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ISRAELE. Trenta giorni di pena, rinnovabili. È il primo caso di refusenik dal 7 ottobre. Fuori dalla base di Tel Hashomer lancia il suo messaggio: «L’attacco criminale contro Gaza non riparerà il terribile massacro compiuto da Hamas. La violenza non risolverà la violenza»

L'obiettore di coscienza israeliano Tal Mitnick L'obiettore di coscienza israeliano Tal Mitnick

Il video di Tal Mitnick di fronte alla base militare di Tel Hashomer, a poca distanza dalla Striscia di Gaza, è stato pubblicato martedì. Il 18enne spiega in pochi secondi perché sta per entrare in prigione, a scontare una pena di 30 giorni (rinnovabile): obiezione di coscienza, non intende vestire l’uniforme dell’esercito israeliano, d’obbligo nel paese (tre anni di leva per gli uomini, due per le donne). Dal 7 ottobre è l’unico obiettore di coscienza.

«Credo che il massacro non possa risolvere un massacro – dice – L’attacco criminale contro Gaza non riparerà il terribile massacro compiuto da Hamas. La violenza non risolverà la violenza. Ed è per questo che rifiuto».

A pubblicare il video è Mesarvot, rete di sostegno dei refusenik, gli obiettori di coscienza. Perché non è vero che in Israele tutti indossano l’uniforme, di modi per non farlo ce ne sono: se gli ultraortodossi sono esentati per motivi religiosi, tante e tanti giovani ricorrono a certificati medici che ne attestano l’impossibilità.

Pochissimi rifiutano per dichiarati motivi politici (è illegale in Israele seppure lo preveda il diritto internazionale) e che accettano non solo la cella ma una vita da pariah in una

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INSUCCESSI DI GOVERNO. La destra parlava di soli 6 miliardi, in realtà è più del doppio. Per il tihnk tank Bruegel, sarà dello 0,61% l’«aggiustamento medio annuo». E torna la procedura d’infrazione. Vincolo dei «falchi» sul debito pubblico La prossima legge di bilancio parte da meno 23 miliardi

Il nuovo patto di stabilità: 13 miliardi l’anno di tagliUna vignetta contro l'austerità

L’ambiguità regna ancora, le stime divergono fortemente ma tutte concordano su un punto: il nuovo Patto di stabilità ipoteca oltre 10 miliardi di correzione annuale dei conti pubblici italiani.
A una settimana dall’accordo franco-tedesco, poi ratifico da tutto l’Ecofin, lo studio del testo ha rovinato le feste di natale a economisti, think tank e funzionari governativi, con Giorgetti che ha invitato i giornalisti «a leggerlo per scoprire che è molto meglio di quanto si pensi». Nessuno è in grado di dire con certezza quanto costerà ai vari paesi.

Non lo è in primis il commissario Ue Paolo Gentiloni che ha comunque festeggiato il nuovo accordo «un passo avanti»: «regole comuni senza tornare all’austerità». Parole che hanno indispettito molti, anche nel suo Partito democratico, consci che il nuovo patto sia la conferma del rigore di bilancio che piegandosi ai diktat liberisti, ha fatto perdere milioni di voti al Pd. A chi stima la correzione di bilancio annua in soli 6 miliardi rispetto ai 10 delle vecchie regole, Gentiloni ha dovuto rispondere così: «La norma non contiene cifre, ma certo c’è una chiara flessibilità per tenere conto, dal 2025 al 2027, dell’aumento di spesa per interessi, al fine di salvaguardare investimenti in difesa, per il digitale e per l’ambiente».

IN REALTÀ I FALCHI HANNO IMPOSTO però due vincoli molto precisi che avranno conseguenze negative, in primis per l’Italia. Il primo sul debito: il piano di aggiustamento deve essere congegnato in modo tale che, anche allungando il periodo da quattro a sette anni, il rapporto debito su Pil debba comunque ridursi di almeno un punto su Pil all’anno in media. Il secondo vincolo è sul disavanzo. Non è più sufficiente garantire che il deficit su Pil rimanga sotto la soglia del 3 per cento, la regola di Maastricht: alla fine del percorso di aggiustamento il disavanzo deve scendere sotto l’1,5 per cento del Pil.

