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ISRAELE/PALESTINA. Sale a 1.100 il numero degli uccisi palestinesi, 1.200 gli israeliani. Ospedali al collasso: «Sono dei cimiteri». Pioggia di razzi ad Ashkelon

Il quartiere di Rimal a Gaza, distrutto dai bombardamenti israeliani foto Ap/Mohammed Talatene Il quartiere di Rimal a Gaza, distrutto dai bombardamenti israeliani - foto Ap/Mohammed Talatene

Ci si può spingere solo un po’ più avanti di Ashkelon. Poi i soldati israeliani ti fermano. Non si passa. Tutta l’area intorno a Gaza è zona militare chiusa. Il passaggio continuo dei veicoli dell’esercito dice che l’offensiva di terra è sempre più vicina, imminente. Da Ashkelon si riesce a vedere con fatica solo la parte di Gaza che si affaccia sul mare. Ma le colonne di fumo grigio in lontananza e i boati delle bombe sganciate da F-16 e droni israeliani, indicano la direzione per Gaza.

Sono sempre più drammatiche le notizie e le immagini che arrivano dal piccolo lembo di territorio palestinese, chiuso da ogni punto e sotto un violento bombardamento israeliano. I prossimi giorni si annunciano ancora più duri per la popolazione senza elettricità dopo lo spegnimento dell’unica centrale elettrica di Gaza rimasta senza carburante. Il premier israeliano Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Benny Gantz ieri hanno deciso di formare un governo d’emergenza nazionale. In realtà è un gabinetto di guerra ristretto che esisterà con l’unico compito di attaccare Gaza e Hamas che

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Il DataRoom di Milena Gabanelli di ieri sul Corriere della Sera – rilanciato in serata dal TGla7 di Enrico Mentana – aveva un titolo più che significativo: “Alluvione in Emilia-Romagna, la beffa dei rimborsi”. Nel report come sempre molto accurato della Gabanelli e di Giusi Fasano si legge: “Sono passati 143 giorni dai 5 miliardi di metri cubi d’acqua venuti giù in Romagna fra l’1 e il 17 di maggio. Una lunga apnea per l’area alluvionata che nel 2022 valeva da sola 38 miliardi di ricchezza (il 2,2% del Pil nazionale). «Risarciremo il 100% a chi è stato danneggiato», è la promessa della premier Giorgia Meloni infilata negli stivaloni in mezzo al fango nelle zone allagate, e poi di nuovo a giugno, nell’incontro con i sindaci a Palazzo Chigi. Ma quanto è arrivato sul territorio dopo 5 mesi passati a contare perdite, ripristinare strade, riparare canali, case, aziende, mettere mano ai terreni agricoli allagati? Quelli calcolati e certificati fin qui (ossia trasmessi a Bruxelles dal Dipartimento nazionale di Protezione civile per chiedere l’accesso ai fondi di solidarietà dell’Unione Europea) ammontano a 8,5 miliardi così divisi: 3,8 miliardi per il patrimonio pubblico come strade, scuole, canali; 2,2 miliardi per i danni alle abitazioni; 1,8 miliardi per i danni alle attività produttive, comprese le aziende agricole. A questa cifra vanno aggiunti 682 milioni già spesi per fronteggiare l’emergenza e per la messa in sicurezza del territorio, di cui 412 anticipati da Comuni, Province, Regioni e consorzi di bonifica.

Milena Gabanelli e Giusi Fasano evidenziano come “in Romagna c’è fretta, a Roma no”. Cioè amministratori, famiglie e imprese chiedono si faccia in fretta, “velocizzare il più possibile interventi di ripristino e indennizzi. La scelta più logica sarebbe stata quella di utilizzare la macchina oliata della Protezione civile, che può ricevere somme in contabilità speciale e usare le deroghe per spendere i soldi, e incaricare subito il Presidente della Regione Stefano Bonaccini Commissario straordinario. Ma c’era il veto di Salvini. Ci sono voluti 2 mesi e mezzo per trovare un nome alternativo, e ai primi di agosto viene nominato il generale di Corpo d’Armata Francesco Figliuolo.”

DataRoom aggiunge che poi la struttura commissariale “va organizzata, non è immediatamente operativa. Tanto più se deve agire in una situazione inedita dal punto di vista della vastità e della complessità dell’intervento. Tutto questo comporta lo slittamento dei tempi, in un territorio che le alluvioni hanno reso estremamente vulnerabile e con l’autunno alle porte.”

