Nella foto: Le forze di sicurezza schierate per reprimere la protesta dei sostenitori del Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI) dell’ex primo ministro pakistano Imran Khan incarcerato a Islamabad via Getty Images
Oggi un Lunedì Rosso dedicato alle mura.
Restano disabitate per ora quelle dei centri per il rimpatrio in Albania, torna a casa infatti la gran parte del personale impiegato per l’operazione governativa dai costi ingenti che per ora resta quindi sospesa.
Sono troppo affollate invece le mura delle carceri e degli istituti per minori, da qui arrivano le voci dei ragazzi e delle ragazze in cerca di un futuro possibile.
Diventano invece una merce di lusso le mura delle case, con il mercato degli affitti brevi che ha eroso il diritti all’abitare, le associazioni scrivono una lettera contro l’inclusione di Airbnb dalle discussioni sullo sviluppo dei comuni.
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Tavares si è dimesso ++
Dimissioni sono state accettate dal consiglio di amministrazione
(ANSA) - TORINO, 01 DIC - L'amministratore delegato di
STELLANTIS, Carlos Tavares - secondo quanto si apprende - si è
dimesso. Il manager ha presentato le dimissioni e il consiglio
di amministrazione le ha accettato. (ANSA).
Per la Palestina Alla manifestazione nazionale oltre 20mila chiedono la pace a Gaza e in tutto il Medio Oriente
Roma, alla manifestazione nazionale per la Palestina – Ansa
«Togliti la benda» se non vedi la Palestina, dice una canzone che ha risuonato ieri per le strade di Roma. Impossibile, per oltre 20mila persone scese in piazza per la manifestazione nazionale, ignorare la distruzione di Gaza. Un corteo che attraversa età ed etnie, e non a caso compie i suoi primi passi da piazza Vittorio Emanuele II, uno dei crocevia culturali della capitale. Da ogni negozio, bar, pizzeria si affacciano le teste e le bandiere dei residenti del quartiere, contenti di dare il via alla marea solidale da quella che è diventata casa loro. «Siamo riusciti a trovare la nostra unità per dire no alla politica dei governanti dell’estrema destra israeliana, che rappresenta un serio pericolo per l’intera umanità», ha detto al manifesto Yousef Salman, responsabile della comunità palestinese di Roma e del Lazio.
Questa volta insieme, l’associazione palestinesi d’Italia (Api), la comunità palestinese, i giovani palestinesi d’Italia (Gpi), il movimento studenti palestinesi (Msp) e l’unione democratica arabo-palestinese (Udap) hanno raggiunto piazza di porta San Paolo, passando per via Merulana, via Labicana, piazza del Colosseo. «Basta colonialismo» sopra al disegno di una catena spezzata, «ci servono più aule e non più bombe», bandiere della pace, del Libano e della Palestina, foto di giovani donne palestinesi: «Free Layan Kayed Baraa», «free Jamal Karama». Innalzata la bandiera della Palestina anche di fronte la sede della Fao (Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura). Ci sono, tra gli altri: il gruppo dei Sanitari per Gaza, Assopace Palestina, il Movimento migranti e rifugiati di Napoli, Potere al popolo, l’Usb, la rete dei comunisti, opposizione studentesca alternativa.
«Eni e Leonardo sono sempre più presenti nei nostri atenei, stanno guadagnando dal genocidio in Palestina e sulle guerre e i disastri ambientali di tutto il mondo», dice la portavoce dei collettivi studenteschi auto-organizzati di Napoli, Padova e Torino. «Non cederemo un euro, una scuola, un’università al profitto ecocida e genocida». E dello stesso avviso è Cambiare rotta, l’organizzazione studentesca coinvolta nelle occupazioni romane degli ultimi giorni. «Il governo che taglia fondi alla scuola e alla ricerca è lo stesso che ha destinato 34 miliardi della finanziaria 2025 alle spese militari», spiega Leonardo, uno degli studenti. «Sappiamo che le università israeliane sono completamente coinvolte sia nel genocidio che nell’occupazione illegale», dice al manifesto un ricercatore del Cnr, occupato, anche quello, il 28 novembre. Circa 4mila i lavoratori precari del Centro, «ma i soldi vengono investiti per le armi».
