UNA LETTERA APERTA A GIOVANNI MALPEZZI, SINDACO DI FAENZA, IN MERITO ALLA SUA DICHIARAZIONE DOPO LA MORTE DI GIOVANNI NADIANI
Caro Sindaco, adesso che abbiamo accompagnato il nostro Giovanni Nadiani nel suo ultimo viaggio, vorrei rispondere alla tua dichiarazione per la scomparsa del nostro amico poeta.
Perdona se non mi viene la mia abituale ironia. Non ti nascondo infatti la mia rabbia e il mio fastidio a leggere quelle parole, le stesse che avete usato (parlo di voi istituzioni) due anni fa alla morte di Guido Leotta.
Allora se ne era andato "una colonna della cultura faentina", adesso invece è la volta dell'intellettuale eclettico "che ha lasciato un segno profondo".
Belle parole, ah sì sì, peccato che nessuno di loro le possa più sentire. Basta, per favore.
Scriveva Nadiani alla scomparsa di Leotta: "Sognavamo una Casa della Letteratura in cui far convergere tutte le iniziative attorno a quest'arte sempre più bistrattata. E in trent'anni, dopo centinaia di libri pubblicati, le recensioni nei maggiori organi di stampa, dopo il Premio della Traduzione del Ministero della Cultura, i premi e i riconoscimenti di tanti enti internazionali come l'Unesco, ebbene sì in trent'anni il Comune di Faenza nel suo provincialismo non è stato in grado di trovare neppure un sottoscala, nonostante le reiterate promesse di sindaci e assessori".
Altri intellettuali, altri studiosi, altri artisti se ne andranno, d'altronde siamo una razza di morti.Volete aspettare che siano tornati a essere polvere per accorgervi di loro e riconoscere il loro lavoro?
Cosa ne è dell'arte e della cultura a Faenza? Stiamo diventando una città fighettina, modaiola, distratta, sorda, superficiale, smemorata. Volete passare alla storia per questo?
Leggi tutto: Cosa ne è dell'arte e della cultura a Faenza? Una domanda su cui aprire una riflessione
Commenta (0 Commenti)Libia. Per quanto ci riguarda la posizione per noi è chiara ed è quella espressa dalla Rete Disarmo: no ad interventi militari e no alla concessione delle basi militari italiane per i raid
Ieri la ministra della difesa Roberta Pinotti – a un question time chiesto dal Pd – ha annunciato che l’Italia «è pronta a concedere l’uso delle basi e dello spazio aereo nazionale» per gli aerei americani o della coalizione anti-Isis chiamati a intervenire dal governo libico contro l’Isis. Gli americani hanno già iniziato a bombardare Sirte da due giorni e forse stanno già utilizzando le nostre basi.
Nell’intervento la ministra -per l’utilizzo delle basi- non ha fatto riferimento al bisogno di autorizzazione parlamentare poiché la risoluzione 2259 dell’Onu già concernerebbe questa possibilità. Senonché, ora siamo a un punto di pericolosa accelerazione con davanti a noi 30 giorni (e forse più) di bombardamenti americani e l’utilizzo delle nostre basi. Non ce la si può cavare con un question time e una comunicazione della ministra alle commissioni esteri e difesa che ci sarà oggi. Il parlamento italiano ha il dovere di riunirsi anche nei prossimi giorni e votare sull’impegno del nostro paese in questa vicenda.
Siamo ad un punto di passaggio pericoloso. L’avvio dei raid americani può avere effetti disastrosi, accendendo la miccia di una escalation di cui è difficile prevedere l’esito. E c’è una questione più concreta e drammaticamente importante: quei raid (e sappiamo quanti morti innocenti hanno fatto i droni americani in Afganistan e in Iraq) mettono a repentaglio la vita di 7mila civili tenuti in ostaggio in una zona di Sirte da un migliaio di combattenti dell’Isis. I precedenti dovrebbero invitare alla massima cautela. Non è la prima volta che in Libia si gioca una partita geopolitica assai complicata, con la Francia coinvolta in una guerra a sostegno di Khalifa Haftar che agisce in proprio, fuori dal controllo del governo centrale di Al-Sarraj. E proprio la risoluzione 2259 chiede ai paesi di evitare «il sostegno a istituzioni parallele».