È previsto un miglioramento del deficit primario (strutturale) dello 0,4 per cento all’anno in media nel caso di un piano di durata quadriennale, dello 0,25 per cento all’anno in media nel caso di un piano settennale.

Al netto della concessione spuntata che prevede come nel triennio 2025-2027 si tenga conto dell’incremento nella spesa per interessi intervenuta nel periodo (anche qui senza nessun numero scritto), è il primo vincolo – anche a causa della cosiddetta «staticità» del nostro debito pubblico – a provocare una correzione molto forte.

DOPO LO STOP PER LA PANDEMIA e il prolungamento fino a quest’anno, il nuovo Patto rispolvera poi la «procedura d’infrazione» peri paesi non i regola con il tetto al 3% del rapporto deficit/Pil.

Nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza di ottobre il governo Meloni stimava uno 0,5%: da un deficit del 5,9% del 2023 si passerà al 4,8% nel 2024, per poi scendere di un ulteriore 0,5% nel 2025. Ancora un taglio, dal 4,3% al 3,5% nel 2026, ancora lontano al 3% richiesto inizialmente.

In realtà le stime parlando di molto di più, smentendo le opinioni di Giorgetti. Le stime più sensate sono quelle che considerano il cosiddetto «aggiustamento medio annuo del saldo primario strutturale». Come quelle del think tank Bruegel che per l’Italia lo fissa a 0,61 punti all’anno, mentre nella simulazione di settembre sulla versione precedente era molto più basso: allo 0,4.
Si tratta – come ha stimato anche il Sole24Ore – di 12-13 miliardi per sette anni, una cifra però che andrebbe «a crescere negli anni». L’Italia poi sarebbe il paese europeo con un «aggiustamento annuale medio» più alto in Europa dopo il Belgio (0,71) che però dovrà tenere un avanzio primario molto più basso: 2,6% contro il nostro 3,3%, valore di gran lunga superiore a tutti gli altri paesi dell’area Euro: oltre al Belgio, c’è il Portogallo a 2,6%.

Con questi chiari di luna, si capiscono meglio le reazioni di molti esponenti della maggioranza: la prossima legge di Bilancio parte già con un fardello di almeno 23 miliardi. Oltre ai 12-13 della correzione imposta dal nuovo Patto, vanno aggiunti gli almeno 10 miliardi del taglio del cuneo sul costo del lavoro, che anche quest’anno non è stato reso strutturale dal governo Meloni

 

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IL PATTO INDIETRO. Audizione del ministro sulla legge di bilancio, ma le opposizioni chiedono conto del Mes. E Meloni, indecisa se candidarsi alle europee, domani riappare alla conferenza stampa di fine anno
 Giancarlo Giorgetti - Ansa

Doveva essere una legge di bilancio senza emendamenti e dal percorso blindato. Non si attendono sorprese clamorose, ma di certo, anche senza assalti alla diligenza dei parlamentari della destra, la maggioranza sarà costretta a soffrire ancora. Il percorso riprende da oggi in commissione Bilancio della Camera. La missione resta la stessa: passare indenni all’ostruzionismo delle opposizioni e al fuoco di fila dei mille emendamenti presentati sabato scorso. Le richieste di modifica al testo approvato dal Senato sono così suddivise: 350 dal Partito democratico, 325 dal Movimento 5 stelle, 250 da Alleanza verdi e sinistra 250 e 70 da Azione. La minoranza chiede che tutti gli emendamenti vengano messi ai voti già in commissione.