Dal quartiere San Lorenzo arriva il gruppo degli internazionalisti per la Palestina libera, da quello del Quadraro il gruppo locale di Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia), che contesta la mancata adesione della sezione nazionale: «Come possiamo non esserci a una manifestazione contro il genocidio, proprio noi?». Una piazza per musulmani, cristiani, ebrei, non credenti nella definizione di Mohammad Hannoun, presidente dell’Api, che ha recentemente ottenuto un foglio di via da parte del comune di Milano per «istigazione all’odio». Uccisi nei campi di concentramento alcuni familiari di Raffaella Bolini, vicepresidente nazionale di Arci: «Ecco perché sono sempre stata al fianco della causa palestinese».
Da Maurizio Acerbo di Rifondazione comunista arriva l’appello agli assenti, e alla senatrice Liliana Segre: «Si unisca a noi nel chiedere di fermare il massacro di uomini, donne, bambini, anziani». E poi: «Con sentimenti di pace e amicizia – quelli che hanno animato la piazza – possiamo dire che il più grande produttore di antisemitismo oggi è proprio Israele».
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Aleppo è in mano ai jihadisti. I miliziani sostenuti dalla Turchia approfittano dei colpi inferti dai raid israeliani all’esercito siriano e all’alleato Hezbollah. A difesa della città solo jet russi e forze curde. Civili in fuga, la Siria ripiomba in una guerra mai finita. Voci di golpe a Damasco
Siria Esercito siriano in ritirata, unico freno i raid russi e le forze curde. Voci di golpe a Damasco: scontri in strada, Assad fuori dal paese. A Tel Aviv si ritiene che proprio i raid israeliani abbiano favorito i disegni turchi e dei jihadisti. Riappare al Julani, leader qaedista che parla di «liberazione», ma a Idlib ha istituito un regno del terrore
Civili siriani in fuga da Aleppo – Getty Images/Rami Alsayed
Era un quadro fluido, suscettibile di sviluppi rapidi e drammatici, quello che arrivava ieri dalla Siria. In serata si sono diffuse voci senza controllo di un colpo di stato in atto a Damasco, quindi di scontri a fuoco tra unità dell’esercito e infine di Bashar Assad che avrebbe abbandonato il paese per rifugiarsi a Mosca.
Questo mentre i media governativi siriani riferivano delle dichiarazioni del presidente sulla Siria che «continua a difendere la propria stabilità e integrità territoriale contro tutti i terroristi e i loro sostenitori ed è capace, con l’aiuto dei suoi alleati e amici, di sconfiggerli ed eliminarli». Assad avrebbe anche parlato con il premier iracheno Al Sudani, secondo l’agenzia Al-Ikhbariyah.
Di certo c’è che 400 chilometri quadrati di territorio e buona parte di Aleppo, la seconda città del paese e la più importante economicamente, sono ora sotto il controllo delle forze jihadiste filo-turche che fanno capo a Hay’at Tahrir al Sham – l’ex Fronte al Nusra, il ramo siriano di Al Qaeda – dopo il crollo delle forze governative apparse oltremodo deboli.
QUI I MILIZIANI – tra i quali anche jihadisti giunti dal Caucaso, dall’Asia centrale e anche uiguri dello Xinjang – hanno preso ieri in meno di un’ora Tayibet al Imam e una decina di villaggi mettendo in fuga il personale amministrativo del governo, senza incontrare resistenza. Appare evidente che il ritorno in Libano nei mesi scorsi di gran parte dei combattenti di Hezbollah, poi schierati contro Israele, e lo spostamento verso il confine orientale tra Siria e Iraq delle formazioni armate filo Iran, hanno lasciato da solo l’esercito governativo che appare troppo debole e demotivato per affrontare una minaccia militare ben armata, equipaggiata e preparata forse per mesi.
Sulla strada Khanaser-Athriya, intanto, un fiume di auto di siriani che scappano dai
Commenta (0 Commenti)Colloquio in esclusiva con il presidente palestinese: sul tavolo i temi caldi in Medio Oriente e proposte per Gaza e superare le tensioni nell’area. In visita a dicembre a Roma il 12 e il 13 dicembre
In una intervista in esclusiva ad Avvenire, che sarà pubblicata sul giornale nella sua versione integrale, il presidente palestinese Mahmoud Abbas affronta i temi caldi in Medio Oriente e lancia alla Comunità internazionale una serie di proposte per affrontare la Guerra a Gaza e superare le tensioni nell’area. Si tratta delle prima intervista concessa da “Abu Mazen” dopo il 7 ottobre 2023. Il 12 e 13 dicembre Abbas si recherà in Italia per incontrare Papa Francesco, il presidente Sergio Mattarella, e il capo del governo Giorgia Meloni.
