A freddoPeggiorano le condizioni degli ospedali palestinesi bersaglio dei raid aerei israeliani. Ieri 46 palestinesi morti sotto le bombe
Un edificio distrutto a Khan Yunis – AP/Abdel Kareem Hana
Aveva solo quindici giorni ed era avvolto in una piccola coperta quando il giornalista Islam Bader ha filmato il suo corpo senza vita. Dell’ultimo neonato morto a Gaza, in serata non era ancora noto il nome. Si è saputo soltanto che era uno degli undici membri della famiglia Kallab sterminata da una bomba israeliana che ha centrato in pieno un edificio a Sheikh Radwan, un sobborgo di Gaza city. Poco prima un altro bombardamento a ridosso della presunta «zona sicura» di Mawasi (Khan Yunis) aveva ucciso 20 persone, tra cui cinque bambini. Non sono al sicuro anche i minori in Cisgiordania. Un drone israeliano ha ucciso due bambini, Hamzeh e Rida Bsharat, di 10 e 8 anni, oltre al 23enne Adam Bsharat, nel villaggio di Tammoun. Le forze armate dello Stato ebraico dicono di aver sparato contro miliziani armati.
Sono 17.500 i minori palestinesi uccisi a Gaza dal 7 ottobre 2023. Almeno 74 sono morti nei primi sette giorni dell’anno in attacchi notturni a Gaza City, Khan Younis e Al Mawasi, denunciava ieri l’Unicef, l’agenzia dell’Onu per l’infanzia. «Per i bambini di Gaza, il nuovo anno ha portato più morte e sofferenza a causa di attacchi, privazioni e per il freddo. Troppi bambini sono stati uccisi o hanno perso i propri cari nel tragico inizio del nuovo anno», ha denunciato Catherine Russell, direttrice generale dell’Unicef, ricordando che più di 1 milione di minori vive in tende di fortuna e che otto neonati sono morti per ipotermia.
Neppure gli ospedali, o ciò che resta di essi dopo un anno di assedio, possono aiutare i bambini. Il carburante è terminato. L’ospedale Nasser di Khan Yunis, il più importante nel sud di Gaza, ha bisogno ogni giorno di 5.500 litri di gasolio per tenere in funzione i generatori. Ieri è stato costretto a concentrare l’elettricità disponibile solo nel reparto di terapia intensiva e per tenere accesi i respiratori, le macchine per la dialisi e sale operatorie.
Gli ospedali di Gaza sono diventati «trappole mortali. Le famiglie sono distrutte, i bambini muoiono congelati, la fame sta accorciando le loro vite», ha scritto su X l’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi e che Israele, anche attraverso due leggi che entreranno in vigore a fine mese, intende bloccare fino a spingerla a lasciare i Territori occupati. Ieri il sito internazionale d’informazione Axios ha riferito che funzionari del Dipartimento di Stato americano hanno avvisato il team di transizione dell’Amministrazione Trump che le intenzioni di Israele nei confronti dell’Unrwa provocheranno una catastrofe. Inutile farsi illusioni, il nuovo presidente non farà nulla per salvare l’Unrwa, la più importante delle organizzazioni dell’Onu a Gaza. Proprio Trump decise, durante il suo primo mandato, tra il 2016 e il 2020, di tagliare i finanziamenti Usa dall’agenzia umanitaria in accordo con il premier israeliano Netanyahu. L’espulsione dell’Unrwa da Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est, che Israele accusa di essere una «organizzazione terroristica», è un obiettivo che Trump e Netanyahu proveranno di nuovo a raggiungere subito dopo l’insediamento del tycoon alla Casa Bianca.
Non hanno e non avranno vita facile anche le altre agenzie dell’Onu, ammonisce il capo degli aiuti di emergenza dell’Onu, Tom Fletcher che parla di una «pericolosa tendenza al sabotaggio» della distribuzione degli aiuti umanitari. Dopo aver elencato gli ultimi attacchi israeliani a convogli carichi di cibo, Fletcher avverte che: «nonostante la nostra determinazione a fornire cibo, acqua e medicine ai sopravvissuti, i nostri sforzi per salvare vite umane hanno raggiunto il punto di rottura. Intanto le rigide condizioni meteorologiche invernali peggiorano la situazione già catastrofica».
