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Perché gli attuali disagi nella vita quotidiana e il peggioramento della situazione economica e sociale sarebbero solo “un’amorevole carezza sulla guancia” rispetto ai rischi che correremmo se ritardassimo ancora ad intervenire contro il cambiamento climatico.

 di G.B. Zorzoli su "Qualenergia"

Le pagine del Sole 24 Ore sembrano un bollettino di guerra. Allarme imprese, due su tre in difficoltà. Borse: quotazioni giù. Il Parlamento si mette in quarantena. Terza zona rossa, pressing della Lombardia sul governo. Hotel, prime chiusure a Milano. Produttori tv: «Sono a rischio serie e programmi».

Negli Stati Uniti prende piede l’ipotesi secondo cui la crisi economica provocata dal coronavirus potrebbe compromettere la rielezione di Trump.

Tutto per effetto di un nuovo virus, la cui virulenza è moderata, con ragionevoli prospettive di un superamento della fase più critica a scadenza non molto lontana, dopo di che conviveremo con lui, come già accade con altri suoi confratelli.

Se tanto mi dà tanto, cosa potrebbe succedere se le misure di contrasto alla crisi climatica continuassero a essere tardive e insufficienti, e la crescita della temperatura globale superasse largamente i due gradi?

L’effetto congiunto della fusione dei ghiacci nella regione artica e antartica e della dilatazione dei volumi delle acque oceaniche, provocata dall’aumento delle temperature, innalzerà il livello medio dei mari e intere regioni costiere, oltre a molte isole, non esisteranno più. Le rese agricole caleranno ovunque, mettendo a rischio la sicurezza alimentare. Anche le risorse idriche, la salute umana, la biodiversità saranno verosimilmente colpiti in modo grave. Ne potrebbero conseguire grandi spostamenti di popolazioni e gravi perturbazioni dell’economia nei paesi maggiormente coinvolti.

L’aumento del numero e dell’intensità di inondazioni, incendi, siccità, eventi atmosferici estremi e ondate di calore metterebbe a repentaglio il funzionamento del sistema energetico, con impianti di produzione fuori servizio anche in via definitiva e linee elettriche distrutte.

La ridotta disponibilità alimentare, principalmente a causa dello stress idrico e della minore fertilità del suolo, indebolirebbe le resistenze fisiche degli individui, per di più costretti a convivere con situazioni igienico-sanitarie certo non ottimali.

Il rischio di contrarre malattie sarebbe ulteriormente acuito in molte regioni dalla diffusione, per le mutate condizioni climatiche, di agenti patogeni prima assenti e con la popolazione locale priva di adeguate difese immunitarie.

La scarsità di risorse essenziali, a partire dall’acqua, porrebbe limiti alla produzione industriale e al turismo, diminuendo il valore economico dei capitali investiti: conseguenza inevitabile, il progressivo impoverimento della maggior parte della popolazione.

Con colpevole ritardo, i governi sarebbero costretti a reagire, introducendo misure draconiane: razionamento alimentare idrico ed energetico, divieto di spostamenti non autorizzati, chiusura delle fabbriche più climalteranti…

A differenza dell’epidemia dovuta al coronavirus, senza poter contare sulla scoperta di un vaccino in grado di mettere sotto controllo la situazione. Anche se di colpo le emissioni nette di CO2 fossero azzerate, il quantitativo in eccesso già presente nell’atmosfera vi permarrebbe mediamente per circa un secolo, continuando a far sentire i suoi effetti.

L’impoverimento progressivo e l’inevitabile deterioramento di una serie di servizi, a partire da quello sanitario, cui si aggiungerebbero gigantesche ondate migratorie dalle zone più colpite, finirebbero col provocare a più riprese rivolte popolari, alle quali i governi presumibilmente risponderebbero con ulteriori limitazioni alle libertà dei cittadini, alla fine ridotti alla pura resistenza passiva.

Al confronto, gli attuali disagi nella vita quotidiana e l’inevitabile peggioramento della situazione economica e sociale equivalgono a un’amorevole carezza sulla guancia.

Un divario su cui tutti dovrebbero meditare.