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Il premier spagnolo ha tempo fino al 27 novembre per ottenere la fiducia alla camera. Verso la storica accettazione dell’amnistia per il referendum del 1 ottobre

L’ora di Sánchez alle prese col rebus Sumar e catalanisti Il re Felipe VI riceve il primo ministro Pedro Sánchez - Epa

È arrivata l’ora di Pedro Sánchez. Come previsto, e passato con il primo ottobre il sesto anniversario del referendum catalano, il capo dello stato, il re Felipe VI, ha chiesto ieri al leader socialista di trovare gli appoggi per far partire il suo terzo governo.

E GIÀ DAL PRIMO DISCORSO è stata chiara la volontà di costruire una narrazione che, nel caso i negoziati diano i loro frutti, culminerà con la storica accettazione da parte del Partito socialista operaio spagnolo non solo di una amnistia per i fatti dell’uno di ottobre, ma anche in qualche forma e maniera, magari indiretta, dell’idea dell’autodeterminazione del popolo catalano. «Ho dovuto prendere posizioni difficili durante la scorsa legislatura», ha detto Sánchez in conferenza stampa parlando dell’indulto concesso ai leader indipendentisti. «E ho potuto constatare che fu una decisione adeguata per la tutela dell’interesse generale» giacché la situazione in Catalogna si è tranquillizzata moltissimo. E ha assicurato che, «nonostante le conversazioni debbano essere discrete, gli accordi saranno trasparenti».

Ora Sánchez ha tempo fino al 27 novembre per ottenere la fiducia della camera. In molti indicano il mese di ottobre come il limite che si è dato il leader socialista per chiudere i negoziati e affrontare il voto, ma il conto alla rovescia dei due mesi dalla prima sessione di investitura può prolungarsi fino a fine novembre. Convocherà la sessione di investitura «nel momento in cui la situazione sia sufficientemente matura», ha detto la presidente del Congresso Francina Armengol.

IL CAPO DEL GOVERNO ad interim inizierà ufficialmente i colloqui oggi con la leader della piattaforma di sinistra Sumar, Yolanda Díaz, anche se sono in corso da mesi contatti discreti con altre forze politiche, soprattutto Junts, che è la gatta più dura da pelare. Un partito nazionalista conservatore capeggiato dall’ex presidente catalano Carles Puigdemont, sfuggito alla dura giustizia spagnola e che sarebbe uno dei potenziali beneficiari della misura dell’amnistia. E poi con i loro acerrimi nemici, ma alleati tattici, di Esquerra Republicana, che in tutta la legislatura anteriore ha quasi sempre appoggiato il governo Sánchez con i suoi 15 deputati, ma che ora ne ha solo 7, proprio come Junts. Nessuno dei due partiti può permettersi di sembrare più accondiscendente coi socialisti; e lo stesso accade per gli altri due partiti nazionalisti con cui Sánchez deve trovare la quadra: i baschi del Pnv, partito d’ordine e tattica politica, e Eh Bildu, molto più a sinistra.

In tutto questo, Sumar, la cui alleanza è stata sempre data per scontata, ha alzato la testa: Díaz, lunedì, all’uscita dell’incontro con Filippo VI ha detto che «a oggi il Psoe non può contare sui nostri voti». Reclamando che nel negoziato abbiano uno spazio anche le loro proposte.

IN REALTÀ PIÙ CHE IL PSOE, il principale avversario di Díaz è la frammentazione al suo interno. Con un plotone di deputati assai meno incisivi dei loro predecessori di Unidas Podemos: una portavoce, Marta Lois, che nelle due sessioni di investitura fallite non ha convinto, uno sparuto gruppo di deputati di Podemos, completamente silenziato, sempre più irritato, e mille equilibri interni da gestire, Díaz avrà un cammino in salita non solo per la scelta dei pochi ministeri che il Psoe le cederà, ma anche per distribuire i pochissimi nomi senza che le esploda la creatura a cui ha appena dato luce.

