Atto d'imperio. Se si voleva davvero salvaguardare in questo momento oscuro per la pace l’unica mediazione sul campo, quella degli accordi di Minsk che difendono giustamente l’integrità territoriale dell’Ucraina, ecco che la decisione di riconoscere le indipendenze di Lugansk e Donetsk azzera ogni sforzo diplomatico
Il presidente russo Vladimir Putin
La scelta di riconoscere le indipendenze di Lugansk e Donesk è un atto di forza che cercherà di legittimarsi quale risposta asimmetrica alle tante scelte sbagliate delle guerre occidentali. E proprio per questo non possiamo che definire l’annuncio del presidente russo Putin come un grave errore, un’avventura foriera di nuova guerra. Perché se legittimamente si difendono le ragioni del popolo russo, non è la risposta asimmetrica all’arroganza altrui, della Nato e degli Usa, la soluzione: parliamo del 2008 quando, nonostante gli accordi di pace di Kumanovo del 1999 – dopo la guerra «umanitaria» aerea – che riconoscevano il diritto sul Kosovo di Belgrado, fu riconosciuta a tutti i costi la divisiva indipendenza del Kosovo.
Se si voleva davvero salvaguardare in questo momento oscuro per la pace l’unica mediazione sul campo, quella degli accordi di Minsk che difendono giustamente l’integrità territoriale dell’Ucraina, ecco che
Leggi tutto: La crisi ucraina sul baratro - di Tommaso Di Francesco
Sipario. Da tempo, e ormai senza il religioso consenso del popolo che gli cantava in coro "meno male che Silvio c’è", era evidente a tutti tranne che a lui che l’antica gloria non potesse risorgere sulle ali di una improbabile maggioranza dei grandi elettori.
Senza nemmeno la maschera drammatica di una Gloria Swanson sul viale del tramonto, ma piuttosto con i toni di una farsa degna dei fratelli Vanzina, Silvio Berlusconi ha gettato la spugna, rinunciando alla folle, incredibile corsa verso il Quirinale. È una liberazione, innanzitutto per il paese, che non meritava di essere intrattenuto da questa sceneggiata. E anche per il centrodestra che Berlusconi ha continuato a tenere sulla corda con sbrindellate riunioni via zoom, poco consone a una decisione così importante, come dovrebbe essere l’elezione del Presidente della Repubblica.
Da tempo, e ormai senza il religioso consenso del popolo
Leggi tutto: Dopo la farsa arriva il vero spettacolo - di Norma Rangeri
La protesta. Da Bari, durante una manifestazione di Cgil e Uil in preparazione dello sciopero generale di giovedì 16 dicembre contro la «legge di bilancio inadeguata» del governo Draghi, il segretario della Cgil Maurizio Landini ha lanciato l’appello: «Chiediamo a tutto il paese di scendere in piazza il 16 dicembre per cambiare: è il momento che il mondo del lavoro venga ascoltato per i problemi che ha e per lo sforzo che ha fatto durante la pandemia». Dal palco di Lamezia Terme (Catanzaro) il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri ha attaccato duramente il sistema dominante dei media. «Lo squadrismo non è solo quello dell'assalto alla Cgil - ha detto - Lo squadrismo è anche alcuni articoli sui giornali. Ma non ci piegano, non abbiamo paura. Ricordatelo, non ci intimorite"
Bari, il segretario della Cgil Maurizio Landini © Ansa
Dal palco di Lamezia Terme dove ieri ha manifestato on la Cgil contro la legge di bilancio del governo Draghi il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri ha dato un giudizio politico molto preciso della reazione mediatica e politica provocata dall’annuncio dello sciopero generale di giovedì 16 dicembre: «Lo squadrismo non è solo quello dell’assalto alla Cgil – ha detto – Lo squadrismo è’ anche alcuni articoli sui giornali. Ma non ci piegano, non abbiamo paura. Ricordatelo, non ci intimorite».
TRA UIL E CGIL circola una consapevolezza. E ieri è stata esplicitata. La battaglia contro questa maggioranza, e l’ideologia classista e pauperista che esprimono i suoi sostenitori a reti unificate sarà lunga, la lotta contro legge di bilancio è il primo passo di un percorso più lungo.
Leggi tutto: Sciopero generale Cgil e Uil: «Tutto il paese scenda in piazza»
Germania. La direzione del Gruppo ha prevalentemente ignorato importanti tendenze del mercato e non ha effettuato investimenti. Ora si è aperto il dibattito, cui partecipano politici e sindacati, su come salvare la casa d’auto. Anche con aiuti pubblici
Modellini giocattolo del Maggiolino Volkswagen, in basso una protesta nello stabilimento di Wolfsburg - Ap
La Volkswagen (VW) è in profonda crisi. Si annuncia la chiusura di alcuni impianti. Nel 2023, la multinazionale aveva ancora enormi riserve accumulate e registrava un utile netto di 16 miliardi. Di questi, 4,5 miliardi sono stati distribuiti nel 2024. Sebbene fattori come l’aumento dei costi dell’energia abbiano giocato un ruolo nella crisi, la direzione del Gruppo ha prevalentemente ignorato importanti tendenze del mercato e non ha effettuato investimenti che sarebbero stati importanti.