MA LE CONTRADDIZIONI europee incombono. La maratona prevede anche il fuoriprogramma dettato dalle scelte del governo sulle regole dell’Unione europee: l’esito del processo sul nuovo Patto di stabilità e crescita e la bocciatura della richiesta di ratifica del Mes. Dunque, nel pomeriggio è stata messa in agenda l’audizione di Giancarlo Giorgetti. Ufficialmente, fa sapere il presidente forzitaliota Giuseppe Mangialavori seguendo le direttive impartite dal governo per bocca del sottosegretario Federico Freni, il ministro dell’economia relazionerà solo sulla manovra. Difficile che le domande poste dai parlamentari non intreccino i temi del debito e delle finanze pubbliche, e dunque che non entrino nel merito delle vicende Ue che hanno messo in difficoltà Giorgetti nei giorni scorsi e che lo hanno posto in conflitto con sé stesso.

LA ROAD MAP prevede che la manovra arrivi in aula da giovedì. Dopo la discussione generale si passerà all’esame del ddl, che proseguirà anche il giorno successivo. Il via libera definitivo è stato fissato dalla conferenza dei capigruppo per venerdì 29 entro le 19. Con due concessioni alle opposizioni: non verrà posta la questione di fiducia e le dichiarazioni di voto verranno trasmesse in diretta televisiva. Questo significa che sulla carta il timing è definito e la maggioranza ha tutti gli strumenti per farlo rispettare senza intoppi. Tuttavia, tra le polemiche politiche del momento e i malumori dei centristi della maggioranza dopo il prevalere delle fazioni anti-Ue che hanno condotto a bocciare il Mes, non è detto che non si registri qualche altra sbavatura. Anche perché se il voto sul meccanismo di salvaguardia Ue della settimana scorsa ha confermato una volta per tutte che la campagna elettorale per le europee è già cominciata, l’ala del governo che si riconosce nelle posizioni dei popolari dovrà giocare le sue mosse dopo la sbandata sovranista degli ultimi giorni. Su questo fronte, esattamente nelle ore in cui i deputati sanno impegnati a votare la manovra, la rediviva Giorgia Meloni si presenterà alla conferenza stampa di fine anno precedentemente rinviata per malattia. In quella sede, è la previsione che si fa nei corridoi di Palazzo Chigi, la presidente del consiglio dovrà anche cominciare a rispondere alla domanda che pone il suo destino prossimo legato a quello del voto di giugno: si candiderà alle europee?

NON È UN CASO, per altro, che anche Antonio Tajani e Maurizio Lupi abbiano convocato i cronisti. Per oggi: ufficialmente serve ad annunciare la federazione dei gruppi consiliari di Forza Italia e Noi Moderati nel Lazio. Di fatto sarà l’occasione di esprimere il loro appoggio al loro ministro prima che vada in scena l’audizione a Montecitorio. Questa manifestazione di sostegno, con tutta evidenza, non sarà a costo zero.

 
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L’anno record del caldo si chiude senza inverno. Aria primaverile, poche precipitazioni in Italia e anche nel resto del mondo il Natale non è più bianco. Niente neve vuol dire siccità in estate, ma da noi si pensa agli sciatori sprecando acqua con l’innevamento artificiale di nove piste su dieci

IL RECORD DEL 2023. Ci stiamo adattando ai cambiamenti radicali con piccoli aggiustamenti nei nostri stili di vita individuali, ma senza davvero riflettere sulla crisi in atto. Le emissioni di gas serra continuano ad aumentare e gli impatti su un pianeta che bolle si intensificano, con effetti a catena che non fanno che aumentare la velocità del cambiamento

La scomparsa della luce di Natale Pista per lo sci di fondo vicino a Bayrischzell, nell’alta Baviera - Ap

Nella memoria collettiva la fredda luce di Natale ha da sempre qualcosa di speciale. Non questa volta. Il Natale 2023 lo ricorderemo per le giornate miti, le margherite nei prati e una luce calda lontana dalla bianca atmosfera natalizia. Come per la scomparsa delle lucciole, il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Tra qualche anno, la fredda luce di Natale sarà, come è stato per le lucciole, solo più un «ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta»*.