Come dice Sánchez, «è l’ora della politica e della generosità». Ma è anche l’ora del redde rationem. E se trascinare Puigdemont e i suoi si rivelerà complicato per Sánchez, riuscire a soddisfare il partito che le ha dato la fama per Díaz si potrebbe rivelare indiavolato

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«Non sei la benvenuta», così gli studenti accolgono Meloni a Torino. La polizia li carica tre volte: cinque feriti. Vietato contestare la premier, venuta a difendere davanti alle regioni i tagli alla sanità. Ma in difficoltà, perché mette la firma sulla bancarotta della salute

Al Festival delle Regioni di Torino la premier in affanno: «Materia difficile, non basta investire se non si spende bene»

La beffa di Meloni : «Il Ssn è una priorità ma i soldi non ci sono» Foto di gruppo per Giorgia Meloni al festival delle Regioni a Torino - Ansa

Come faccia tosta Silvio Berlusconi era impareggiabile. Giorgia Meloni però prova almeno a emularlo. L’uscita di ieri sulla Sanità, nel discorso al Festival delle Regioni di Torino pronunciato mentre fuori dal palazzo la polizia manganellava a volontà, è una vetta. «Sarebbe miope perseguire l’obiettivo comune di una sanità efficiente ed efficace per tutti concentrando tutta la discussione sull’aumento delle risorse. Dobbiamo aver un approccio diverso e concentrarci con coraggio, lealtà e verità su come le risorse vengono spese». Non che abbia torto, per carità. Ma quando i soldi non ci sono spenderli bene è proprio impossibile e non ci sono coraggio e lealtà che tengano.

Ma l’esercizio di alto equilibrismo sulla sanità, come del resto l’intero discorso a tutto campo da Torino, è eloquente. Rivela quanto la premier si senta in difficoltà nonostante i consensi premino il suo partito, l’unico a crescere mentre tutti gli altri perdono decimali. In realtà lo ammette anche lei: «La sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, in un contesto molto complesso, è una materia sempre più difficile da affrontare». Anche in questo caso darle torto sarebbe impossibile: la vera colpa grave del suo governo è aver sprecato un anno tutto sommato ancora facile, o almeno più facile di quelli che verranno, cullandosi nell’inspiegabile illusione che invece le cose si sarebbero fatte più facili.

La premier è tornata anche sulla Nadef ed è stata ancora più chiara del solito: «I margini di manovra sono limitati», naturalmente per colpa dei governi precedenti che avevano fatto «le scelte più facili». Significa che, oltre alla conferma del taglio del cuneo fiscale che per il governo è una bandiera ammainata la quale resterebbe solo la resa, non si potrà fare niente. «Qualche passo avanti se possibile» ma senza farsi illusioni: solo «segnali» e in politica il termine si traduce con quasi niente. Questione di tempo, sia chiaro: «Il vantaggio è che abbiamo un orizzonte di legislatura». Lo svantaggio è che la temperie, stando a segnali e previsioni, sarà più scura e difficile, non più luminosa, mentre si marcia verso quell’orizzonte di gloria.

È SIGNIFICATIVO che il giorno dopo l’intemerata contro la sentenza di Catania, arrivata a livelli mai raggiunti neppure da Berlusconi, Meloni si sia affannata per

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Sul Progetto Aquagreen (acquiringurban resilience against floods and droughts: a novel citizen-powered integrated green& bluesystem) che l’Unione della Romagna faentina ha deciso di candidare al bando europeo EUI_IA Iniziativa Urbana Europea, Azioni Innovative, oggetto anche di consultazioni del Sindaco a Bruxelles e notizia apparsa sulla stampa in questi giorni, interviene il vice sindaco Andrea Fabbri per alcune precisazioni.

andrea fabbri 

“Il progetto – spiega Andrea Fabbri– è ancora in divenire e soprattutto da elaborare nei contenuti, per questo l’Amministrazione ad oggi non aveva dato alcuna comunicazione ufficiale né a mezzo stampa, né tanto meno ai cittadini e ai loro rappresentanti, a partire dai comitati, in quanto, nonostante sia una bellissima e importante opportunità non rappresenta certamente una priorità rispetto alle emergenze ancora in atto. Le notizie uscite a mezzo stampa immaginiamo siano figlie della delibera passata in giunta Unione, quale passaggio formale indispensabile per poter candidarsi al Bando, in cui sono riportate alcune linee guida generali del bando, poi riprese dagli organi di comunicazione”.