Proprio quello che sta facendo la Francia con le milizie di Haftar: un elicottero francese pochi giorni fa è stato abbattuto (con tre soldati francesi morti) durante una di queste azioni «parallele». La partita geopolitica ha per oggetto il controllo di risorse ed aree di interesse: per la Francia l’obiettivo principale è la Cirenaica con i suoi pozzi petroliferi. L’Italia non ne sta uscendo bene. Un anno fa la ministra Pinotti ha ventilato l’ipotesi di mandare 5mila soldati in Libia, salvo fare marcia indietro qualche giorno dopo l’altolà di Renzi e della comunità internazionale.
Ora ci apprestiamo a dare le basi di Sigonella e Aviano per i raid senza aver valutato le conseguenze non solo per la Libia, ma anche per il nostro paese. Abbiamo lasciato campo libero a Francia e Usa che ci stanno portando su una china non proprio rassicurante. Più che una missione è un’omissione: il Parlamento viene tenuto all’oscuro. Domani dovrebbe chiudere i battenti, ma vanno riaperti subito per discutere di una avventura da valutare con la necessaria documentazione e con la massima trasparenza nei confronti dell’opinione pubblica e dei cittadini.
Per quanto ci riguarda la posizione per noi è chiara ed è quella espressa dalla Rete Disarmo: no ad interventi militari e no alla concessione delle basi militari italiane per i raid. Va bloccato il traffico delle armi verso quell’area e va rilanciata l’idea della convocazione di una nuova conferenza internazionale di pace, capace di un negoziato vero con gli attori locali, al riparo degli interessi e dell’offensiva geopolitica dei paesi occidentali, della Russia e delle altre potenze regionali. Questo è quello che vorremmo dire in parlamento, che chiediamo di riunire al più presto. Perché se c’è la guerra, le istituzioni repubblicane non possono andare in ferie.
Commenta (0 Commenti)Ho letto con stupore la lettera promossa da Daniele Manca, sindaco di Imola, presidente dell’ANCI dell’Emilia Romagna, la nostra Regione.
Titolo della lettera: “I sindaci in prima linea per un’Italia più moderna”. Se non ho letto male, ci sono tutti i sindaci capoluogo, tranne Parma e - se non sbagliamo – tutte/i i sindaci della Romagna.
Chi ha consuetudine con la dimensione storica del mondo – le/i sindaci, nessuno escluso, dovrebbero averla - sa che l’espressione “moderno” accompagna il presente che, come spesso accade, non è di per sé espressione di “progressivo” o “migliorativo”.
Per moltissime/i italiani, cittadine/i comuni, costituzionalisti, politologi, opinionisti, la cosiddetta “riforma” costituzionale sulla quale ci esprimeremo in autunno, non è affatto progressiva. Anzi, è pericolosa.
Nodo sul quale la discussione è in corso.
Quindi, vi chiedo.
Care/i sindaci, a nome di chi parlate? Dite che vi collocate in prima linea. A parte il linguaggio, che evoca “battaglie”, vorrei capire il vostro pensiero.
Parlate a titolo personale? In tal caso, questo presentarvi quasi come “categoria” - i sindaci dell’Emilia Romagna – è perlomeno improprio.
Parlate in quanto rappresentanti delle cittadine e dei cittadini dei vostri territori? Ma nei vostri territori, come in tutti, esiste una ampia pluralità di opinioni, come anche le recenti elezioni amministrative hanno dimostrato. Per non parlare di chi ha abbandonato le urne. Abbandono che dovrebbe essere in cima alle vostre preoccupazioni.
Oppure, vi sentite rappresentanti, nei vostri territori, del governo, che ha impropriamente “scritto” questa “riforma”, facendo del Parlamento poco più che una cassa di risonanza?