Poi Gabanelli e Fasano arrivano al nodo dei soldi promessi, quelli stanziati e quelli effettivamente messi a disposizione e finora giunti a destinazione o comunque nelle disponibilità di Figliuolo. Da qui il titolo eloquente: la beffa dei rimborsi.

I soldi promessi e quelli effettivamente disponibili

“A fine maggio, con il primo decreto per l’Emilia-Romagna il governo aveva annunciato un primo pacchetto di aiuti per 2 miliardi e 200 milioni. «Salvo intese», che in sostanza significa che le cose possono cambiare in corso d’opera. E infatti. – si legge su DataRoom – Quando il decreto viene pubblicato il 1° giugno i soldi diventano circa 1,6 miliardi, così divisi: 900 milioni sono per gli ammortizzatori sociali, cioè la cassa integrazione; 300 milioni per aiutare le aziende che esportano. Con una clausola: il non speso ritorna nelle casse dello Stato. Per quel che riguarda la cassa integrazione sono stati chiesti solo 30 milioni, perché i romagnoli non sono rimasti a guardare, ma insieme ai dipendenti si sono subito rimboccati le maniche e rimesso in piedi gran parte delle aziende. Invece dei 300 milioni stanziati a sostegno dell’export ne sono stati chiesto soltanto 12-13. In questo caso i requisiti necessari sbarravano già in partenza l’accesso ai fondi per moltissime imprese. Alla fine 1 miliardo e 150 milioni sono tornati nelle casse dello Stato. E questo non-speso è l’ultimo fronte aperto fra il governo e Regione-sindaci-parti sociali. Loro chiedono che i fondi non utilizzati vengano usati subito per indennizzare cittadini e imprese e chiedono l’introduzione del credito di imposta.”

Tabella

Nello stesso decreto ci sono 150 milioni ripartiti fra vari ministeri più 230 milioni dati alla Protezione civile e alla Regione per le somme urgenze, fra cui un aiuto di 3.000 euro a famiglia per far fronte alle spese inderogabili. “Sono questi gli unici soldi arrivati finora alle quasi 36 mila le famiglie che nelle prime ore avevano dovuto lasciare tutto e scappare, con l’acqua letteralmente alla gola. In 65 Comuni si contano 9.371 nuclei familiari che hanno poi chiesto il contributo per l’autonoma sistemazione: gente che si è accampata per lunghi periodi da amici, parenti o in roulotte. Più un centinaio di famiglie che ancora oggi sono sistemate in alberghi (con spesa a carico della Regione). Per ciascuna famiglia a breve saranno distribuiti altri 2.000 euro” scrivono Gabanelli e Fasano.

Con la nomina ad agosto del Commissario Figliuolo, arrivano nuovi stanziamenti per le opere pubbliche e per il risarcimento danni ai privati. DataRoom dice che “sono previsti 2,6 miliardi da spendere in tre anni per sistemare scuole, ponti, strade. Ma quanti soldi sono disponibili fisicamente per il 2023? Finora ne sono stati autorizzati 908,5 milioni, di cui 876 versati sulla contabilità del generale Figliuolo, quindi già disponibili. Ma 412 anticipati a maggio per i lavori urgenti sono da restituire a Regione, Comuni, Province e consorzi. Quindi, tirando la somma, pronti all’uso quest’anno restano meno di 500 milioni. Bastano i numeri di frane e strade per capire che di soldi ne servirebbero ben più.”

DataRoom riporta che al 30 settembre sono state censite 38.760 frane in 48 comuni, di cui 350 di grandi dimensioni, ma si stima che il numero totale delle frane sia oltre 50 mila. La maggior parte delle frane ha danneggiato case, terreni o aziende, e qui i diretti interessati sono intervenuti pagando di tasca loro, oppure è ancora tutto sospeso. Un numero consistente di frane è finito però sulle strade, dove sono stati eseguiti in urgenza i lavori di ripristino delle viabilità, ma quasi ovunque sono necessari interventi strutturali sulla viabilità. Su un totale di 1481 strade provinciali o comunali da monitorare, al 30 settembre ne erano chiuse ancora 322, mentre 405 erano percorribili con limitazioni alla circolazione.