“L’Ufficio Progettazione Europea infatti ha lavorato in queste settimane in tempi strettissimi per riuscire a candidarlo (la scadenza di presentazione è il 5 ottobre) concentrandosi sul mettere in fila gli aspetti amministrativi e formali, nonché la creazione di un partenariato pubblico privato necessaria per essere ammessi al bando europeo, andando a comporre un gruppo di lavoro composto da Università di Bologna, IUAV-Università di Venezia, Hera Tech, CAE San Lazzaro, Associazione Borgo Durbecco e con il supporto tecnico di ASSO, Agenzia per lo Sviluppo Sostenibile e CON.AMI, in quanto interessata a replicare l’eventuale progetto sugli altri 23 comuni soci del consorzio” prosegue il vice sindaco.

Innanzitutto occorre aver chiari tre aspetti – spiega -. Il progetto messo a punto dall’Unione della Romagna faentina al momento è semplicemente in fase di candidatura al bando che finanzia elaborati con un budget fino a un massimo di 6 milioni di Euro e che riguarda la realizzazione di eventuali intervertenti negli anni avvenire, su cui si rischia di creare aspettative che potrebbero rimanere deluse. In secondo luogo, la fase di progettazione è ancora da sviluppare e le soluzioni da costruire insieme ai cittadini delle aree alluvionate e dai comitati di questi rappresentanti, uno degli obiettivi del bando. È con loro che abbiamo scelto di lavorare, e questo non solo per gli interventi di urgenza e del breve periodo, ma anche sui percorsi per ripensare la sicurezza idraulica del territorio del futuro. Crediamo che il percorso che abbiamo deciso di adottare sia il metodo più anche perché lo stesso bando europeo ha come parte integrante la fase decisionale costruita attraverso i cittadini. Terzo aspetto, il progetto non interessa in alcun modo una alternativa alla messa in sicurezza degli argini e del rifacimento delle reti fognarie, priorità evidenti con costi a carico degli enti pubblici. Se il progetto verrà approvato attingeremo infatti da risorse aggiuntive che diversamente non sarebbero in alcun modo disponibili”.

“L’indicazione generale, da cui è scaturita questa opportunità – prosegue il vicesindaco Andrea Fabbri – è quella di tenere monitorate tutte le possibilità di finanziamento sulla messa in sicurezza del territorio, sfruttando le relazioni instaurate con i tecnici che ogni giorno lavorano sui progetti europei.  Vista la scarsità di risorse oggi disponibili e la necessità di ripensare la città nel medio lungo termine, non possiamo permetterci di perdere nessuna occasione. Il bando è molto più ampio, e ha l’obiettivo di rendere le città più resilienti al caos climatico attraverso soluzioni innovative integrate tra loro”.

EUI_IA Iniziativa Urbana Europea con linee d’azione che in parte si sposano con alcune delle nostre necessità, ci auguriamo che ne possano arrivare altri. Tra gli ambiti di intervento previsti dal bando si è cercato di scegliere interventi che possano essere utile al nostro territorio, in particolare, la progettazione su cui gli enti coinvolti dovranno fare proposte: un sistema tecnologico più̀ rapido ed efficiente di allarme per i cittadini in prossimità̀ di eventi meteo estremi, rendere i suoli urbani maggiormente impermeabilizzati attraverso l’adozione di una pavimentazione innovativa con nuovi materiali e creare infrastrutture verdi verticali, integrati con tetti fotovoltaici per consentire alle pompe idrauliche di operare anche durante i possibili blackout nei nubifragi – spiega Fabbri . Se il progetto presentato dell’Unione della Romagna Faentina dovesse essere ammesso, gli enti e i soggetti interessati dovranno lavorare a proposte innovative in ambito europeo su questi tre temi, che poi sottoporremo ai cittadini e ai loro rappresentanti. Caratteristiche delle proposte progettuali dovranno essere il carattere innovativo e la replicabilità su altre aree della città e su altri comuni. Il bando richiede anche l’obbligo di partner europei, che nel nostro caso sono le municipalità di Michalovce (Slovacchia), Slavonsky Brod (Croazia) e Bielsko-Biala (Polonia). Gli stessi rappresentanti dei cittadini saranno coinvolti anche negli incontri con gli altri partner e nelle visite a esperienze virtuose di altre città

