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IL CASO. Dopo l'annuncio sulla rimodulazione del "Piano nazionale di ripresa e resilienza" in un documento di 27 pagine inviato a palazzo Chigi la conferenza delle regioni chiedono «coperture» e di essere coinvolta dal governo. Giani (Toscana): «Nella destra c’è imbarazzo». Upb: «Dal Pnrr arrivano rilevanti fattori di incertezza»

Conferenza stampa del Ministro Fitto dopo la cabina di regia sul PNRR foto LaPresse Raffaele Fitto, il ministro per gli Affari europei, per le politiche di coesione e per il Pnrr - Ansa

Dopo i comuni anche le regioni hanno chiesto ieri chiarimenti al governo sulle coperture del «definanziamento» di attività e progetti pari a 15,9 miliardi di euro che avverrà nell’ambito della revisione del «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr), in particolare sulla prevenzione del dissesto idrogeologico, le case della salute, la rigenerazione urbana. Senza la certezza delle risorse il governo rischia di bloccare i cantieri dell’abbattimento delle ultime due Vele di Scampia o quelli del Serpentone di Corviale a Roma. E sarebbero contraddette le intenzioni rassicuranti di Raffaele Fitto, ministro delegato al Sacro Graal dell’economia italiana.

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IN UN DOCUMENTO di 27 pagine inviato a palazzo Chigi i presidenti delle regioni hanno ipotizzato che la soluzione indicata da Fitto, cioè prelevare una parte del corrispettivo dei fondi del Pnrr dirottati verso il «RePowerEu» dal Fondo di sviluppo e coesione, potrebbe essere controproducente. Spostare queste risorse da questo Fondo, con modalità che dovranno essere probabilmente ancora approfondite, significherebbe bloccare altri cantieri. Gli appalti hanno bisogno di coperture immediate. E sono difficilmente realizzabili le partite di giro, come quella che si sta discutendo, in vista di una sostanziosa «rimodulazione» del Pnrr che il governo dovrebbe presentare entro il prossimo 30 agosto alla Commissione Europea. Non sarebbe nemmeno chiaro il vincolo del 40% delle risorse del Pnrr destinate al Sud. Una regola più volte annunciata, e messa nero su bianco, ma che risulterebbe a quanto pare sempre di incerta applicazione.

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LA FIBRILLAZIONE tra gli enti locali, seguita dal non molto riuscito annuncio di Fitto, sarebbe molto più estesa di quanto la maggioranza vorrebbe fare apparire. A tale proposito più di una preoccupazione è stata confessata dal leghista veneto Luca Zaia. Ieri Eugenio Giani (Pd), presidente toscano, ha sostenuto che il documento inviato a Fitto e Meloni è la traduzione di un «sentimento» condiviso anche tra gli altri presidenti di destra. «Probabilmente – ha detto – non hanno la stessa libertà di criticare il governo per un vincolo di natura politica». Ma «avverto, sono molto, molto imbarazzati».

ALLA TOSCANA, al momento, il governo ha stralciato – con la promessa di restituzione – 1 miliardo su 6,5 miliardi di euro. Un valore che sarebbe lievitato a 7,5 miliardi tenendo conto dei cofinanziamenti richiesti. La revisione annunciata da Fitto toglierebbe 150 milioni alla sanità, tagliando una decina di case della salute in meno, tra l’altro. Secondo il Pd siciliano, l’isola governata dal forzista Renato Schifani perderebbe 1,4 miliardi di euro, in attesa dei fondi alternativi promessi. «Si aggiungono al miliardo di fondi strutturali che la giunta Schifani ha dichiarato non riuscire a spendere – sostengono Anthony Barbagallo e Cleo Li Calzi – Sulle politiche della coesione la Sicilia ha fallito gli obiettivi di spesa».

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QUESTO È IL PROBLEMA che ha acceso l’allarme negli enti locali. Già non riescono a spendere i fondi che sono in cassa, gli stessi non possono essere girati al Pnrr che, però, viene riscritto perché alcuni fondi (15,9 miliardi) sono difficilmente impiegabili. Per ora e per chissà quanto tempo. È questo problema che assilla Antonio Decaro (Pd), sindaco di Bari e presidente Anci: «L’Ufficio studi del Parlamento ha già detto che non potranno essere utilizzati i soldi del Fondo per sviluppo e coesione. Quindi i soldi per quei progetti non ci sono» ha detto.

MASSIMILIANO FEDRIGA, presidente leghista del Friuli Venezia Giulia e della Conferenza delle regioni ha aggiunto un’altra questione sul tavolo: la partecipazione degli enti locali all’ambiziosa impresa di riscrivere una parte del Pnrr: «Alla fase di elaborazione del documento di revisione non abbiamo lavorato – ha detto – Sarà necessario un confronto per assicurare una coerenza con le programmazioni regionali già avviate».

LA CONCENTRAZIONE di non detti, contraddizioni e vicoli ciechi del Pnrr contribuisce ad annebbiare anche le previsioni macroeconomiche di un paese in cui la «crescita» del Pil ha messo il freno a mano. Lo ha confermato ieri l’ufficio parlamentare di bilancio secondo il quale esistono «rilevanti fattori di incertezza» dovuti «all’evoluzione del Pnrr» che si aggiungono «alla volatilità dei mercati delle materie prime». E dire che uno dei motivi che hanno spinto il governo Meloni a cambiare il Pnrr è stata proprio la speculazione sulle materie prime che ha accresciuto i profitti e fatto esplodere l’inflazione. La mancata realizzazione totale del Pnrr potrebbe generare a cascata altri guai