In serata lo sbarco dei profughi che erano ancora a bordo dell'Humanitas 1 e della GeoBarents. Soddisfazione della Cgil, ma non viene meno l'indignazione contro le scelte del governo
Tutti a terra. Dopo giorni e ore di inutili sofferenze psicologiche su corpi e volti già stravolti dalla vita, questa linea del governo, senza senso e senza umanità, è stata cancellata dall'esito del sopralluogo della commissione medica che ha scritto la parola fine in fondo a questo scempio. Tutti a terra, la vita di questi migranti finiti, sfortuna nella sfortuna, nelle maglie della speculazione politica della sgangherata compagine post fascista a guida Meloni, riparte dall'ultima linea di confine tra umanità e disumanità che si era spostata temporaneamente a Catania.
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MEDITERRANEO. Humanity 1 e Geo Barents hanno potuto raggiungere le banchine del molo di Catania. Scendono i «vulnerabili», gli altri rimangono a bordo: 35 sulla prima e 214 sulla seconda. Il capitano della Humanity 1 riceve l'ordine di tornare in acque internazionali, ma si rifiuta: «Sarebbe illegale». Dalla nave di Msf comunicano: «Faremo lo stesso». Oggi il decreto interministeriale (Interni-Infrastrutture-Difesa) sarà impugnato al Tar
Alcune delle persone scese dalla Geo Barents ieri sera - Giansandro Merli
È intorno al porto di Catania che si gioca il braccio di ferro tra il governo Meloni e la vita di 1.080 naufraghi salvati da quattro navi Ong. Al «molo di levante» è attraccata la Humanity 1. A quello «sporgente centrale» la Geo Barents, di Medici senza frontiere. A poche miglia dalle coste del capoluogo siciliano ci sono la Rise Above, entrata venerdì nelle acque territoriali italiane, e la Ocean Viking, che si trova
Commenta (0 Commenti)Cgil contro la decisione del Viminale: "Ciò che sta accadendo a Catania non è degno di un Paese civile. Chiediamo che tutte le persone ancora a bordo vengano fatte sbarcare". La ong fa ricorso
"Ciò che sta accadendo a Catania non è degno di un Paese civile. Chiediamo che tutte le persone ancora a bordo della Humanity vengano fatte sbarcare immediatamente, come gli oltre cinquecento della Geo Barents per i quali si stanno eseguendo le visite sanitarie”. Lo affermano, in una nota, la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti e il segretario generale Cgil Sicilia Alfio Mannino. Per i due dirigenti sindacale “selezionare arbitrariamente i naufraghi è fuori legge e contro ogni umanità. Il governo non può respingere in acque internazionali chi ritiene non abbia diritto al soccorso. Ciò che sta accadendo è vergognoso e inaccettabile”.
“Si aprano subito i porti e si alzi forte la voce dell’Europa dei popoli e del rispetto della umanità. La Cgil di Catania è già impegnata a dare l’aiuto necessario e a rivendicare soluzioni immediate. Valuteremo - concludono Scacchetti e Mannino - tutte le azioni necessarie per garantire rispetto e dignità a queste persone e a tutti i naufraghi in attesa di un porto sicuro”.
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Oltre 600 organizzazioni della società civile si sono date appuntamento a Roma, per gridare tutte insieme la voglia di pace contro la sordità della guerra. Landini, Cgil: non ci fermeremo
La richiesta che ha colorato di arcobaleno le vie della capitale è semplice è contemporaneamente complicatissima: tacciano le armi, prenda parola la diplomazia. “l’Italia, l’Unione europea, le Nazioni unite devono assumersi la responsabilità di un negoziato per fermare l’escalation e raggiungere l’immediato cessate il fuoco”.