Tabella

Gabanelli scrive: “Con il secondo decreto ci sono anche i soldi per i privati: 120 milioni già utilizzabili, più 149 autorizzati ma non ancora sul piatto. Per avere un ordine di grandezza: le aziende agricole a cui l’acqua ha causato danni sono circa 21 mila con 41 mila addetti; quelle agroalimentari sono 2.800 per 23 mila operatori. E l’impatto è stato importante anche sul settore zootecnico. Ma di fatto le aziende non hanno ancora avuto un centesimo. Di più: fino al 16 novembre non sarà disponibile nemmeno il modulo da compilare per chiedere il rimborso perché la piattaforma informatica è in corso di aggiornamento. Dopo quella data il cittadino che ha avuto la casa allagata, o l’impresa danneggiata, può presentare la domanda di risarcimento con allegata perizia. A quel punto il Comune verifica lo status di alluvionato; se tutto va bene consente alla piattaforma della Regione di «lavorare» la pratica; Invitalia fa l’istruttoria (studia la perizia, identifica il danno) e se tutto è in regola rimanda la pratica al sindaco; il sindaco la dichiara chiusa e la invia a Figliuolo per la firma e l’erogazione. Ma erogare significa avere una tesoreria, che al momento non c’è. La sola boccata di ossigeno in termini economici è arrivata dalla sospensione degli adempimenti tributari in scadenza fra il 1° maggio e il 31 agosto, ma fino al 20 novembre. Poi si dovrà pagare.”

Il quadro non è confortante. Tutti sognano che venga mantenuta quella promessa: «Risarciremo il 100% a chi è stato danneggiato!» conclude Gabanelli parlando però di “illusione” e aggiungendo che “qualche domanda sarebbe utile porsela. Ha senso ricostruire capannoni o riattivare le coltivazioni, diventate greto del fiume, esattamente lì dov’erano? Probabilmente no. Ma per spostare attività occorre fare una più lungimirante programmazione del territorio. Certo, è più facile stanziare qualche soldo da mettere in tasca, anche se pochi.”

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ORRORISMO. Da opposizioni e sostenitori condanna senza appello. Per mesi l’esercito lo ha avvertito delle criticità: lui ha tutelato soltanto l’ultradestra

 Il premier israeliano Netanyahu - Ap/Abir Sultan

Quando nel silenzio della festività ebraica di Simchat Torà, la follia omicida di Hamas li ha colti completamente impreparati, gli israeliani erano sull’orlo di una guerra civile combattuta da gennaio tra coalizione e opposizione a suon di manifestazioni e proposte di legge intorno alla famigerata riforma giudiziaria. Tuttavia, già dalle prime ore di sabato l’immagine che si offre al mondo è quella di un paese ricompattato che nella tragedia dà l’ennesima prova di coraggio, forza d’animo, generosità e solidarietà interna ammirevoli.

All’interno di Israele, però, la percezione è quella di una vulnerabilità mai conosciuta prima d’ora, nemmeno in occasione della guerra del Kippur che pure aveva colto tutti di sorpresa. La motivazione non sembra da ricondurre solo alla trasformazione di Hamas e ai nuovi atti disumani perpetrati dai suoi miliziani, ma a quella che dovrebbe essere la guida di Israele e che buona parte della popolazione percepisce da tempo come uno scomodo pericolo da rimuovere.

COSÌ, A FARE da sfondo alla mobilitazione delle forze dell’ordine che si adoperano per riprendere il controllo a sud come a nord, alle migliaia di riservisti che rispondono alla chiamata alle armi e ai civili impegnati senza sosta in ogni forma possibile di volontariato, vi sono le asprissime critiche rivolte al capo del governo che questa volta hanno ampiamente sconfinato la stampa di opposizione per raggiungere le testate giornalistiche e i media di ogni orientamento.

Del resto, benché nel corso delle quasi 40 settimane di protesta Netanyhau fosse stato avvisato molteplici volte, dagli esperti dell’intelligence e dell’esercito, sulla fragilità di Israele sul profilo della sicurezza, il premier ha sistematicamente ignorato ogni segnalazione preoccupato com’era di uscire indenne dal processo a suo carico, promuovendo la riforma giudiziaria e barcamenandosi tra le richieste dei partiti estremisti che gli hanno consentito di formare un governo e salvarsi la poltrona.

Tra le accuse principali che gli vengono rivolte vi è quella di malafede, immoralità e gravissime omissioni e di aver usato ogni risorsa economica e militare per difendere i coloni della Cisgiordania e gli estremisti religiosi, invece di proteggere le località a sud di Israele al confine con la Striscia.

