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«La nostra forza è aver unito realtà diverse, non ci fermeremo finché il paese non cambia». I due cortei riempiono piazza San Giovanni «come non accadeva da dieci anni» ben oltre le previsioni

Un passo sulla buona strada Manifestazione sindacale a Roma - Getty Images

Due lunghissimi serpentoni rossi con qualche chiazza di altro colore che hanno fatto fatica ad entrare a piazza San Giovanni. La «Via maestra» ha tracciato la strada per «cambiare il paese in nome della Costituzione». La manifestazione della Cgil e di altre 200 associazioni e reti sociali e territoriali è stata un successo che è andato oltre le migliori previsioni degli organizzatori. Le 200 mila persone stimate – 35 mila per la Questura di Roma – sono un segnale di vitalità e speranza per il futuro tutt’altro che scontato: «Una piazza così non si vedeva da almeno dieci anni», si sente dal palco.

Alle 15 piazza San Giovanni era già piena mentre c’erano migliaia di persone ancora ferme a piazzale dei Partigiani, partenza del corteo dalla stazione Ostiense.
Nei tanti interventi dal palco sono risuonati tanti accenti diversi ma una sola voce, riassunta nella chiusura di un commosso Maurizio Landini: «L’emozione e la felicità di valore una piazza così è enorme».

LA CGIL MOVIMENTISTA, capofila dell’associazionismo laico e cattolico, chiama tutto il paese a reagire: «È il momento di uscire dalla rassegnazione, dall’idea che non si può cambiare, che bisogna subire». Consapevole della forza che viene «dall’aver messo assieme tante realtà diverse in nome della Costituzione». «Una Costituzione – sottolinea Landini nel passaggio più applaudito dalla piazza – conquistata dai nostri padri e nostri nonni sconfiggendo il fascismo».

Maurizio Landini

«A nome di tutte le associazioni prendiamo l’impegno di batterci ogni giorno e in ogni luogo fino a quando lavoro e diritti non saranno tornati al centro della vita sociale e politica»

Un Landini ecumenico – «non è possibile che in 18 mesi di guerra l’unico che ha lavorato per la pace sia il papa» – che ricorda «la casa dei rider aperta a Palermo» e «il parco aperto dalla società civile a Caserta» come modelli «per ricostruire le comunità e la solidarietà tra le persone che si ottiene non fra eguali ma quando chi ha di più aiuta chi ha di meno ad avere più diritti perché il nostro nemico non è il migrante o chi ha un lavoro più sicuro del mio ma quello da battere è chi sfrutta tutti», sottolinea il segretario Cgil.

QUI ARRIVA L’ATTACCO A MELONI: «Dopo un anno in carica il governo ha deciso di manomettere la Costituzione, noi che l’abbiamo difesa da Berlusconi e da Renzi lo continueremo a fare a partire dal no all’autonomia differenziata».

Don Ciotti e Maurizio Landini

Il passaggio sulla necessità di «un salario minimo orario contro salari da 5-6 euro che sono da fame» è molto duro: «Il governo ha subappaltato al Cnel il suo ruolo e il suo professore (Brunetta, Ndr) ha deciso che del salario minimo non c’è bisogno grazie anche ai voti di sindacati che non hanno rappresentanza e hanno firmato contratti pirata: è un attacco ai lavoratori che invece devono avere il diritto di votare sui loro contratti e avere una legge sulla rappresentanza».

Due sassolini il leader della Cgil se li toglie parlando di «crisi climatica e conseguenze sul lavoro». L’attacco è diretto a Sergio Marchionne e Carlo Calenda, entrambi solo evocati. «La chiusura della Marelli è figlia dei mancati investimenti di 15 anni fa quando l’allora Fiat invece attaccava i diritti dei lavoratori e chi oggi ci attacca, chiedendoci dove eravamo, lavorava per loro e poi è diventato ministro senza fare nulla su questo argomento».

ARRIVA POI UN ALTRO MOMENTO di commozione nel ricordo di Stefano Rodotà e Carla Carlassare: «Dieci anni fa eravamo insieme per una manifestazione dallo stesso titolo – la via maestra – un pensiero va a loro che non hanno mai rinunciato alle loro idee, non hanno mai delegato. Rodotà diceva sempre che esistono due idee di società: una democratica che spinge alla partecipazione e una autoritaria che restringe gli spazi di democrazia. Ebbene – insiste Landini – siamo di nuovo lì, davanti all’idea che serva un qualcuno di forte. E allora davanti alla crisi della democrazia che riguarda non solo i partiti ma anche il sindacato dobbiamo impegnarci perché la politica tutta torni ad occuparsi delle persone e del lavoro, non c’è niente da inventare, basta tornare ai valori base dei nostri costituenti». Ecco infine «l’impegno» con cui Landini chiude la manifestazione: «Credo che a nome di tutte le associazioni prendiamo l’impegno di batterci, non ci fermeremo finché lavoro e diritti non saranno tornati al centro della vita sociale e politica».

PRIMA DI LUI SUL PALCO si erano alternate tante realtà sociali e personalità diverse, a partire da quel Gustavo Zagrebelsky che era presente anche dieci anni fa alla prima «Via maestra». Se Peppe De Marzo, coordinatore della Rete dei numeri pari, ha chiesto «il ritiro del ddl Calderoli sulla autonomia differenziata», Gianfranco Pagliarulo dell’Anpi ha ricordato come «l’antifascismo mai come oggi vuol dire pace e lavoro» e Simona Abate di Greenpeace ha sostenuto come «ambientalismo e giustizia sociale debbano viaggiare di pari passo». Dieci anni fa c’era anche don Ciotti, sicuramente stato il più applaudito e molto meno moderato di allora: «Siamo davanti alla prostituzione della Costituzione e non possiamo tacere. La Costituzione è il primo testo antimafia, è carta ma anche carne, lo sa bene la magistrata Iolanda Apostolico che ha solo applicato la legge e il diritto europeo ed subito ha subito un massacro: uniamo le nostre forze costruiamo una nuova forza sociale e politica», ha concluso il fondatore di Libera. Qualcuno dunque ci sta pensando. Non certo Landini. Che deve preparare lo sciopero generale, sebbene ieri non l’abbia evocato