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IMMIGRAZIONE. La leader del Partito Democratico: sì all'odg di Sinistra-Verdi

Schlein contro il memorandum di Minniti con la Libia. Pd diviso

 

Discussioni animate tra i banchi Pd alla Camera, ieri durante il voto sugli ordini del giorno collegati al decreto immigrazione. Oggetto del contendere un odg a prima firma Devis Dori (sinistra e verdi), durissimo verso gli accordi con la guardia costiera libica promossi nel 2017 dall’allora ministro dell’Interno Minniti con premier Paolo Gentiloni (entrambi del Pd). La segretaria Elly Schlein aveva dato indicazioni per un voto favorevole, ma tra i dem che avevano condiviso quelle scelte, è scattato l’allarme. Nessun dubbio sul dispositivo che impegnava «il governo a sospendere immediatamente tutti gli accordi con la Libia in materia di controllo dei flussi migratori fino a quando non verranno ripristinate le condizioni minime di sicurezza».

Assai più perplessità sulla premessa in cui si affermava una tesi da sempre sostenuta da Sinistra italiana, e cioè che il memorandum del 2017 «di fatto crea le condizioni per la violazione dei diritti di migranti e rifugiati agevolando indirettamente pratiche di sfruttamento e di tortura tali da costituire crimini contro l’umanità».

Nel testo venivano citati i moniti del segretario generale dell’Onu Guterrez, le raccomandazioni della commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatovic agli stati Ue e le indagini della Corte penale internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità. Nel suo intervento in Aula, Devi è stato ancora più netto: «I lager libici rappresentano un’infamia per l’Italia e l’Europa».

Il Pd ha chiesto un voto per parti separate, per poter dare parere favorevole solo al dispositivo. Ma nonostante questo alcuni parlamentari, come Enzo Amendola, Marianna Madia e l’ex responsabile esteri Lia Quartapelle, hanno deciso di non partecipare al voto. «Nessuna spaccatura. Non ho votato un odg che aveva premesse irricevibili. Gli accordi con la Libia sono consegnati al passato, ma lanciare sentenze sommarie su vicende complesse non mi appartiene», spiega Amendola. «Non ho votato l’odg di un altro partito, cosa ben diversa da mettere in discussione la linea del mio partito», puntualizza Quartapelle. «Non dobbiamo farci stringere da chi vuole metterci in difficoltà».

Scintille anche sul sondaggio interno lanciato dalla presidente del gruppo socialista europeo Iratxe Garcia Perez sulla possibilità di tornare al vecchio nome «socialista», eliminando la dicitura «democratici» aggiunta nel 2009 per far contento il Pd. L’ipotesi di un via libera di Schlein al cambio (seccamente smentita) ha agitato i riformisti dem, da Fassino a Guerini, Benifei e Picierno. Mentre Andrea Orlando si è domandato: «Il Pd ha aderito al Pse, quindi il gruppo può tornare a chiamarsi socialista. Dov’è il problema?»