A livello globale, il 2023 è l’anno più caldo mai registrato. La dettagliatissima analisi sullo stato dei ghiacciai italiani, da poco pubblicata, ci dice che praticamente il 100% dei ghiacciai è in fase di ritiro e la stagione 2022 è stata tra le peggiori mai osservate. Se è vero che in passato, in pieno inverno, si sono osservati eventi simili, è altrettanto vero che questo Natale di “caldo anomalo” si va a sommare a una serie ormai lunghissima di fasi caratterizzate da temperature superiori alle medie. Come sempre, non è l’evento in sé ad essere importante, ma la frequenza e l’intensità con la quale si presenta. Tutto ciò non impedisce di spendere risorse pubbliche per l’innevamento artificiale o, in alcuni casi, anche per nuovi impianti di risalita. Come in un film anni ’80 che si ripete in un eterno presente, non usciamo dalla febbre da cine-panettone.

Ci stiamo adattando ai cambiamenti radicali con piccoli aggiustamenti nei nostri stili di vita individuali, con meno cappotti e più magliette, ma senza davvero riflettere sulla crisi in

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Nemmeno il Natale ferma l’offensiva israeliana, rinvigorita dalla farsa della risoluzione Onu che promette aiuti sufficienti solo a un palestinese su dieci. Guterres: «Mai tanta fame come a Gaza». Betlemme cancella la festa e Netanyahu insiste: andiamo avanti

BETLEMME. Nella città della Natività circondata dall'esercito israeliano sono state annullate tutte le celebrazioni natalizie in solidarietà con Gaza sotto attacco. Previsti solo i riti religiosi

 Un presepe in macerie alla Chiesa della Natività di Betlemme - foto Ap

Dal 7 ottobre Betlemme è una città prigioniera, anche in questi giorni di Natale. Per entrarvi si è costretti a passare, e non è facile, il posto di blocco dell’esercito israeliano nei pressi del villaggio di Khader, a sud di Betlemme. Si resta in coda per un bel po’, anche un’ora all’uscita. Non c’è altro modo di arrivare in auto nella città. Tutti gli altri posti di blocco sono sigillati dal giorno dell’attacco di Hamas nel sud di Israele. Per ragioni di sicurezza, afferma Israele. Per i palestinesi invece è una punizione collettiva che stanno subendo città e villaggi della Cisgiordania. Da Khader si va verso il campo profughi di Dheisheh, quindi si passa per il sobborgo di Doha, poi all’incrocio grande di Beit Jala finalmente si svolta verso Betlemme. Giunti in città si capisce subito quanto forte sia il dolore dei palestinesi per i 20mila morti di Gaza e per l’offensiva israeliana che dura da quasi 80 giorni. E che i paesi occidentali, o gran parte di essi, lasciano continuare sebbene a pagare il conto più alto in vite umane, distruzioni e sofferenze siano i civili, a cominciare da donne e bambini.

Di solito a dicembre la piazza della Mangiatoia, davanti alla Chiesa della Natività, ospita un enorme albero di Natale, gli addobbi decorano e arricchiscono negozi, locali, hotel e ristoranti. E un nutrito programma di concerti, cortei e spettacoli natalizi anticipano e seguono l’ingresso a Betlemme del Patriarca latino (cattolico) che a mezzanotte notte officia la tradizionale messa di Natale. Riti e celebrazioni che si ripetono giorni dopo per il Natale degli Ortodossi. Manca poche ore al Natale e le strade e i cortili di Betlemme sono in gran parte vuoti. Le Chiese di tutta la Palestina hanno annunciato la cancellazione delle festività in un’espressione di unità con Gaza, limitando le attività di questo periodo alle preghiere. «Quest’anno non ci sono festeggiamenti, ma solo riti religiosi ed è giusto così, perché come si fa a gioire del Natale mentre dentro di noi crescono tristezza e amarezza per l’uccisione di tanti innocenti a Gaza, di così tanti bambini», ci spiega Nabil Giacaman, proprietario di un noto negozio di souvenir nella piazza della Mangiatoia e membro di una delle famiglie cristiane più importanti di Betlemme. Davanti al suo negozio, nella piazza, passano poche persone, in buona parte poliziotti dell’Autorità Nazionale.