Se non bastasse, il numero spaventoso di morti, feriti e ostaggi sarebbe anche una conseguenza dell’arricchimento di Hamas consentitogli indirettamente sotto varie forme dallo stesso Netanyahu, che si affermava convinto che la soddisfazione economica avrebbe evitato una guerra con Gaza.

Anche i discorsi rivolti alla nazione, l’ultimo lunedì, risuonano inconsistenti. Il premier si presenta da solo, procrastina il governo di unità, manca un’ammissione di colpa, una presa di responsabilità, ma soprattutto spicca l’assenza quasi totale di riferimento agli ostaggi, la responsabilità dei quali Netanyahu sceglie di delegare interamente a Hamas. Già nell’apparizione di sabato sera fa invece uso della parola «vendetta» che, pur essendo un’espressione infelice, non sembra averlo privato del consenso internazionale.

DAGLI STATI UNITI all’Europa, i governi sembrano appoggiare Israele a spada tratta nella pesantissima controffensiva a Gaza, pur coscienti del prezzo che questa costerà in termini di vite umane. Se Israele ha bisogno di sostegno e legittimazione in questa circostanza, il rischio potrebbe essere quello di perdere di vista il termine dell’occupazione, relegando anche il conflitto israelo-palestinese, fino a poco fa asimmetrico, alla prospettiva orientalistica che da anni vede un Occidente islamofobo schierato contro un certo terrorismo.

Al momento gli spaventosi crimini di Hamas hanno distolto l’attenzione internazionale dalla volgare violenza nazionalista e razzista del governo Netanyahu, finendo paradossalmente per legittimarlo, ma che ciò coincida con gli interessi dei cittadini israeliani, soprattutto nel lungo periodo, sarà una questione da verificare

 
 
 
 
 
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Israele sigilla la striscia di Gaza e bombarda l’unica via di fuga dei palestinesi verso l’Egitto. Distrutti interi quartieri, civili annientati.
I militari di Tel Aviv scoprono le stragi nei villaggi di confine. A Kfar Aza decine di morti, molti bambini, racconti di atrocità. Hamas non si ferma e lancia missili su Ashkelon

7 OTTOBRE. Kfar Aza, Beeri, Saad. Gli abitanti raccontano le stragi di sabato scorso. A Gaza la popolazione è in trappola, sotto incessanti bombardamenti israeliani. Il bilancio dei morti continua a salire

 Soldati portano via i corpi dei civili israeliani uccisi da Hamas nel kibbutz di Kfar Aza - Afp/Jack Guez

Naama Rotenberg, un assistente sociale, vive dal 2009 a Saad un kibbutz religioso ad appena 4 km da Gaza e adiacente a un altro kibbutz, Kfar Aza, un po’ più grande. Ieri raccontava ai giornalisti di sabato 7 ottobre, un giorno che difficilmente si dimenticherà. «Siamo stati svegliati dal suono delle esplosioni e dalle sirene di allarme rosso. Mio marito ed io siamo entrati nel rifugio con i nostri quattro figli e un altro amico». In quei momenti, non lo sapeva, centinaia di palestinesi armati si stavano riversando in Israele da Gaza via terra, mare e aria. E migliaia di missili correvano nel cielo verso sud. «A un certo punto ci siamo resi conto che stava succedendo qualcosa di veramente grosso, gli addetti alla sicurezza ci hanno detto di rimanere nel rifugio. Ci siamo rimasti per tutto il giorno».

Poi sono cominciati ad arrivare i giovani scampati dalla morte al raduno musicale di Reim dove, all’improvviso, era cominciato un fuoco di armi automatiche indiscriminato da parte di uomini arrivati con le moto. «Li abbiamo accolti, erano sconvolti, terrorizzati». I morti sono stati 260 a Reim. I miliziani negli stessi minuti si rendevano responsabili di altre uccisioni indiscriminate a Kfar Aza. Un generale dell’esercito Itai Veruv ieri ha raccontato a un gruppo di reporter stranieri il «massacro» di «bambini, madri e padri…nelle loro camere da letto» compiuto dagli uomini di Hamas. Non avrebbero però decapitato «alcuni bambini» come è stato riportato da alcuni quotidiani italiani. Un giornalista che ha partecipato al tour ha detto che, a una domanda specifica, i responsabili del kibbutz hanno risposto di «non poter confermare la notizia». Anche gli inviati di New York TimesGuardianWashington Post e l’agenzia Reuters non hanno riferito di bambini ai quali sarebbe stata tagliata la testa. Fa eccezione la Cnn che parla di decapitazioni di persone.

