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Nel corso delle audizioni sul Documento di finanza pubblica, tra altri, sono intervenuti ieri l’Ufficio parlamentare di Bilancio e la Banca d’Italia. Le loro stime hanno smontato le ipotesi sui supposti benefici dell’economia di guerra. Il ministro dell’Economia Giorgetti ha sostenuto che l’Italia già paga il 2% del Pil in spese militari, ma per l’Osservatorio Mil€x è un «trucco» per pagare meno. Il ministro della difesa Crosetto, innervosito dall’umorismo di Giorgetti, sostiene che «le armi non sono regali di Natale» ai generali

Gian Mauro Dell’Olio M5S, vice presidente Bilancio Camera, Il Ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, Nicola Calandrini FdI, presidente Bilancio Senato, in occasione delle audizioni sul documento di finanza pubblica 2025 davanti alle Commissioni bilancio di Camera e Senato (LaPresse) Gian Mauro Dell’Olio M5S, vice presidente Bilancio Camera, Il Ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, Nicola Calandrini FdI, presidente Bilancio Senato, in occasione delle audizioni sul documento di finanza pubblica 2025 davanti alle Commissioni bilancio di Camera e Senato – LaPresse

Aumentare le tasse o tagliare il Welfare. Oppure fare entrambe le cose al fine di aumentare la spesa militare per ora al 2% del Pil come richiesto da Trump, dalla Nato e dalla Commissione Europea. Ben sapendo che l’aumento della spesa militare non produrrà la crescita economica promessa, aumenterà il deficit e imporrà al governo Meloni di non rispettare le regole del patto di stabilità esponendosi alle ritorsioni della Commissione Europea e dei «mercati».

LA BOCCIATURA della propaganda sul riarmo europeo è arrivata ieri, davanti alle commissioni bilancio di Camera e Senato, durante le audizioni della Banca d’Italia e dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (Upb) sul Documento di finanza pubblica, primo passo verso la legge di bilancio di quest’anno. Per Bankitalia lo sforzo per il riarmo nazionale senza un coordinamento europeo comporta una spesa inefficiente e inefficace e che ne beneficiano solo i paesi con minori vincoli di bilancio come la Germania, non l’Italia. Per Via Nazionale le spese per la difesa avrebbero «la natura di bene pubblico» e ci sarebbe bisogno di «risorse comuni», s’intende europee. Prospettiva rifiutata da mezza Unione Europea.

Questo significa che saranno i governi a pagare il dazio ai militari. Dunque i cittadini. Per l’Upb l’aumento delle spese militari, anche attivando il famoso scorporo dal calcolo del deficit e del debito nel patto di stabilità Ue, causerebbe l’aumento del debito e avrebbe un effetto regressivo sulla finanza pubblica. Il debito aumenterebbe di più del Pil perché il moltiplicatore economico è dello 0,2 o dello 0,3 e non del 2, come sostiene il ministro della difesa Guido Crosetto.

È UNA PROSPETTIVA da brividi, ma nascosta. Ieri però è emersa plasticamente ed è stata commentata dal ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, intervenuto in audizione. Il governo oggi deve trovare 90 miliardi di euro per coprire la spesa degli interessi sul maxi-debito pubblico e non ha risorse per finanziare l’economia di guerra. . Alla fine dovrà cedere . Forse la decisione arriverà a giugno quando ci sarà un vertice Nato che quantificherà l’obbligo della spesa militare (al 3 o 3,5% del Pil) e il piano di riarmo europeo voluto da Bruxelles potrà prendere una forma diversa da quella rifiutata dai governi Ue. Le conseguenze politiche potrebbero essere pesanti per Meloni.

GIORGETTI HA PROVATO a truccare le carte sul famoso «2% alla difesa». «Lo raggiungeremo già nel 2025» ha detto Giorgetti che ha evocato una «metodologia Nato» secondo la quale l’Italia avrebbe già pagato, senza saperlo, gli 11 miliardi in più che mancano al budget già cresciuto negli ultimi anni. Nel 2025 siamo a 32 miliardi all’anno. L’osservatorio Milex ha spiegato qual è «il trucco» del governo: simulare che la spesa militare è al 2% contabilizzando le spese per i carabinieri, la guardia costiera e la guardia di finanza per un totale di 11 miliardi. Quasi tutti quelli che mancherebbero per raggiungere quota 2%, cioè 45 miliardi circa all’anno. In realtà, ha spiegato l’Osservatorio Milex, è una proposta che è stata già rigettata dalla Nato. Ora il governo Meloni ci riprova. A dimostrazione che i soldi non ci sono e teme la prospettiva di fare infuriare la sua «base», quella che applaude i condoni. E tutti gli altri, cioè la maggioranza del paese che fa i conti con una sanità a pezzi, non ha tutele sociali e vive di bassi salari.

IL PROBLEMA è che il 2% del Pil in spesa militare non è stato deciso dal parlamento ma in una riunione dei ministri della difesa nel lontano 2006 e da un vertice dei capi di stato e di governo del 2014 in Galles. L’obiettivo del 2% non è mai stato giustificato in termini militari e collega una previsione di spesa pubblica a un parametro che non si può definire preventivamente. Nessuno sa ancora quale sarà il Pil del 2025, ad esempio. È un artificio per aumentare la spesa militare e basta. E non va dimenticato che già oggi, il totale delle spese europee in armi è superiore a quello della Russia.

IL GOVERNO non chiederà uno scostamento di bilancio per le spese per la difesa. Tutto resterà all’interno del percorso già tracciato che sembra avere dato molta soddisfazione a Giorgetti. Il ministro però ha ricordato un fatto decisivo: l’Italia non ha la capacità produttiva per produrre le armi volute da Bruxelles e dalla Nato. E per ora non si sa nemmeno cosa si vuole finanziare. «Lo scostamento non deve essere la soluzione facile – ha detto – Prima di prevedere spese supplementari, anche per difesa o dazi, voglio sapere dove vanno a finire e per quale motivo le devo fare. Questo – ha aggiunto – è un criterio non di prudenza o di rigore, ma del buon padre di famiglia». Giorgetti ha fatto sapere che una lista dei sogni per i generali è arrivata da Crosetto.

«È come Natale» ha detto, scherzando ma non troppo. Crosetto ha risposto piccato su X: «Non c’è nulla da festeggiare, non ci sono liste della spesa. Ci abbiamo messo un mese per preparar un piano che contemplasse le proprietà e poggiasse su risorse vere». C’è tensione tra una Difesa che ha il problema di trovare le armi da acquistare e l’Economia che non sa dove trovare i soldi.

GIORGETTI, IL «BUON PADRE di famiglia» ha criticato la «frenesia» che si è impadronita dei governi Ue, compreso il suo. Comunque si prepara ad aprire i cordoni della borsa. Per questo ha presentato un Dfp in attesa degli eventi. L’impasse è stata rilevata dall’Upb e la Corte dei conti le informazioni sono «incomplete». Per Istat l’economia tiene ma volge al peggioramento. Giorgetti ha prospettato il differimento del pagamento e non degli obiettivi. E mancano certezze sul Pnrr. Per l’Upb il differimento di 10 miliardi di spesa del Pnrr implicherebbe una perdita dello 0,3% del Pil. Una catena di errori iniziata prima di Meloni & Co.

IL GOVERNO HA PROSPETTATO il taglio della crescita per il 2025 dall’1,2% allo 0,6% Giorgetti lo ha presentato come l’effetto della sua «prudenza». «È il frutto di 25 mesi di calo della produzione industriale – ha osservato Christian Ferrari (Cgil) – Grava sulle spalle