Continua a parlare di accordo di tregua a Gaza a portata di mano il segretario di Stato uscente Blinken, ma ieri dalle prime ore del giorno si è assistito solo a un’intensificazione degli attacchi israeliani, soprattutto a Gaza city, che è stata l’epicentro di continui raid aerei. Un attacco, riferiva ieri Al Jazeera, ha preso di mira un gruppo di persone uccidendone almeno cinque. Almeno 46 palestinesi sono stati uccisi ieri in tutta la Striscia, 31 nel nord.
Il mancato accordo di tregua sta avendo effetti letali anche per gli ostaggi a Gaza. Ieri l’esercito israeliano ha trovato il corpo senza vita di Yosef Al-Zayadna e resti umani quasi certamente del figlio Hamza in un tunnel di Rafah, nel sud di Gaza, oltre ai cadaveri di due militanti di Hamas. Entrambi palestinesi beduini con cittadinanza israeliana, padre e figlio erano sulla lista di 34 ostaggi che il movimento islamico si è detto disposto a liberare. Sono 98 i sequestrati a Gaza – in vita o morti – 460 giorni dopo il 7 ottobre 2023, quando Hamas ha lanciato un attacco nel sud di Israele.
Anche cose buone Il rientro in Italia della giornalista, accolta a Ciampino dalla premier e dall’emozione dei suo cari. Poi il podcast: «Ciao, sono tornata». Finalmente a casa, dopo venti giorni di prigionia a Evin. Una psicologa sul volo. E tre ore dai Ros all’arrivo
L’incontro di Cecilia Sala con il suo compagno sulla pista dell’aeroporto di Ciampino – LaPresse
C’è un gesto che racconta l’esplosione di emozioni dopo venti giorni di apprensione e paura. Mentre Cecilia Sala si affretta ad abbracciare il padre dopo aver salutato il compagno, la madre della giornalista resta un passo indietro, sembra che trattenga il fiato fino al momento in cui la ragazza l’attira a sé. A quel punto la donna chiude gli occhi e respira forte, a bocca aperta, come se quell’aria fosse la tonnellata di brutti pensieri maturati in brevi telefonate che i giornali traducevano in «fate presto», nelle notti insonni a cui seguivano le richieste di intervista e l’invito al silenzio del governo. Per un istante sembra davvero che in quel sospiro Elisabetta Vernoni sia «nata di nuovo», come aveva dichiarato non appena aveva appreso che la figlia stava viaggiando verso l’Italia.
L’abbraccio dei genitori (foto LaPresse)
DAL PRIMO POMERIGGIO al terminal dei voli privati dell’aeroporto romano di Ciampino si riempie di giornalisti. I cameramen si litigano le postazioni giudicate migliori per
Lo annuncia Palazzo Chigi in una nota: "È decollato pochi minuti fa, da Teheran, l'aereo che riporta a casa la giornalista Cecilia Sala"
È decollato pochi minuti fa, da Teheran, l'aereo che riporta a casa la giornalista Cecilia Sala. Grazie a un intenso lavoro sui canali diplomatici e di intelligence, la nostra connazionale è stata rilasciata dalle autorità iraniane e sta rientrando in Italia. Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, esprime gratitudine a tutti coloro che hanno contribuito a rendere possibile il ritorno di Cecilia, permettendole di riabbracciare i suoi familiari e colleghi.
«Vaffanculo non è caduto», «Chiudilo chiudilo che cade, nooooo merda non è caduto», «Ha perso il casco». Sono le frasi choc dell’inseguimento di una gazzella dei carabinieri a uno scooter […]
Morte di Ramy, il video del Tg3
«Vaffanculo non è caduto», «Chiudilo chiudilo che cade, nooooo merda non è caduto», «Ha perso il casco». Sono le frasi choc dell’inseguimento di una gazzella dei carabinieri a uno scooter in fuga per le vie di Milano. A bordo c’è Ramy Elgaml, 19 anni, e il suo amico Fares Bouzidi, 22 anni, alla guida. È la sera del 24 novembre 2024 e le immagini vengono dall’auto delle forze dell’ordine. Le ha pubblicate ieri per la prima volta corredate di audio il Tg3. La folle corsa, di oltre 8 km, si conclude con il motorino che finisce a terra incalzato dalla volante: Ramy morirà di lì a poco, incendiando la rabbia del quartiere Corvetto perché, gridavano i manifestanti, «l’hanno investito, l’hanno ammazzato». Nel registro degli indagati, per diverse ipotesi, ci sono al momento Bouzidi e tre carabinieri.
