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LIBANO. Secondo discorso di Narsallah in 48 ore

Hassan Nasrallah foto Wikipedia Hassan Nasrallah - foto Wikipedia

«Una risposta a quello che è accaduto nella periferia a sud (di Beirut) è inevitabile. La decisione dipende dal terreno di battaglia. E il terreno non attende». È stato chiaro Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, nel suo discorso di ieri nel primo pomeriggio, il secondo in 48 ore.

L’UCCISIONE MARTEDÌ di Saleh Aruri e di altri sei quadri di Hamas a Mashrafieh nella Dahieh, roccaforte sciita nell’hinterland della capitale libanese, ha spostato senza dubbio gli equilibri del confronto tra Hezbollah e le Forze di difesa israeliane (Idf) fino a quel momento limitato alle zone limitrofe al confine tra Libano e Israele.

«La guerra che combattiamo oggi non è solo per Gaza, ma per il Libano e il suo sud. (…) Il Libano potrà, se Dio vuole, alla fine della guerra liberare i suoi territori, cominciando dal punto B1 (Ras Naqora sulla costa, ndr), passando da Ghajar fino ai villaggi di Kfar. Shuba e Sheeba’a» ha dichiarato Nasrallah, aggiungendo che non ci sarà nessuna tregua con Israele finché la guerra a Gaza non sarà terminata.

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AL DI LÀ DEL CONFINE, in occasione dell’incontro ieri mattina con l’inviato speciale nella regione degli Stati uniti Amos Hochstein, Netanyahu ha dichiarato che «un cambio radicale dovrà esserci al confine con il Libano, in modo tale che i residenti potranno tornare alle loro case e vivere in pace e sicurezza. Ci fermeremo solo quando quest’obiettivo sarà raggiunto, in modo diplomatico – che è quello che Israele preferisce – o in altri modi». I civili che hanno dovuto abbandonare i propri territori sono circa 80mila nel nord di Israele e oltre 76mila nel sud del Libano, secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per la migrazione (Oim).

Gli scontri intanto non accennano a diminuire, anzi si sono intensificati nelle ultime ore. Vari villaggi nelle zone di Marjayouneh, Nabatiyyeh, nella periferia a sud di Tiro sono state colpite in territorio libanese e Hezbollah ha lanciato razzi in direzione del nord di Israele sia in prossimità della costa che della parte interna del paese. Il premier libanese uscente in una telefonata con il suo omologo del Qatar Mohamad bin Abdulrahman at-Thani ha sottolineato «la necessità che la cominità internazionale agisca immediatamente per mettere fine alle violazioni israeliane del diritto internazionale».

DOPO LA BREVE GUERRA del Tammus di 33 giorni nel 2006, quando l’esercito israeliano arrivò a Beirut, questo è il primo vero e proprio confronto prolungato tra le Idf e il Partito di Dio. In quell’occasione Israele fu costretto al ritiro dalla milizia sciita e, nonostante i numeri – circa 1200 vittime libanesi in prevalenza civili e le 300 israeliane in prevalenza militari – la guerra è diventata il simbolo della cacciata israeliana dal Libano.

Ora Nasrallah assicura che Hezbollah non solo è pronto a qualunque tipo di confronto, ma che è anche più forte di prima; cosa che, a prescindere dalla retorica, è molto verosimile anche grazie al rafforzamento dell’«Asse della Resistenza» Teheran-Damasco-Hezbollah.

L’UCCISIONE DEL NUMERO DUE di Hamas rappresenta sia un colpo messo a segno da Netanyahu da spendere a casa, che un messaggio preciso e diretto a Hezbollah, colpito nel cuore del suo quartier generale a Beirut. Che a questo punto un cambio di passo sia inevitabile è fuori dubbio, così come è fuori dubbio che l’attentato ad Aruri non resterà impunito. Ciò che ancora non è chiaro è se ciò allargherà la guerra a tutto il Libano, una guerra che, in un paese nella più profonda crisi economica, finanziaria e sociale della sua storia da oltre quattro anni, sarebbe una catastrofe