I fenomeni alluvionali di maggio hanno evidenziato problemi e fragilità importanti – conclude – . Ora la priorità è la messa in sicurezza del fiume e dell’intero sistema idraulico, ma per prevenire ulteriori disastri e riprogettare l’ambito urbano ed extra urbano, occorre un approccio altamente innovativo e multidisciplinare, che non pensi solo all’oggi ma guardi al futuro con il coinvolgimento delle migliori professionalità e l’uso delle tecnologie più avanzate attualmente disponibili. Il percorso di partecipazione e confronto con la cittadinanza, ma in futuro anche con le imprese e i consorzi, è invece fondamentale per delineare un progetto condiviso e concreto”

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IO CAPITANA. La premier furiosa su Facebook: «Motivazioni incredibili, aiuta gli arrivi illegali»

La propaganda di Meloni contro la giudice di Catania Giorgia Meloni - La Presse

Si dice «basita», come un personaggio di Boris. Poi ventila l’esistenza di «un pezzo d’Italia che aiuta gli arrivi illegali». E aggiunge: «Non parlo solo della sinistra ideologizzata e del circuito che ha i propri ricchi interessi nell’accoglienza». La premier Giorgia Meloni ha affidato a un post su Facebook il suo attacco diretto alla giudice di Catania Iolanda Apostolico, che sabato ha osato applicare la legge, cioè non ha convalidato il fermo di quattro migranti rinchiusi nel centro di Pozzallo.

MELONI DEFINISCE «incredibili» le motivazioni del provvedimento di Apostolico e cita il passaggio in cui si legge che «le caratteristiche fisiche del migrante, che i cercatori d’oro in Tunisia considerano favorevoli allo svolgimento della loro attività», ma dimentica di dire che la giudice si è limitata a citare le dichiarazioni rese dai ricorrenti, anche perché non è suo compito esprimere giudizi sulle richieste d’asilo, infatti la mancata convalida non trova qui la sua motivazione, ma nella Costituzione e nelle norme europee, che ritengono illegittimo il decreto Cutro là dove sostiene che la provenienza da un paese sicuro – in questo caso la Tunisia – sia un motivo sufficiente a trattenere un migrante.

Meloni poi attribuisce ad Apostolico anche un’altra valutazione che non ha mai fatto, sostenendo che la giudice abbia dichiarato «unilateralmente la Tunisia paese non sicuro (compito che non spetta alla magistratura)». Peccato che anche qui il discorso sia diverso: per la legge i trattenimenti devono basarsi sulla posizione del singolo richiedente e non sul paese da cui è partito. Che il decreto Cutro, partorito in fretta e furia dopo l’ennesima tragedia del mare, facesse acqua da tutte le parti lo hanno

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INTERVISTA. Il sindaco di Pozzallo: «Con i Cpr il governo si pone l’obiettivo di rimpatriare mille, duemila persone. Quest’anno avremo 150, 200mila sbarchi: è evidente che non si risolve così il problema»

Ammatuna: «Perplessità sui centri. L’accoglienza diffusa crea sviluppo» Pozzallo, la nuova struttura per i migranti - Ansa

È sbarcata ieri a Pozzallo la nave Louise Michel con a bordo oltre 60 migranti tra cui 19 donne e 31 minori. Tre bimbi somali (una di un anno e due di pochi mesi) con gravi segni di denutrizione sono stati trasferiti in ospedale, ricoverate anche tre donne per controlli legati alla gravidanza. Sono invece usciti dal centro di trattenimento di Pozzallo-Modica i quattro migranti per i quali il tribunale di Catania non ha convalidato il fermo: il decreto sulle espulsioni accelerate, secondo i giudici, è illegittimo.

«Le sentenze si rispettano» è il commento del sindaco di Pozzallo, Roberto Ammatuna, che poi spiega: «Ho avuto sempre perplessità rispetto ai grandi centri. Potrebbero pure essere utili ma se accompagnati da una politica di integrazione. Il fenomeno dell’immigrazione non si può affrontare solo con provvedimenti repressivi. Con i Cpr il governo si pone l’obiettivo di rimpatriare mille, 2mila persone, quest’anno avremo 150, 200mila sbarchi: è evidente che non si risolve così il problema».