Il mandato di cattura per Netanyahu
«Mi auguro che in esecuzione del mandato della Corte penale internazionale Benjamin Netanyahu venga presto arrestato e si possa rapidamente riprendere un percorso di pace. Non siamo solo noi ad augurarcelo ma anche tanti cittadini israeliani stufi del loro governo estremista e desiderosi di vivere in pace».
L’elezione e la telefonata con Donald Trump
«Trump vuole la pace. Semmai il problema è che fra chi gli sta accanto c’è chi non la vuole. Lui ascolta gli israeliani, ma ascolta anche noi. Dopo che ha vinto le elezioni, gli ho parlato a lungo. È stata una conversazione molto positiva. Abbiamo parlato come tra due amici. Nel precedente mandato, ogni volta che ci siamo incontrati, ci siamo trovati d’accordo su tutto. Trump ha un buon rapporto con l’Arabia Saudita, e noi ugualmente, condividiamo molto con Riad ed apprezziamo la loro mediazione».
I rapporti con i Paesi Arabi e il possibile accordo tra Arabia Saudita e Israele
«L’Arabia Saudita ha ripetutamente manifestato la propria visione per raggiungere la pace in Medio Oriente ed essa implica il riconoscimento dello Stato palestinese. Quest’ultimo è già riconosciuto dalle Nazioni Unite. I palestinesi si impegneranno a raggiungere la propria indipendenza una volta concluso un accordo con gli Usa».
Il ruolo e il piano presentato al Papa dall’ex premier israeliano Ehud Olmert
«Una volta eravamo da soli io e il premier Olmert. E mi chiese: "Vogliamo fare accordi di pace con i Paesi arabi, voi siete d’accordo?". Si trattava, mi spiegò, di una intesa tra la Siria ed Israele, mediato dai turchi. Risposi che certamente non avevamo niente in contrario. "Allora devi aiutarmi – aggiunse – perché Bush jr. è contrario alla pace di Israele con la Siria". Andai ad incontrare Bush e lo convinsi dell’opportunità che offriva Ehud Olmert e, così, le trattative proseguirono. Poi purtroppo vi fu l’incidente coi turchi della “Freedom Flotilla” (nel 2010 una flottiglia di piccole navi di attivisti pro Palestina partite dalla Turchia per portare aiuti umanitari a Gaza venne intercettata dalle forze speciali israeliane che uccisero 9 attivisti, ndr). E così le trattative si interruppero in seguito al ritiro dei mediatori turchi. È una storia che non ho mai raccontato ma che la dice lunga sulle grandi potenzialità di un approccio negoziale».
Il ruolo dell’Italia
«Ringraziamo il governo amico italiano e il popolo italiano e per il suo sostegno nel raggiungimento della pace in conformità alle leggi internazionali, nel rispetto dei diritti legittimi del popolo palestinese. Apprezziamo molto il gesto generoso dell’Italia nell’aiutare numerosi bambini rimasti feriti in seguito all’aggressione israeliana».
L’amicizia con Papa Francesco e la gratitudine alla Santa Sede
«Non vedo l’ora di incontrare il Papa. Per me è un amico – ripeterà più volte nel corso del lungo colloquio –. Non posso scordare quell’evento storico che ha promosso in Vaticano quando ha chiamato, per la prima volta nella storia insieme, noi, i musulmani, gli ebrei e i cristiani a piantare nei suoi giardini un albero di ulivo per la pace. Accogliamo ogni giorno il suo invito a pregare l’unico nostro Dio per lui».