Se è così, va ancora meno bene. Soprattutto non va bene che vi rivolgiate a noi – forse avete pensato che non siete, ancora, di nomina governativa – dicendo che così rinsalderete il rapporto con noi, quando, finalmente - dite - sarete alleggeriti dalla burocrazia che l’attuale Costituzione vi impone.
Con questa “riforma” l’Italia sarà più bella, più forte, più moderna? E’ un’altra – stupefacente per me – vostra asserzione. E’ la Costituzione che ha reso l’Italia meno bella, o il non rispetto dell’art.9, a proposito di paesaggio, ambiente, beni storici e artistici, spesso imbruttiti o trascurati dalle “vostre” scelte amministrative?
Più forte? A cosa vi riferite? All’economia? Quali sarebbero i nessi fra mondializzazione, finanza “criminale”, clientele, corruzione, evasione fiscale - per tenere connessi mondo e Italia - e Costituzione?
Se non per il NON AVERLA APPLICATA O RISPETTATA?
Più moderna? L’Italia che abbiamo è in realtà moderna, di una modernità che non ci piace. Ma non è chiaro quale sarebbe la modernità che vi piace.
Diteci - ancora - quali sono i lacci burocratici che, anche nella nostra Regione, hanno creato disaffezione al voto o sostegno a liste molto lontane da quelle che a suo tempo vi hanno consentito di diventare nostri rappresentanti. Lo sapete che la “riforma” vi toglie - ai sindaci, alle Regioni - ruolo e poteri?
Questa - dite - è una riforma ARCHITRAVE. Qui vi capisco di più.
Infatti, se questa “riforma” sarà confermata dal referendum, avremo sicuramente l’ARCHITRAVE di una Repubblica dove i principi di uguaglianza, rappresentanza, decentramento, equilibrio fra poteri - che alle madri e padri Costituenti di settanta anni fa sembravano fondamenta irrinunciabili - risulteranno deboli e tali da sorreggere con fatica l’architrave. E la Repubblica sarà un edificio democratico fragile.
Di questi probabili effetti negativi i nostri Comitati, che da mesi stanno lavorando per informare una opinione pubblica che - mi pare - non molto capirà dalla vostra lettera, hanno forte convinzione.
Ma guardiamo con rispetto anche alla opinione che con la lettera avete espresso, e la prendiamo sul serio.
Vi proponiamo quindi – ci rivolgiamo alle sindache e ai sindaci della Romagna - di partecipare ad incontri pubblici con noi, per potere confrontare e approfondire le nostre diverse ragioni.
Aspettiamo di ricevere la vostra disponibilità - la nostra disponibilità c’è - al seguente indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Maria Paola Patuelli
Portavoce Comitati per il NO della provincia di Ravenna
18 luglio 2016
Segue il testo della lettera e l’elenco dei sindaci che l’hanno sottoscritta
Con questo intervento "a caldo" di Jacopo Lorenzini ci auguriamo che si apra un dibattito sugli scenari che si prospettano dopo il risultato elettorale del primo turno delle amministrative. Gli equilibri politici appaiono fragili e precari e le scadenze sono segnate dall'ormai prossimo referendum costituzionale: un momento di riflessione nell'area della sinistra non sarebbe fuori luogo!!
Chi ha vinto, chi ha perso, chi vincerà e perderà, e l'unica cosa davvero importante.
di Jacopo Lorenzini
Per sapere chi ha vinto queste elezioni amministrative, com'era ampiamente prevedibile, bisognerà aspettare altre due settimane – e toccherà sorbirci altri quattordici giorni di campagne elettorali che fin qui sono state di un grottesco imbarazzante. Ma quello che possiamo sapere già adesso, è chi le ha perse.
Il problema è che viviamo una realtà virtuale, nella quale i dati non sono dati – o meglio nella quale, a quanto pare, i dati possono essere messi in discussione sulla base di considerazioni soggettive e per lo più arbitrarie.