E sui rilievi dei giudici: «Non sono un giurista ma mi pare evidente che ci sono profili di incostituzionalità: a che titolo posso privare della libertà alcune persone anche solo per 15 giorni? Pure questa cosa dei 5mila euro di cauzione per non essere trattenuto: non ci riusciamo noi italiani a fare una fideiussione, dovrebbe invece riuscirci chi sbarca mezzo morto! Prima deve avere i soldi, poi deve andare da un avvocato e poi da un consulente finanziario. Pur non condividendo le misure del governo, ritengo che il ministro Piantedosi sia una persona seria e preparata, si possono fare questi errori così evidenti?».

Al porto di Pozzallo c’è l’hotspot che ha retto l’urto dei flussi dalla Tunisia, a settembre è stata inaugurata una seconda struttura: «È nell’area retroportuale – spiega Ammatuna – con 300 posti ed è stata aperta anche su mia sollecitazione: avevo avvisato che si preannunciava un’estate “calda” sul fronte degli arrivi ma non si è fatto nulla. Poi è stato dichiarato dal governo lo Stato di emergenza e, quindi, il prefetto di Ragusa in una quarantina di giorni l’ha aperta. Avevo chiesto posti in più perché abbiamo un hotspot da circa 230 persone che è arrivato a ospitarne anche mille. Con tutta la buona volontà che si può avere, le docce sono quelle che sono così come i servizi igienici. Avere un altro centro poteva dare un contributo a trattare in maniera più dignitosa gli ospiti».

Poi però l’esecutivo ha corretto il tiro. Racconta Ammatuna: «In corso d’opera, il governo ha pensato che 84 dei 300 posti dovessero essere usati per i rimpatri veloci ai sensi del decreto Cutro. Ho manifestato le mie perplessità perché, a parte la regione Sicilia che sul tema è assente, c’è molta collaborazione istituzionale ma siamo arrivati comunque all’annullamento da parte del tribunale delle misure per i primi migranti sistemati nel centro».

Il governo Meloni sta dirottando i fondi sulla repressione, il sindaco di Pozzallo indica un’altra via: «Abbiamo un Sai con 21 migranti tra i 18 e i 21 anni: la mattina vanno a scuola, il pomeriggio lavorano con un contratto regolare. Sono integrati. Il modello che avremmo dovuto seguire in Italia è quello degli Sprar, accoglienza diffusa nei piccoli centri. Gli investimenti sarebbero serviti per una politica di arricchimento non solo sociale e culturale ma anche con grandi opportunità economiche perché le società multiculturali sono quelle che crescono rispetto al Pil».

Ma la destra agita il pericolo dei migranti: «A Pozzallo si è votato a giugno 2022, ero uno dei pochi sindaci uscenti a favore dell’integrazione, ero attaccato dal Fronte della gioventù, da Casapound, molti pensavano che la destra mi avrebbe travolto. Sono andato casa per casa a spiegare come stavano le cose e sono stato confermato (72,86% dei voti con una maggioranza di centrosinistra ndr). L’integrazione determina anche più sicurezza. Invece con Salvini al Viminale i decreti Sicurezza ci hanno creato problemi perché la gente era sbandata e non sapeva cosa fare. La politica che spinge la Lega crea insicurezza, l’abbiamo visto, eppure ancora pensano di continuare su quella linea»

 

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PACE. Con un’assemblea-evento al Teatro Ghione il conduttore apre il percorso verso le europee. «Il rischio non è la frammentazione ma il vuoto di rappresentanza», dice il front man

Michele Santoro lancia la lista: «È ora di unire i no alla guerra» Michele Santoro - Ansa

Un po’ evento un po’ assemblea, Michele Santoro e Raniero La Valle scoprono le carte e si presentano al Teatro Ghione di Roma per annunciare la loro iniziativa in vista delle elezioni europee di giugno. La scommessa apparirà ardita, e assume anche i tratti dell’iniziativa un po’ calata dall’alto da un personaggio che ha una forte visibilità mediatica (siamo di fronte a un doppio deja vu quando scopriamo che le decisioni si prendono votando sulla sua piattaforma digitale, costo due euro al mese). Ma Santoro conosce il linguaggio della comunicazione, ha capito che proprio il fatto di diventare un competitor alle urne rappresenta un fatto perturbante, l’elemento che scompagina. «Se non entriamo in campo noi, gli altri partiti, compresi quelli più sensibili al tema, non parleranno di quella che è la principale ragione di ciò che sta succedendo in Europa: la guerra», è il ragionamento.