Follower «Non vedo l’ora» di lavorare con il presidente. E gli regala tre miliardi di utenti Facebook
Mark Zuckerberg durante una conferenza per gli sviluppatori di Facebook a San Francisco – Eric Risberg/Ap
Anche Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook e amministratore delegato di Meta, sale sul carro di Donald Trump e Elon Musk. Lo ha spiegato con un video di cinque minuti in cui ha annunciato una svolta editoriale e politica per Facebook, Instagram e Threads, i social network controllati dal gruppo. Meta smantellerà il reparto aziendale incaricato di impedire la diffusione di notizie false sulle piattaforme. Lo stesso Zuckerberg ha ammesso che il modello da seguire adesso è Musk: «D’ora in poi faremo a meno dei fact-checkers e, come ha fatto X/Twitter, li sostituiremo con l’algoritmo Community Notes», che affida agli utenti stessi la segnalazione di contenuti poco affidabili. «I fact-checkers erano troppo orientati politicamente, invece di aumentare la fiducia degli utenti l’hanno distrutta» ha spiegato. Inoltre non saranno più oscurati i contenuti che riguardano temi delicati come immigrazione e genere.
NEL MIRINO c’è la cosiddetta ideologia woke, «un movimento nato per l’inclusione usato sempre più spesso per mettere a tacere le persone e le opinioni» come si direbbe su Rete 4. D’ora in poi il team dedicato alla moderazione di Instagram, Facebook and Threads interverrà solo sui contenuti illegali e sulle violazioni più gravi del codice etico di Facebook. Per metterlo a suo agio, il team sarà trasferito dalla California liberal al repubblicano Texas, dove c’è «meno interesse intorno al suo orientamento politico».
Altro dietrofront: dopo anni in cui gli algoritmi ne hanno penalizzato la visibilità, i post a tema politico torneranno a circolare sui social targati Meta: «Adesso – ha spiegato Zuck – la gente ne vuole ricevere di più». Quale sia la politica gradita diventa esplicito alla fine del messaggio: «Lavoreremo con il presidente Trump per respingere i governi che premono per una censura più forte» dice il capo di Meta riferendosi all’Europa ma anche l’amministrazione Biden. «Negli ultimi quattro anni, anche il governo statunitense ha fatto pressione per una maggiore censura, e in questo modo ha incoraggiato anche altri governi a farlo. Ma ora abbiamo l’opportunità per ripristinare la libera espressione e non vedo l’ora di coglierla».
IL NEO-PRESIDENTE non avrebbe potuto chiedere di più. Finora per veicolare i suoi messaggi strampalati poteva contare sul
Turchia La delegazione del partito turco di sinistra Dem, che a fine dicembre ha fatto visita al fondatore del Pkk Abdullah Ocalan in carcere, ha incontrato ieri alti rappresentanti del partito […]
Recep Tayyip Erdogan
La delegazione del partito turco di sinistra Dem, che a fine dicembre ha fatto visita al fondatore del Pkk Abdullah Ocalan in carcere, ha incontrato ieri alti rappresentanti del partito di governo Akp.
Un ulteriore passo verso un dialogo difficile ma necessario alla questione curda. Nelle stesse ore il presidente turco (e leader dell’Akp) Erdogan ha alimentato i timori nel nord est della Siria e nella sua Amministrazione autonoma che al Pkk si ispira: sono pronto, dice, a intervenire per prevenire la disintegrazione della Siria.
Il riferimento è alle Forze democratiche siriane che dalla caduta di Assad sono tornate pesantemente nel mirino delle bande jihadiste alleate di Ankara. «L’eliminazione del Pkk/Ypg è solo una questione di tempo», ha aggiunto il ministro degli esteri Fidan.