La tensione si percepisce forte girando a piedi per Gerusalemme. Con i quartieri ebraici con i negozi in buona parte chiusi, poca gente in strada e traffico scarso. E la zona Est, palestinese, un po’ più viva dove girano numerose le jeep della guardia di frontiera e le auto della polizia. La frattura tra le due Gerusalemme non è mai stata così ampia come in questi giorni. L’atmosfera avvelenata ricorda quella dell’inizio della seconda Intifada, nell’autunno del 2000. Nissim gestisce un h24 in Baqa. «Adesso ci vuole la forza militare contro Hamas, dobbiamo colpire quella gente (i palestinesi), avete visto cosa hanno fatto a tante persone, hanno perfino sequestrato una anziana di 80 anni. E voi europei sempre pronti a difendere e dare soldi ai palestinesi» ci dice.

Invece per Farid, che abita ad a-Thuri, «sono finiti i tempi in cui noi subivamo e basta. Non mi sono piaciute quelle uccisioni (fatte da Hamas) ma Israele non fa lo stesso con noi da sempre? Guarda cosa accade a Gaza, gli israeliani uccidono donne e bambini». Anche lui coglie

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L'AZIONE DI HAMAS UNISCE LE FAZIONI PALESTINESI. Quattro miliziani del partito di Dio sono rimasti uccisi dagli israeliani nel Sud del paese

 

L’inevitabile ripercussione sul Libano della guerra Hamas-Israele si sta facendo sentire. Ieri pomeriggio le Brigate al-Quds del Jihad Islamico hanno rivendicato un attacco e un’incursione in territorio israeliano dal sud del Libano, presso Dhayra. Due degli incursori sono stati uccisi certamente dalle forze israeliane, che hanno registrato 7 feriti e che avevano già annunciato il rafforzamento delle linee dall’altro lato della Linea Blu tra i due paesi presidiata dall’Unifil. Hezbollah aveva nel pomeriggio dichiarato di essere estraneo all’azione, poi rivendicata dalle Brigate.

Il partito armato libanese ha però poi in seguito fatto sapere che quattro dei sui uomini sono caduti in una delle numerose offensive aeree dell’esercito israeliano in territorio libanese.
Continuano intanto gli scontri e il numero dei feriti e delle vittime è incerto. Le aree da entrambi i lati sono state sgomberate. Le montagne bruciano in seguito agli attacchi aerei israeliani. Domenica mattina presto c’era stato uno scambio di artiglieria nelle Fattorie Sheba’a occupate da Israele nel 1967 e da allora contese da Libano, Siria e Israele. Hezbollah aveva lanciato cinque razzi che non avevano colpito obiettivi militari, né civili, a cui era seguita una contenuta e simile controffensiva israeliana, in un’azione tutto sommato simbolica per entrambi.

Il messaggio adesso è che i palestinesi in Libano sono pronti. Le fazioni opposte ad Hamas – si sono registrati scontri a luglio e agosto nel campo di Ain l-Helueh – come Fatah mettono da parte le divergenze per questa operazione «eroica».

In Libano la condizione dei palestinesi nei 12 campi è complessa. Dalla Nakba (1948), l’esodo palestinese nell’anno della fondazione di Israele, che ha impedito il ritorno dei profughi fino ad oggi, i circa 450mila palestinesi registrati in Libano vivono restrizioni che impediscono loro l’integrazione nel tessuto libanese: non possono arrivare a posizioni sociali apicali, avere la cittadinanza, avere permessi per riparare le infrastrutture nei campi. Ciò impoverisce, secondo l’Unrwa, oltre il 93 per cento dei palestinesi rifugiati nel paese.

La mancata integrazione è stata giustificata dal fatto che essendo il Libano un paese confessionale e i palestinesi in larghissima parte musulmani, ci sarebbe stato uno sbilanciamento della politica interna che avrebbe destabilizzato il piccolo paese di appena dieci km quadrati e circa 5 milioni di abitanti.

C’è una giustificata paura di ritrovarsi catapultati nella guerra Hamas-Israele durante il quarto anno di una crisi che ha prosciugato i conti bancari dei libanesi, svalutato la moneta fino a picchi del 200 per cento, allargato la forbice della diseguaglianza sociale e aumentato la povertà multidimensionale nel paese. Oltre a quella economica, il Libano vive una profonda crisi politica, con un governo ad interim nonostante le elezioni del maggio 2022 e senza il presidente della repubblica, dopo la fine del mandato di Aoun un anno fa. È questo infatti il nodo da sciogliere: trovare un presidente che metta d’accordo gli attori politici principali. Fino ad allora, sarà impossibile attuare le riforme necessarie che farebbero arrivare gli aiuti del Fondo monetario internazionale i stanziati.