Commenta (0 Commenti)Il limite ignoto Il piano di Kellogg, il mediatore scelto da Trump per risolvere la guerra in Ucraina, porrebbe i belligeranti di fronte a un aut aut
La centrale elettrica Dtek in Ucraina – Evgeniy Maloletka/Ap
Finirla con l’invio di armi o inviarne molte di più. Il piano per interrompere la guerra in Ucraina elaborato da Keith Kellogg, l’uomo scelto da Trump per la tregua in Europa dell’est, e dall’ex analista della Cia, Fred Fleitz, è a dir poco amletico. Nel documento presentato al tycoon lo scorso aprile, dal titolo America first, Russia and Ukraine, i due funzionari hanno proposto di porre fine alle ostilità interrompendo del tutto le forniture di armi a Kiev se quest’ultima non accetterà di sedersi al tavolo negoziale, oppure di inviare una pioggia di armi all’esercito di Zelensky se fosse il Cremlino a rifiutarsi di trattare.
La scelta di Kellogg come mediatore ufficiale della prossima amministrazione statunitense riporta in auge un progetto che sembrava superato dai recenti avvenimenti bellici ma che, invece, Donald Trump non disdegnerebbe. D’altronde Kellog e Fleitz hanno entrambi ricoperto il ruolo di capo-gabinetto del Consiglio di sicurezza nazionale durante la prima presidenza del magnate. Nel testo, come ricorda il Guardian, si condannano in toto le scelte di politica estera di Biden usando un linguaggio caro a certa destra complottista. Si biasima l’attuale inquilino della Casa bianca per aver anteposto «le agende idealistiche delle élite globali a una relazione fruttuosa con la Russia», il che non ha determinato altri risultati se non quello di rendere «Mosca nemica degli Usa» e di spingerla «nelle braccia della Cina» oltre ad aver portato allo «sviluppo di un nuovo asse Russia-Cina-Iran-Corea del Nord». Tutto sbagliato, dunque, tutto da rifare. Perché il nemico vero non è Putin, come ha sostenuto più volte il vice di Trump, JD Vance, ma Pechino.
Per questo lo stesso Vance aveva elaborato un piano più diretto per la fine della guerra: costringere l’Ucraina a trattare a partire dalle attuali posizioni sul campo di battaglia, lasciare alla Russia i territori occupati e non fornire alcuna garanzia di sicurezza a Kiev. In caso di mancato assenso da parte di Zelensky ci sarebbe stata l’interruzione totale e immediata delle forniture di armamenti. Alcuni analisti hanno definito questa opzione «congelamento del conflitto» riferendosi al mantenimento dello status quo territoriale senza modificare i confini ufficiali dei due belligeranti. Un aut aut al quale Zelensky non poteva dare il suo consenso, è ovvio, ma che in fin dei conti non si curava dell’opinione del carismatico capo di stato. L’Ucraina si adeguerà perché altrimenti non esisterà più alcuna Ucraina, lasciano intendere i cosiddetti “falchi” trumpiani. Ed è evidente che al Cremlino si fregassero le mani nell’attesa di quel momento in cui da paria dell’Onu e ricercato della Cpi Vladimir Putin sarebbe diventato il vincitore di fatto della guerra. In ogni caso da Mosca continuano a sostenere, almeno ufficialmente, che «il congelamento del conflitto non è una soluzione accettabile» nemmeno per loro.
Ma i due diretti interessati come immaginano il futuro delle rispettive relazioni con la Casa bianca? Incredibilmente sono entrambi d’accordo nell’identificare l’insediamento di Trump come la venuta del messia che si attendeva da 3 anni in Europa orientale. «Putin ora vuole intensificare l’escalation in modo che il presidente Trump non possa avere successo nel porre fine alla guerra» ha dichiarato Zelensky. «Donald Trump è un politico intelligente ed esperto che sarà capace di trovare una soluzione a questa crisi» rilancia Putin. Il fatto è che la famosa imprevedibilità del tycoon, che altro non è se non opportunismo politico allo stato estremo, rende entrambe le visioni plausibili. Blandirlo al momento sembra a Putin e Zelensky il modo migliore per portarlo dalla propria parte. Il motto di Trump è Prima l’America, ma è una sineddoche, l’America nel suo «piano» è lui stesso, tutti gli altri sono comparse a cui di volta in volta si cambia ruolo. I nemici di ieri potrebbero così diventare gli amici di domani e alla fine solo chi ha costruito buoni argini potrà sopravvivere all’esondazione di vanità in stile tardo impero che potrebbe condizionare le scelte di politica estera degli Usa dal 20 gennaio in avanti.
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