PER I PROMOTORI, la guerra è il meta-tema, quello che contiene tutti gli altri e che attraversa ogni possibile rivendicazione, dai temi ambientali alle politiche sociali. Intravedono il rischio che per inerzia e quieto vivere i partiti maggiori finiscano per evadere la questione. Quanto alle forze alla sinistra del Partito democratico e del Movimento 5 Stelle, chiedono loro di convergere su un simbolo elettorale caratterizzato dal no alla guerra. Questa prospettiva già coinvolge Unione popolare e Rifondazione comunista, convince meno Sinistra italiana e le forze civiche ed ecologiste. Anche se Nichi Vendola, che molti vogliono in procinto di candidarsi se dovesse concludersi in tempo utile il processo che lo coinvolge per l’Iva, ha firmato l’appello di Santoro e La Valle. Si direbbe una forma di interlocuzione. Il front man dice che è finito il tempo di stare a guardare, rivendica come un successo che i partecipanti all’evento si siano auto-tassati e assicura che non ha bisogno di simboli e aiuti dai partiti esistenti: «Se servirà raccoglieremo le firme, l’alta astensione dimostra che c’è un vuoto di rappresentanza». C’è il rapporto con il mondo del pacifismo, che in questi mesi si è battuto contro la guerra è che ha intravisto il rischio di strumentalizzazione elettoralistica. Santoro dice di rispettare quella galassia e la sua autonomia, ma rivendica: «Non possono pretendere di avere il monopolio del rifiuto della guerra».

DA QUESTO punto di vista il progetto del teatro Ghione ha bisogno ancora di definirsi: se soggetto centripeto in grado di smuovere e forzare il superamento delle divisioni della sinistra radicale, se elemento di disturbo e pungolo per il dibattito o se nuova avventura destinata ad affiancarsi a quelle degli altri aspiranti ricostruttori della sinistra italica. Convenuti e iscritti alla piattaforma online di Servizio pubblico approvano la «presentazione di una lista per le elezioni europee e un programma con l’indicazione di alcuni punti programmatici da approfondire nei prossimi mesi».

C’È GINEVRA Bompiani, con Alessandro Bergonzoni, Donatella Di Cesare e Vauro. C’è anche il carabinieri antimafia noto come Capitano Ultimo, che dopo aver fatto l’assessore nella giunta di centrodestra di Iole Santelli in Calabria dice di volersi batter per l’uguaglianza e rivendica il diritto alla resistenza. E De Magistris, che rivendica il diritto degli ucraini di combattere: «Dobbiamo metterci insieme non mi appassionano le formule ma mi interessa unire chi non si fa comprare», dice l’ex sindaco di Napoli. «Dobbiamo rivendicare un’idea di Europa che sia all’altezza delle sue migliori tradizioni». Insieme agliambientalisti di Ultima Generazione e Friday fot Future, che da tempo vanno dicendo che le Europee saranno fondamentali, compare anche lo street-artist Jorit, protagonista dello scivolone del murale nella Mariupol devastata e occupata dai russi qualche settimana.

«INTRAPRENDIAMO un cammino, non stiamo decidendo niente di definitivo» dice Santoro chiamando in causa Massimo Cacciari e cercando di non circoscrivere il perimetro della lista. Il quale fa un discorso sulle disuguaglianze che emergono da anni «ci stiamo giocando la democrazia, che deve reggersi sul progressivo allargamento dei diritti. «Non si fa politica senza organizzazione, bisogna lavorare senza settarismi», dice il filosofo ed ex sindaco di Venezia. «Non c’è un solo modo di fare politica» sostiene Raniero La Valle ricordando che «i fascismi sono nati dopo una guerra». E Cacciari chiede: «Perché l’Europa esclude a priori di non essere uno spazio imperiale come Cina e Usa?»

 

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