha dichiarato che Recep Tayyip Erdogan ha ottenuto il 49,4% nelle elezioni di ieri in Turchia, secondo i dati forniti come riporta la tv di Stato Trt, facendo sapere che il principale candidato dei partiti di opposizione Kilicdaroglu ha ottenuto il 44,96% delle preferenze, Sinan Ogan il 5,2% e Muharrem Ince lo 0,44% dei consensi. Intanto, all’indomani del voto, la Borsa di Istanbul ha aperto in netto calo, con l’indice Bist che cede il 6,6% a 4.502 punti.

È la prima volta in vent’anni, da quando è al potere in Turchia, che il capo dello Stato è costretto a un ballottaggio, previsto per il 28 maggio contro