Non solo, ma soprattutto per il mercato centrale di VW, la Cina, manca nella gamma un’auto elettrica economica. Chi si lascia sfuggire tali sviluppi non deve sorprendersi se risulta poi fortemente penalizzato dal punto di vista economico. Le leggi della concorrenza sono implacabili. Alla luce della situazione attuale, tuttavia, sono le enormi distribuzioni di profitti a far scuotere la testa.
VW ha ora annunciato riduzioni dei costi e un duro programma di austerità. Per i dipendenti, in particolare, non è un buon segno il fatto che il Gruppo abbia annullato diversi accordi salariali aziendali che prevedevano, tra l’altro, la garanzia del posto di lavoro fino al 2029. La direzione vuole ora rinegoziare le retribuzioni di operai e dirigenti. L’azienda potrebbe procedere a licenziamenti per ragioni aziendali già a partire dal 2025.
Oltre ai dipendenti, tutto questo sta spingendo anche i politici e i sindacati a intervenire, con le loro idee, nel dibattito su come salvare la VW. Per il Bündnis Sahra Wagenknecht (BSW), gruppo conservatore di sinistra, scissionista del Partito della Sinistra tedesca, fondato da Sahra Wagenknecht qualche mese fa, l’intera situazione è piuttosto imbarazzante, poiché negli ultimi mesi i suoi politici si sono ripetutamente espressi a favore di un ritorno ai motori a combustione, invece di sostenere la necessaria svolta verso la mobilità elettrica. I sindacati e il consiglio di fabbrica stanno cercando di trovare soluzioni socialmente accettabili. Si discuterà anche di aiuti pubblici.
Nulla di tutto ciò è sbagliato in linea di principio. Ma il partito Die Linke, il partito socialista democratico nel sistema partitico tedesco, dovrebbe andare oltre e riconoscere, ad esempio, che un’azienda guidata dai dipendenti avrebbe gestito i profitti del passato in modo più responsabile e investito in modo più sostenibile nel proprio futuro.
Oltretutto la cogestione e le quote rilevanti di VW detenute dallo Stato federale della Bassa Sassonia conferiscono al Gruppo una posizione speciale nel panorama industriale tedesco. Ad esempio, l’elevato livello di partecipazione statale in Bassa Sassonia consente di esercitare un’influenza significativa sulla politica aziendale di VW. Qui si dovrebbero porre ulteriori questioni, ad esempio la proposta di una socializzazione di ampio respiro che andrebbe finalmente portata avanti nel dibattito con fiducia e sicurezza di sé.
Sarebbe anche opportuno per una sinistra politica collegare strettamente la crisi del VW con l’imminente transizione della mobilità sociale. Non si tratta solo di mobilità elettrica, soprattutto se deve essere sociale. Perché i problemi di mobilità sono problemi di classe. Le persone più povere nelle aree urbane e rurali dipendono da una rete di trasporti pubblici strutturata e funzionale. Nelle aree rurali è molto più difficile garantirla, a causa delle diverse densità di popolazione. Deve essere ben finanziata sia nelle aree urbane che in quelle rurali. E sono necessarie anche ricerca, sviluppo e produzione che creino la tecnologia, i veicoli e le infrastrutture che servono non solo per il trasporto privato, ma anche per il trasporto pubblico.
In definitiva la crisi del Gruppo potrebbe essere una leva per portare avanti un “cambio di corsia” socio-ecologico. Per raggiungere questo obiettivo, VW dovrebbe essere ritenuta responsabile e i politici dovrebbero creare le condizioni quadro necessarie per il cambiamento.
*L’autore è consulente per la formazione politica presso la Rosa-Luxemburg-Stiftung di Berlino. Ha gentilmente accettato di scrivere una versione per i lettori italiani del suo articolo pubblicato dal quotidiano della sinistra tedesca Nd
Nella foto: La reazione degli agenti di sicurezza subito dopo gli spari che hanno colpito Donald Trump durante un comizio a Butler, in Pennsylvania (Gene J. Puskar/AP Photo) I proiettili sparati in Pennsylvania contro Trump hanno riaperto la pratica sanguinosa di una storia che ha visto attentati a 11 dei 46 presidenti del paese. Si è chiusa così una settimana che ha visto gli occhi del mondo puntati sugli Stati Uniti: a Washington si è infatti tenuto il summit per i 75 anni della Nato, terminato in un documento finale che parla quasi unicamente di riarmo. Intanto a Gaza si continua a morire. Per iscriverti gratuitamente a tutte le newsletter del manifesto vai sul tuo profilo e gestisci le iscrizioni.
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