Di fronte, sull’edificio del Centro turistico, sventolano

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MANOVRA. Una legge di bilancio rinunciataria, iniqua e inadeguata è passata ieri al Senato dove il governo ha posto la fiducia su un maxiemendamento: 112 sì, 76 no. Entro il 29 dicembre sarà votata dalla Camera. Nel Milleproroghe allo studio una soluzione ad hoc per il Superbonus. Tagli alla spesa, guerra ai poveri, rimedi non strutturali al calo dei salari, fondi all'industria militare mentre i fondi dannosi per l'ambiente restano

Passa al Senato una legge di bilancio iniqua e inadeguata La presidente del Consiglio Meloni con il ministro dell'Economia Giorgetti - Ansa

Una legge di bilancio rinunciataria, iniqua e inadeguata è passata ieri in prima lettura al Senato dove il governo ha posto la fiducia su un maxiemendamento: 112 sì, 76 no, 3 astenuti. Entro il 29 dicembre il disegno di legge sarà votato dalla Camera. L’esito è scontato. Anzi, blindato. Il rito ragionieristico che ha rivelato sempre più i limiti di quella che dovrebbe essere la legge economica più importante, quest’anno è stato peggiorato dalla richiesta di non presentare emendamenti fatta dalla presidente del Consiglio Meloni alla propria maggioranza. Richiesta coerente con lo svuotamento della democrazia parlamentare e allineato con il crescente autoritarismo che dovrebbe culminare con la riforma del “premierato”, almeno nelle intenzioni di Meloni. Tuttavia le modifiche alla manovra ci sono state. Le ha apportate il governo con quattro emendamenti. E gli stessi relatori di maggioranza.

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Una legge di bilancio scritta sulla sabbia in un’economia di guerra

È stata la manovra che mantiene per il secondo anno circa 100 euro in più per le buste paghe di chi ha redditi fino a 27.500 euro lordi finanziati attraverso una riduzione delle tasse (cuneo fiscale, Irpef). L’importo andrà di nuovo rifinanziato l’anno prossimo quando entrerà in vigore il nuovo patto di stabilità Ue che potrebbe rendere difficile rinnovare il bonus un’altra volta.

La riduzione delle tasse è stata pagata con un maggiore deficit pari a circa 17 miliardi, finanziarti da tagli alla spesa (8,6 miliardi) e da maggiori entrate (8,5). Dunque, saranno i contribuenti a pagare l’integrazione salariale decisa in mancanza del rinnovo sistematico e massiccio dei contratti nazionali. Non solo. Dovranno pagare anche i ministeri (meno 5%) e gli enti locali per i quali il governo ha previsto tagli lineari da 600 milioni all’anno per i prossimi tre. Ci sono i tagli al servizio civile (200 milioni), alla disabilità (350 milioni), alla cooperazione allo sviluppo (700 milioni) e all’ambiente (280 milioni). E aumentano le spese militari di un miliardo. I sussidi alle industrie fossili restano: 22,8 miliardi all’anno. Due voci che restituiscono il profilo politico dell’estrema destra al governo. Infine c’è anche un piano triennale di privatizzazioni da 22 miliardi: un autentico miraggio. Tutto è pronto per la prossima austerità che il governo ha firmato nel nuovo patto di stabilità dal prossimo anno. E per l’economia di guerra.