“La pace è di tutti e ha bisogno di tutti”: è l’esortazione forte inviata dal cardinale Matteo Zuppi ai fratelli in marcia: “Chiediamo al segretario generale delle Nazioni unite di convocare urgentemente una Conferenza internazionale per la pace, per ristabilire il rispetto del diritto internazionale, per garantire la sicurezza reciproca e impegnare tutti gli Stati a eliminare le armi nucleari, ridurre la spesa militare in favore di investimenti che combattano le povertà. E chiediamo all’Italia di ratificare il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari non solo per impedire la logica del riarmo, ma perché siamo consapevoli che l’umanità può essere distrutta”.
Dall’Arci all’Anpi, dall’Agesci alla Rete dei numeri pari, da Pax Cristi, ai beati costruttori fino a Cgil, Cisl e Uil e moltissimi altri hanno gridato l’ineluttabilità della pace altrimenti il rischio sarà la scomparsa dell’umanità. Mai il rischio nucleare è stato tanto reale e presente, e quel rischio
La guerra d’aggressione di Putin all’Ucraina vive uno stato di pericoloso «stallo», in attesa di nuovo spargimento di sangue, di fronte alla drammatica realtà che mostra l’irresolutezza delle armi, quelle usate per aggredire in modo criminale un paese sovrano e quelle usate per la legittima difesa che ormai sono diventate di offesa – e sono tante, Amnesty International ha denunciato che anche la loro dislocazione improvvida mette a rischio i civili. È proprio in questo momento di vuoto che annuncia tempesta che vuole inserirsi, dal basso, il movimento per la pace che oggi scende in piazza a Roma chiamato ad essere protagonista da “Europe for peace”. Per una manifestazione che, ci auguriamo, sia piena di giovani, forte, variegata, unitaria contro la guerra. Senza bandiere di partito, sperando che a sinistra i partiti si occupino di pace non strumentalmente.
E che sventolerà le bandiere arcobaleno per un «raduno» che è una pratica della democrazia, così fragile in questo momento, rispondendo così all’arroganza di Giorgia Meloni che, dimenticando la stessa parola pace, sfotte arrogante: «Non è sventolando le bandiere arcobaleno che si fa la pace». No, è vero il contrario. Dopo più di nove mesi di guerra, di stragi contro la popolazione ucraina, di repressione delle proteste dei giovani russi, di una escalation che ripropone – addio deterrenza -l’uso dell’arma atomica.
Perché, nel deficit irresponsabile e criminale dell’azione diplomatica, c’è bisogno proprio di un attore nuovo, disperato ma rinvigorito, il pacifismo, capace di produrre immaginario futuro perché ha una storia da non dimenticare, in Italia e nel mondo Un movimento che non è stato a guardare, con proteste nazionali e in ogni città subito dopo il 24 febbraio, carovane umanitarie a Kiev e sostegno a tutti i disertori. Un movimento che dal basso chiede finalmente che l’«inutile strage» finisca, un negoziato e una Conferenza internazionale sul modello di Helsinki .
Coinvolgendo attori internazionali – l’Onu che sembra fuorigioco e cancellato da troppe sconfitte, insieme a Paesi come Francia e Cina che vedono nella continuazione di questo conflitto il disastro della loro stessa strategia politica; e protagonisti sociali – i sindacati e la società civile, tutti consapevoli dei costi spaventosi che l’«economia di guerra» arreca alle classi subalterne.
A chi serve che resti accesa una crisi bellica, un Afghanistan, nel cuore d’Europa? Nessuno vincerà questa guerra, ma tutti la perderanno. A chi serve che non esista l’Unione europea? A troppi: al neo-zar Putin, al pesante latrare della Nato e ai nuovi sovranismi nazionalisti, all’arrembaggio da est e da ovest .
Serve ora un movimento che chieda dunque un cessate il fuoco e un tavolo negoziale. Se lo si è fatto per il grano perché, magari per gradi come accaduto per altre guerre, non è possibile avviare una iniziativa di mediazione per una tregua delle armi e sullo status di Donbass e Crimea? Subito. Perché ora la parola è solo alle armi. E se non c’è diplomazia serviranno altre armi, che occupano lo spazio abbandonato dell’iniziativa di mediazione e di pace.
