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IN PESSIMA SALUTE. Liste d’attesa, rinuncia alle cure, carenza di personale, disuguaglianze Per la Fondazione Gimbe servono 12 miliardi e più aiuti per il Sud

Il Servizio sanitario nazionale piange. E il privato fattura L’ospedale Regina Margherita di Torino - Lapresse

Alla sua quindicesima conferenza nazionale tenutasi ieri a Bologna, il Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze (Fondazione Gimbe) ha presentato un resoconto sconfortante sul nostro servizio sanitario, ormai «vicino al punto di non ritorno» secondo il presidente Nino Cartabellotta. I nodi si chiamano sotto-finanziamento, carenza di personale, disuguaglianze crescenti e avanzata del privato. «Non è più tollerabile – dice Cartabellotta – che universalità, uguaglianza ed equità, i princìpi fondamentali del Ssn, siano stati traditi e ora troneggino parole chiave come: infinite liste di attesa, aumento della spesa privata, diseguaglianze di accesso alle prestazioni sanitarie, inaccessibilità alle innovazioni, migrazione sanitaria, aumento della spesa privata, rinuncia alle cure, riduzione dell’aspettativa di vita».

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OLTRE ALLA DIAGNOSI, il Gimbe ieri ha presentato anche una proposta di terapia. Al primo punto del Piano di rilancio del Servizio Sanitario Nazionale stilato dalla fondazione – dopo aver consultato oltre 1.500 esperti – c’è il finanziamento pubblico: nell’Ue ben 15 Paesi investono in sanità più dell’Italia, dove la spesa pubblica pro-capite si ferma a 3.000 euro. In Germania, la spesa è più che doppia. Per riallinearci alla media europea servirebbero 12 miliardi di euro, visto che nel 2025 la spesa pubblica scenderà al 6%, cioè addirittura al di sotto dei livelli pre-pandemia.
Se il governo Meloni seguirà le tracce disegnate dalla nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza dell’esecutivo di Mario Draghi, il finanziamento dei prossimi anni terrà a malapena il passo dell’inflazione.

Come sostenuto sul manifesto di giovedì da Ivan Cavicchi, anche secondo il Gimbe non si tratta solo di spendere di più: le nuove risorse andrebbero vincolate a investimenti a favore del personale sanitario, del rispetto dei Livelli essenziali di assistenza – gli standard sanitari che devono essere garantiti agli utenti da tutte le Regioni – e dell’equità nell’accesso alle innovazioni.

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POI C’È IL NODO del federalismo. «La “frattura” Nord-Sud – spiega Cartabellotta – è ormai di tale entità che è indispensabile potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, nel rispetto dei loro poteri, per ridurre diseguaglianze, iniquità e sprechi». Il Gimbe chiede che il finanziamento delle Regioni e i «Piani di rientro» non punti solo all’equilibrio finanziario, perché questo impedisce di recuperare il «gap». Per quanto riguarda il personale, è fondamentale superare «i tetti di spesa, i blocchi contrattuali, la mancata programmazione dei nuovi specialisti hanno determinato prima una carenza quantitativa» e oggi portano tanti operatori ad abbandonare il settore pubblico in favore della sanità privata e dell’estero.

Ultimo nodo, ma non per importanza, c’è lo squilibrio tra pubblico e privato. Tra il 2011 e il 2021, gli ospedali privati accreditati (di cui il servizio pubblico compra le prestazioni) sono passati dal 47% al 49% del totale, gli ambulatori specialistici privati dal 59% al 60%, le Rsa dal 76 all’85%. La sanità privata dunque cresce ovunque e mangia spazi al pubblico. Tra le cause ci sono anche meccanismi nascosti, come la defiscalizzazione dei fondi sanitari che dirottano risorse pubbliche verso assicurazioni e sanità privata. Motivo per cui il Gimbe chiede di «riordinare la normativa sui fondi sanitari al fine di renderli esclusivamente integrativi rispetto a quanto già incluso nei Livelli di assistenza sanitaria».

IL PIANO DI RILANCIO contiene molti altri suggerimenti, che il lettore del manifesto conosce bene: la necessità di investire sulla promozione della salute e sulla prevenzione secondo «l’approccio integrato One Health perché la salute delle persone, degli animali, delle piante e dell’ambiente sono strettamente interdipendenti». Oppure l’integrazione tra servizi sanitari e socio-sanitari, un obiettivo che il Pnrr demanda alla futura sanità territoriale per la quale però mancano personale e visione. O infine innalzare al 2% del finanziamento pubblico l’investimento in ricerca clinica indipendente, oggi troppo spesso subordinata alle priorità dettate dall’industria farmaceutica.

CARTABELLOTTA SA che Piani come questo saranno difficilmente accolti da una maggioranza che preferisce sacrificare la salute sull’altare della flat tax o del ponte di Messina. Chiede però che dalla classe politica arrivi almeno un’assunzione di responsabilità. «Se mantenere un Ssn pubblico, equo e universalistico non è più una priorità del nostro Paese, la politica dovrebbe avere l’onestà di scegliere apertamente un altro modello di sanità, governando in maniera rigorosa i processi di privatizzazione che si stanno già concretizzando in maniera subdola, creando di fatto una sanità a doppio binario»