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Patto Ue, il vestito nuovo dell’austerità: più spesa per le armi

È stata la manovra della guerra ai poveri. L’abolizione del “reddito di cittadinanza”, sostituito da due misure diverse per una platea più ridotta, ha portato a un taglio da 8 miliardi e 700 milioni a 7 miliardi e 76 milioni all’anno, con un “risparmio” di 1 miliardo e 700 milioni per una misura che conferma l’impostazione workfarista precedente e peggiora la condizione dei “poveri” definiti “occupabili”: per ricevere un sussidio tagliato a 350 euro dovranno fare corsi di formazione, sempre che partano. E, quando partano, non è detto che saranno pagati, come sta accadendo in molte regioni (l’ultima denuncia è stata presentata dalla Cgil in Toscana). Dunque, alla manovra risparmia sui poveri “inabili al lavoro” (l’assegno di inclusione durerà sei mesi in meno) e su quelli “abili” ai quali il sussidio è già mediamente ridotto. Patetica, ma ideologicamente efficace, è stata la spiegazione di questo odio contro i poveri: il mercato del lavoro è in ripresa perché è stato eliminato il sussidio che aveva il nome sgradito da chi lo ha definito “metadone di stato”. Non dicono, questi manutengoli della menzogna, che tale mercato cresce per il lavoro precario, e non perché gli “occupabili” sono tornati sul mercato. In gran parte, infatti, queste persone sono lontane dal mercato del lavoro da anni.

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I pasticci sulle pensioni dei medici non fermano gli scioperi

È stata la manovra che ha reso più difficile andare in pensione anticipata per diverse categorie del lavoro pubblico. Medici e infermieri hanno scioperato tre volte in un mese, e torneranno a farlo a gennaio. Pochi motivi di soddisfazione per loro che saranno costretti a lavorare fino a 70 anni per diminuire la sfociata ai contributi. Per finanziare una vera e propria misura di austerità un emendamento del governo ha previsto un taglio al fondo sanitario nazionale da 3 miliardi dal 2033 per i dieci anni successivi. Una decisione che acuisce la crisi del settore finanziato dal governo con 3 miliardi supplementare, gli stessi che taglierà tra dieci anni.

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Sulle pensioni c’è anche il ritorno a Quota 103, ma con penalizzazioni: restano i 62 anni d’età e 41 di contributi, ma l’assegno sarà ricalcolato con il metodo contributivo e con un tetto massimo mensile di circa 2.250 euro. Secondo le stime, consentirà la pensione anticipata a 17mila persone nel 2024. Confermata l’Ape sociale ma sale il requisito (63 anni e 5 mesi). Anche Opzione donna subisce una nuova stretta: l’età minima sale da 60 a 61 anni, con uno sconto di un anno per figlio fino a un massimo di due.

È stata la manovra che ha dirottato 1,6 miliardi di euro dal fondo coesione e sviluppo di Sicilia (1,3 miliardi) e Calabria (300 milioni) finanziare la quota parte a carico de(1,3 a carico  la mega-opera delle destre italiane, ora cara al ministro Salvini. Ed è stata la manovra che ha fatto finta di tassare gli extraprofitti delle banche.

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Un’altra manovra è possibile, quella di Meloni è una «leggina» iniqua e sbagliata

È stata la manovra che lascia senza una soluzione il rebus Superbonus. Nel decreto Milleproroghe Forza Italia otterrà una proroga ad hoc. “Non è che noi viviamo su Marte – ha detto il ministro dell’economia Giorgetti – ma abbiamo anche i numeri. Abbiamo un problema di tenuta dei conti pubblici da cui poi facciamo dipendere le decisioni”.

Il voto  in aula si è svolto ieri mentre un penoso dibattito ha incrociato le valutazioni   sulla manovra, sul Mes e sul patto Ue di stabilità. Tra tutti va segnalato lo scambio sull’eredità del berlusconismo «postumo» e il Mes tra Matteo Renzi e Maurizio Gasparri. Quest’ultimo si è lasciato sfuggire un «vaffa». Chissà se andranno alla Var

 

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