E dunque il Movimento 5Stelle che a parte Roma e Torino non conquista non dico un capoluogo, ma nemmeno un ballottaggio, è il nuovo che avanza o che addirittura «sfonda» (Repubblica.it) o consegue un risultato «storico» (Grillo). Per carità, Roma e Torino sono due città importanti, importantissime, e il Movimento ha buone probabilità di portarle a casa tra due settimane se non combina vaccate. Ma, così, per dire, la destra, pur divisa quasi ovunque, va al ballottaggio in tutti gli altri capoluoghi e ne conquista uno già al primo turno. In città come Bologna o Ravenna i grillini prendono sonore tramvate dai candidati leghisti e non si avvicinano nemmeno al 20%. Come a Faenza un anno fa, del resto, e come in tutte le altre città capoluogo a parte Savona – dove il Movimento prende il 25%, ma al ballottaggio ci va comunque la Lega col 26.
Chi è che sfonda quindi, come avversario principe del partitone renziano sul territorio: il Movimento o Lega ed ex-PDL, pur divisi e litiganti? Più i secondi che il primo, e personalmente ci aggiungo un purtroppo. La verità è che il Movimento 5Stelle ha qualche speranza di fare risultato solo dove i due avversari principali (PD e destre assortite) si suicidano combinando dei disastri epocali – il golpe contro Marino a Roma o la candidatura di due carneadi senza un briciolo di carisma a valle dell'ingloriosa fine di Cota a Torino, per esempio. La verità è che il massimo risultato che i grillini potranno ottenere alla fine di questa tornata elettorale è di 2 città capoluogo su 25, mentre la destre ne hanno già ottenuta una e potrebbe potenzialmente conquistarne altre 19. Ed è una verità amara della quale i grillini farebbero bene a comprendere le cause, invece di festeggiare (anzitempo, tra l'altro) la Raggi e la Appendino.
Ma per quanto sia vero che il partito di governo paga sempre dazio alle amministrative, il PD potrebbe essere il vero sconfitto di queste elezioni. Come le destre, può ancora conquistare praticamente l'intera posta in gioco, tra l'altro col vantaggio di avere già in saccoccia tre capoluoghi invece che uno. Ma, a parte il fatto che arrivava da un solido risultato di 21 a 4, la mattina del 20 giugno potrebbe anche svegliarsi in un incubo, mentre fino a pochi anni fa alcune regioni (tra le quali la nostra) garantivano la certezza di arrivare al secondo turno con metà della fatta. La verità è che, come diceva Giovanni Lindo, non c'è più nessuna garanzia per nessuno. Peccato per gli amministratori locali del PD, che su quella garanzia hanno giocato una carriera, e a volte un'intera esistenza, e che oggi sembrano in preda al panico o beatamente inconsapevoli, in ogni caso totalmente incapaci di reagire ad una realtà che è cambiata, e radicalmente. Tra l'altro, se invece il 20 si dovessero svegliare salvi per il rotto della cuffia, come a Faenza un anno fa, con ogni probabilità festeggeranno come i grillini (nel caso) senza interrogarsi sul perché avranno rischiato di perdere contro dei personaggi che cinque anni fa sarebbero stati considerati impresentabili folcloristici da 5% di risultato massimo. Auguri a loro, dunque, ché ne hanno bisogno.
E Renzi?
Renzi, malgrado quello che già dicono un po' tutti da Grillo e Salvini in giù, non ha perso queste elezioni e non le perderà nemmeno in caso di disastro PD il 19 giugno. Non le perderà semplicemente perché delle elezioni locali (come del PD) gliene frega meno di zero: il suo unico obiettivo è il referendum di ottobre, come ampiamente dimostrato dall'(apparentemente) incredibile scelta di parlare solo di quello per tutto l'ultimo mese, lasciando più o meno a sé stessi (e alla loro generale pochezza) i candidati PD sul territorio. Perché la questione è che Renzi sta giocando un'altra partita, che si svolge esclusivamente sul piano nazionale e ha il suo cuore nel referendum di ottobre. Renzi sa benissimo che al netto di tutta la retorica sul sindaco d'Italia, un sindaco ostile si commissaria, si fa dimettere, o si caccia senza tanti complimenti, alla Marino. L'unica cosa che interessa a Renzi è che passi quella sciagurata modifica costituzionale che abbinata all'Italicum permette ad un solo partito di vincere le elezioni col 30% dei voti (o meno) e di governare indisturbato e senza alcun tipo di freno: a quel punto, a chi importerebbe di avere un sindaco in più o in meno? Di più: a cosa servirebbero sindaci, presidenti di regione, e qualsiasi altro organo intermedio dello stato (partiti compresi) se non a ratificare ed eseguire gli ordini di un governo onnipotente? Renzi questo lo sa, e se ci pensate bene lo sapete anche voi.