«Le truppe di pace mantengono le posizioni e sono in allerta. Al momento parliamo con le parti per una de-escalation» ha diciarato Tenenti, portavoce dell’Unifil.
La presidente Meloni ha ieri in una telefonata al suo omologo Mikati assicurato la vicinanza e «la volontà dell’Italia di continuare a contribuire alla sicurezza e alla stabilità del Libano in questo delicato frangente».

Il coinvolgimento diretto di Hezbollah rappresenta una minaccia per l’integrità del Libano in un momento così delicato per il paese e stravolgerebbe la natura della guerra con conseguenze impredicibili

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GUERRA IN PALESTINA. Oggi il ministro Tajani riferisce alle Camere. I dubbi di M5S e sinistra-verdi sul documento che andrà al voto. Il Pd: firmeremo solo se ci sarà il sì di tutto il Parlamento. Dem divisi sulla manifestazione convocata dal Foglio: ci saranno Quartapelle, Sensi e Alfieri. Provenzano: io non vado

Pd e Fdi lavorano a una mozione pro-Israele Giuseppe Provenzano, responsabile esteri del Pd

Oggi, in occasione dell’informativa alla Camere del ministro degli Esteri Tajani, le forze politiche potrebbero unirsi in una mozione bipartisan sul conflitto israelo-palestinese.

Il condizionale è d’obbligo, visto che alcune forze come Sinistra-verdi e M5S, pur d’accordo sulla condanna degli attacchi di Hamas ai civili israeliani, chiedono un testo molto sintetico e non accettano una cambiale in bianco verso la rappresaglia del governo Netanyahu.

Al centro della discussione anche il riferimento ai fondi Ue per la Palestina. Sinistra italiana, con il responsabile esteri Giorgio Marasà, oltre alla condanna per la «sciagurata» azione di Hamas, ricorda «il «peso enorme di responsabilità» dell’Occidente». «Avevamo il dovere di lavorare per una pace vera». Angelo Bonelli dei Verdi accusa il governo israeliano di aver «consentito la sistematica e illegittima occupazione di terre da parte dei coloni». Anche il M5S esprime «profonda preoccupazione per una reazione israeliana che si preannuncia sproporzionata e diretta contro l’inerme popolazione civile della Striscia di Gaza».

Il capogruppo del Pd in Senato Francesco sta lavorando con il suo omologo di Fdi Lucio Malan per arrivare a un testo condiviso da votare in Parlamento. I dem hanno apprezzato i ton i usati in queste ore da Tajani che, al Corriere, ha ribadito la «necessità di riportare il processo di pace al centro dell’attenzione internazionale» e di «sventare il rischio di una escalation», attraverso un «dialogo che porti a un abbassamento della tensione» con paesi come Egitto, Arabia Saudita e Giordania. E il testo della mozione dovrebbe spingere il governo ad una «azione diplomatica con i principali attori regionali per evitare l’escalation».

Alcuni esponenti del Pd hanno aderito alla manifestazione promossa per stasera al Colosseo dal Foglio dal titolo «Israele siamo noi». Ci saranno, oltre a esponenti di Fdi, Fi, Lega, Azione e Italia Viva, anche i dem Lia Quartapelle, Filippo Sensi e Alessandro Alfieri. Il responsabile esteri Peppe Provenzano ha smentito una sua partecipazione, ma ha scritto al quotidiano per esprimere «solidarietà a Israele e profondo cordoglio per le vittime». Per i dem c’è il rischio di firmare una mozione con la maggioranza spaccando le opposizioni. Ma al Nazareno assicurano: «Firmeremo solo se ci sarà un testo condiviso da tutto il Parlamento».

L’intergruppo parlamentare per la pace in medio Oriente (composto da parlamentari di Pd, M5S e sinistra-verdi), condannando l’attacco di Hamas, ha ricordato come «gli insediamenti illegali dei coloni» israeliani abbiano «alimentato il radicalismo islamista». «Se la comunità internazionale avesse indotto il governo israeliano a rispettare le risoluzioni Onu il conflitto non sarebbe degenerato fino a questo punto». Tra i firmatari Laura Boldrini, Susanna Camusso Arturo Scotto e Stefano Vaccari

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