Sveliamo dunque il mondo in cui viviamo. Che crede di essere in pace mentre, al contrario vive «di» e «sulla» guerra, mentre nuovi e vecchi imperialismi e i mercanti di armi la fanno sempre da padrone, non solo in Ucraina ma in tutto il mondo, la cui condizione non è di vivere i conflitti armati quotidiani e permanenti.
Non c’è infatti una guerra degli ultimi trenta anni che non abbia lasciato sul campo milioni di vittime civili – con crimini di guerra rimasti impuniti – e che non sia rimasta con la sua scia di sangue e odio a determinare il presente, fatto di una geopolitica che dispiega bandierine, ma resta incapace di capire e fermare la deriva di morte tornata in piena Europa dopo la crisi jugoslava.
A proposito di guerre d’aggressione, vale per l’Iraq, per la Libia, per la Siria, per il Libano, per la Palestina, per il Kosovo, per l’Africa, per la tragedia dei migranti in fuga da nuova miseria e nuovi conflitti armati da noi alimentati. Per questo il manifesto oggi è in piazza e partecipa di questo movimento che ha nel suo Dna. Il manifesto, quotidiano comunista, che ha iniziato i suoi primi passi più di cinquanta anni fa protestando contro l’aggressione sovietica a Praga e contro quella americana al Vietnam, contro ogni imperialismo.
Sono contento che ti metti in marcia per la pace. Qualunque sia la tua età e condizione, permettimi di darti del “tu”. Le guerre iniziano sempre perché non si riesce più a parlarsi in modo amichevole
Cara amica e caro amico,
sono contento che ti metti in marcia per la pace. Qualunque sia la tua età e condizione, permettimi di darti del “tu”. Le guerre iniziano sempre perché non si riesce più a parlarsi in modo amichevole tra le persone, come accadde ai fratelli di Giuseppe che provavano invidia verso uno di loro, Giuseppe, invece di gustare la gioia di averlo come fratello. Così Caino vide nel fratello Abele solo un nemico.
Ti do del “tu” perché da fratelli siamo spaventati da un mondo sempre più violento e guerriero. Per questo non possiamo rimanere fermi. Alcuni diranno che manifestare è inutile, che ci sono problemi più grandi e spiegheranno che c’è sempre qualcosa di più decisivo da fare. Desidero dirti, chiunque tu sia – perché la pace è di tutti e ha bisogno di tutti – che invece è importante che tutti vedano quanto è grande la nostra voglia di pace. Poi ognuno farà i conti con se stesso. Noi non vogliamo la violenza e la guerra. E ricorda che manifesti anche per i tanti che non possono farlo. Pensa: ancora nel mondo ci sono posti in cui parlare di pace è reato e se si manifesta si viene arrestati! Grida la pace anche per loro!
Quanti muoiono drammaticamente a causa della guerra. I morti non sono statistiche, ma persone. Non vogliamo abituarci alla guerra e a vedere immagini strazianti. E poi quanta violenza resta invisibile nelle tante guerre davvero dimenticate. Ecco, per questo chiediamo con tutta la forza di cui siamo capaci: “Aiuto! Stanno male! Stanno morendo! Facciamo qualcosa! Non c’è tempo da perdere perché il tempo significa altre morti!” Il dolore diventa un grido di pace.
La pace mette in movimento. È un cammino. « E, per giunta, cammino in salita», sottolineava don Tonino Bello, che aggiungeva: «Occorre una rivoluzione di mentalità per capire che la pace non è un dato, ma una conquista. Non un bene di consumo,
Leggi tutto: Lettera a chi manifesta per la pace. Liberi insieme dalla guerra - di Matteo Zuppi *
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