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Tre aspetti critici. Nella Ue una persona dipende da 1,8 al lavoro che si ridurranno a 1,5 nel 2030. In Italia sarà di 1,1. La crisi è strutturale e non ci sono tagli che possano porvi rimedio

 

I governi tecnici e di destra susseguitisi in Italia dalla metà degli anni Novanta si sono contraddistinti per coerenti controriforme fortemente peggiorative del sistema pensionistico. La legge Fornero cui il presidente del consiglio Draghi intende restare ancorato (salvo aggiustamenti minori) è il provvedimento pensionistico peggiore rispetto a quelli in vigore in altri paesi europei confrontabili con l’Italia per popolazione e Pil pro capite.

Non c’è qui lo spazio per un dettagliato schema comparativo con i singoli Stati dellUnione, ma c’interessa evidenziare alcuni aspetti di fondo, in parte ricorrenti, in parte più accentuati nel nostro Paese.

Il primo riguarda lo squilibrio demografico per cui la popolazione troppo giovane o troppo anziana per lavorare dipende da una base sempre più ristretta di quanti lavorano. Nell’insieme dell’Ue una persona dipende da 1,8 al lavoro, che si ridurranno a 1,5 entro il 2030.
Un rapporto che la stessa Commissione europea giudica insostenibile.

In Italia il rapporto è addirittura di 1 a 1,1 ed entro un ventennio sarà di 1 a 1. Una situazione in cui non c’è taglio del welfare che serva. Occorre invece provvedere a correggere il gap demografico. Il che è possibile solo favorendo l’ingresso nell’Ue di alcune decine di milioni d’immigrati in pochi anni.

Il secondo è di natura fiscale e riguarda la sperequazione tra lavoratori dipendenti e autonomi. I primi, con la trattenuta alla fonte delle tasse e contributi loro richiesti, coprono interamente le spese sociali di cui usufruiscono, comprese quelle previdenziali. Mentre i lavoratori autonomi e i professionisti sfuggono più facilmente ai controlli e sono i maggiori responsabili di un’evasione fiscale che, complessivamente, raggiunge i 110 miliardi l’anno. Vale a dire l’equivalente di circa la metà del Recovery Fund, il cui ammontare viene esaltato come un’opportunità storica.

Al confronto, basterebbe recuperare buona parte dell’evasione fiscale per potenziare tutti i sistemi di welfare, incluse le pensioni, senza accampare pretesti per sacrifici e restrizioni.

Il terzo aspetto riguarda l’arretramento delle condizioni di lavoro: troppo spesso mal retribuito, a tempo determinato e/o parziale, caratterizzato da numerose e crescenti forme di precarietà. Sicché proprio i giovani (i cui interessi si vogliono fittiziamente contrapporre a quelli dei più anziani e “garantiti”) in queste condizioni di lavoro e con un sistema strettamente contributivo difficilmente potranno godere di una pensione sufficiente per vivere quando saranno anziani.

In realtà, in quarant’anni di politiche neoliberiste i maggiori paesi europei che potevano vantare un solido Stato sociale hanno proceduto al suo smantellamento con la progressiva privatizzazione delle prestazioni. Sicché diventa sempre più prossima la necessità di ricorrere a forme integrative della pensione. Come non è lontano il giorno in cui bisognerà stipulare onerose assicurazioni per la sanità, nonché far fronte a costi ancor più selettivi per l’educazione dei figli.

In breve, il vanto dei modelli di welfare di molti paesi europei nei confronti del sistema privatistico prevalente negli Usa sarà un ricordo del passato.

La responsabilità principale di questo scivolamento in basso è ben individuabile nello straordinario potere raggiunto dal capitale finanziario e nella funzione centrale da esso assunta nella regolazione dei rapporti, non solo economici, ma anche sociali.

Quanto alla politica, ha abdicato da tempo alla sua funzione di controllo e bilanciamento dei poteri in difesa degli interessi generali della collettività, assoggettandosi a quelli dei gruppi dominanti. Il che è verificabile in quasi tutti i paesi euro-atlantici, e altrove.

Uno stato di cose che può essere modificato solo con nuove forme della conflittualità sociale, molto più incisive e capaci di ridurre, almeno in parte, la grande sproporzione determinatasi nei rapporti di forza tra capitale e lavoro, particolarmente negli ultimi decenni.