Il bello, si fa per dire, è che il rischio indissolubilmente legato a questa operazione è che, alla fine, le eventuali elezioni con la nuova legge e la nuova costituzione le vinca qualcun altro. Qualcuno come Salvini
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Commenta (0 Commenti)2 giugno. I pacifisti scrivono, Mattarella tace
Celebrare con la sfilata delle Forze Armate la Festa della Repubblica sta diventando sempre di più un esercizio retorico e anche un po’ tronfio. Il 2 giugno è una ricorrenza civile, non una festa militare. Le Forze Armate hanno già la loro «giornata» (il 4 novembre) e la Costituzione della nostra Repubblica recita all’articolo 11: «L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle crisi internazionali».
Festeggiare la Repubblica all’insegna dell’esibizione militarista non è mai un bel segno: lo fanno di solito – per la loro festa nazionale – i Paesi con un forte imprinting nazionalista e soprattutto i regimi autoritari. Quest’anno, per cercare di prevenire le critiche, alla parata del 2 giugno verranno fatti sfilare qualche decina di sindaci con la fascia tricolore.
Una sorta di gadget civile prima di vedere sfilare mezzi militari e battaglioni armati. Forse i sindaci avrebbero fatto meglio a rimanere nei loro municipi, aprendo le porte i cittadini e regalando loro una copia della Costituzione, che continua a rimanere la carta d’identità della nostra comunità. Meno male che ci hanno risparmiato i marò (come sembrava invece fino a qualche giorno fa): sarebbe stata una strumentalizzazione inaccettabile.
Dal 2010 ad oggi abbiamo buttato al vento più di
Leggi tutto: Fasce e frecce tricolori - di Giulio Marcon da il manifesto 2.6.16
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Abbiamo appreso, pur senza la benché minima discussione in Consiglio Comunale, che la Giunta di Faenza ha promosso, già dall'autunno scorso, “un percorso per revisionare, aggiornare e attualizzare i contenuti della Conferenza Economica Comprensoriale tenutasi nel lontano 2009”.
Dopo diversi annunci, dopo la costituzione di quattro gruppi di lavoro (ristretti alle sole Associazioni economiche) che si sono riuniti da febbraio ad aprile, dopo l'indicazione di svolgere la Conferenza nella seconda quindicina di maggio (più precisamente il 20), il 13 maggio scorso si sarebbe indicata una nuova data per lo svolgimento della Conferenza attorno al 15 giugno.
Che problemi sono sorti? Ma soprattutto, a cosa deve servire questa Conferenza?
E perché prepararla con un percorso che ha escluso completamente il Consiglio Comunale - non solo le forze di opposizione, ma anche quelle di maggioranza (così almeno ci risulta) – le istanze della società civile, dell'associazionismo e gli stessi Comuni dell'Unione, cosa piuttosto strana per una Conferenza che vorrebbe essere comprensoriale?
Ben altro coinvolgimento e metodi furono usati per preparare la Conferenza del 2009.
Abbiamo l'impressione che si tratti semplicemente di un’operazione di immagine, volendo imitare lo stesso stile di Renzi e del suo Governo: un uomo solo al comando, che non si confronta con nessuno e che lancia qualche slogan e annunci che vorrebbero essere rassicuranti. Non funziona a livello nazionale, tanto meno può funzionare in periferia.
Abbiamo potuto visionare il documento preparatorio e da questo prendere spunto per fornire alcuni argomenti di discussione e farli conoscere alla collettività, dato che la questione economica deve essere prioritaria per la nostra città, attanagliata com’è da una crisi che vede erodere sempre più posti di lavoro.
E' piuttosto inquietante che il documento preparatorio si apra dichiarando una “concezione di città come organizzazione imprenditoriale il cui output è la creazione d'impresa” e poi ricicli l'ormai trito concetto di marketing territoriale.
Una città “desiderabile” non dovrebbe essere organizzata come un’impresa, ma piuttosto come un luogo accogliente socialmente, con al primo posto i beni comuni, la socialità, l'equità. Un luogo, quindi, dove le attività produttive, commerciali, dei servizi, le imprese e lo stesso lavoro - che deve essere il più possibile garantito per tutti - sono un mezzo e non un fine.
Il problema è che questa Amministrazione (in carica ormai da oltre sei anni) non ha un progetto, un’idea di città sostenibile, da proporre alle forze sociali ed economiche del territorio. La “vision” di lungo termine comporta la definizione di un obiettivo di outcome, (era più semplice dire risultato) di trasformazione della realtà socio-economica del territorio faentino, traguardata al 2020 - citata nel testo - pare semplicemente accompagnare le tendenze di mercato, ed in particolare le richieste che possono venire da alcuni poteri forti. Il 2020 è dietro l’angolo, sappiamo come azioni di questo tipo abbiano bisogno di tempo per vedere realizzati i propri obiettivi: il tempo per mettere in campo azioni di marketing territoriale e per lo sviluppo del territorio c’era.
L'Altra Faenza chiede formalmente che si apra una discussione pubblica e vengano coinvolti anche i Consigli Comunali dell'Unione, per affrontare una situazione economica e occupazionale – e i suoi effetti sociali - particolarmente pesante nei nostri territori.
Sappiamo bene che gli strumenti e i poteri degli Enti Locali per promuovere uno sviluppo equilibrato del territorio sono limitati, ma qualche scelta importante può essere indicata.
Giusto per non essere facilmente etichettati dalla solita litania di “opposizione che sa dire solo no”, oppure “che sa criticare senza proporre mai nulla”, mettiamo sul tavolo alcune proposte, riservandoci di argomentarle se ci sarà data la possibilità di farlo:
Fin dalla campagna elettorale della primavera 2016 abbiamo sollecitato l’attivazione di un Osservatorio in grado di monitorare gli effetti della crisi (aziende chiuse e in difficoltà, posti di lavoro persi, lavoratrici e lavoratori disoccupati e in Cassa integrazione, nuove aree di povertà, ecc.); se non si conosce la realtà è difficile destinare le poche risorse possibili a favore di chi più ha bisogno;
Nei mesi scorsi, proprio in considerazione della gravità della situazione, abbiamo pubblicamente proposto che “tutta la città si unisca nel fronteggiare la crisi”; lo abbiamo fatto perché riteniamo utili il confronto, il dialogo, la collaborazione.
E’ necessario individuare i settori sui quali puntare nel nostro territorio, evitando espressioni generiche quali quelle contenute nel documento della Giunta; è necessario elaborare un vero e proprio piano strategico territoriale e promuoverlo con un tangibile processo partecipativo allargato;
Si deve dare corso al Piano di Azione per l'Energia Sostenibile – il PAES (approvato più di un anno fa e non ancora partito) - e iniziare a tradurre in fatti concreti i principi sull'”economia circolare” contenuti nella recente Legge Regionale, particolarmente di attualità vista la “crisi dei rifiuti” che coinvolge tutti.
Lo ripetiamo: L'Altra Faenza chiede di poter esprimere il proprio contributo, al pari di altre realtà attive nel territorio: forze politiche, associazioni, volontariato, movimenti. Su temi quali quelli che la Conferenza economica dovrebbe essere chiamata ad affrontare - così da poter fornire una lettura puntuale e articolata della situazione e le conseguenti indicazioni e scelte di prospettiva - procedere escludendo espressioni della società in grado di fornire un apporto positivo costituirebbe una scelta miope e di basso profilo.
Faenza, 25 maggio 2016
L'Altra Faenza