Dal territorio dell’Unione dei Comuni della Romagna faentina, tramite la piattaforma Sfinge, sono arrivate 348 domande di rimborso da parte di privati per i danni da alluvione del 2023, un quarto di quelle di tutta l’Emilia-Romagna. Ma le pratiche depositate sono “ben al di sotto delle aspettative”, per “un generale senso di sfiducia”. A evidenziarlo è la stessa Unione dei Comuni, dopo l’incontro di ieri al cinema Sarti di Faenza, tra cittadini e struttura commissariale proprio sui rimborsi ai privati e alle aziende dopo i danni degli eventi alluvionali del maggio dell’anno scorso. Incontro seguito peraltro da circa 200 persone in presenza e 150 collegate on line. “Ancora una volta - certifica inoltre l’Unione - l’incontro ha evidenziato alcune farraginosità sull’intero sistema dei rimborsi che possono essere individuate nella lungaggine delle procedure e nella difficoltà a reperire periti certificatori”.
La fotografia dei dati dei rimborsi aggiornati al 15 ottobre vede appunto 348 domande arrivate all’ufficio emergenza, di cui 25 da Brisighella, cinque da Casola Valsenio, 35 da Castel Bolognese, 239 da Faenza, sette da Riolo Terme e 37 da Solarolo. E a fronte di un contributo totale richiesto di quasi 17 milioni, la struttura commissariale ne ha erogati 5,2, certifica l’Unione. Inoltre, delle 348 domande, per incompletezza di documenti sono state richieste integrazioni per 72 istanze.
Passando alle aziende, sono 140 le domande presentate tramite Sfinge: 26 da Brisighella, 11 da Casola Valsenio, 15 da Castel Bolognese, 67 da Faenza, dieci da Riolo Terme e nove Solarolo. Qui, a fronte di un contributo per risarcimento danni richiesto di 18,8 milioni di euro, quello erogato è stato di 2,6 milioni di euro, chiarisce l’Unione
Colpita l’azienda aerospaziale Tusas Almeno 4 le vittime. La Nato esprime solidarietà alla Turchia
Smoke raises as emergency rescue teams and police officers attend outside Turkish Aerospace Industries Inc. on the outskirts of Ankara, Turkey, Wednesday, Oct. 23, 2024
Ieri, mercoledì 23 ottobre, c’è stato un attentato presso la fabbrica militare Tusas (Società anonima dell’industria aeronautica turca) di Ankara, in Turchia. Verso le ore 15:30, durante il cambio turno, tre persone armate hanno aperto il fuoco. Gli attentatori, in possesso di esplosivi, si sono scontrati con il personale armato all’ingresso della fabbrica. Sono state inviate squadre speciali, vigili del fuoco e soccorsi. Il ministro dell’Interno, Ali Yerlikaya, ha annunciato che due attentatori sono stati uccisi, con quattro vittime e quattordici feriti, tre dei quali in gravi condizioni.
DOPO L’ATTACCO, sono circolate immagini delle telecamere di sicurezza che mostravano chiaramente i volti degli attentatori mentre entravano nella fabbrica. Pochi minuti dopo, l’Autorità suprema per la radio e la televisione ha imposto il silenzio stampa, rendendo difficile l’accesso a social come X, Instagram e Facebook a causa della riduzione della banda.
La Tusas, fondata nel 1973, ha avviato nel 1984 una joint venture con gli Usa per la produzione di F-16. Nel 2005, unendosi a Tai, ha acquisito le azioni statunitensi, diventando «totalmente turca». Negli ultimi anni, l’azienda ha acquisito importanza grazie agli investimenti di Ankara nella produzione bellica, realizzando prodotti strategici come i droni armati Anka e gli elicotteri Atak, sviluppati dall’Agusta Westland AW129.
L’ATTENTATO di Ankara segue la storica dichiarazione di Devlet Bahçeli, leader del Partito del Movimento nazionalista (Mhp), che ha invitato Abdullah Öcalan, leader del Pkk, a parlare al gruppo parlamentare del Partito dell’uguaglianza e della democrazia del popolo (Dem), a patto che dichiari la fine della lotta armata e lo scioglimento del Pkk. Öcalan è in isolamento in un penitenziario a Imrali, condannato all’ergastolo con l’accusa di terrorismo e senza contatti con familiari o avvocati da quattro anni. L’invito di Bahçeli ha sorpreso e sollevato domande su un possibile dialogo tra il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) e lo Stato turco.
LA TEMPISTICA dell’attentato ha suscitato sospetti tra i cittadini e nel mondo politico. Sezai Temelli, vicepresidente di Dem, ha dichiarato: «Il tempismo è significativo. La provocazione è evidente in ogni suo aspetto». Devlet Bahçeli, su X, ha scritto: «Nessun progetto sanguinoso e traditore potrà resistere alla nostra unità e fratellanza nazionale. Coloro che utilizzano il terrorismo come strumento oscuro non otterranno risultati e non potranno mai spezzare la nostra determinazione a combattere».
In serata è arrivato un messaggio da Selahattin Demirtas, detenuto politico condannato a 42 anni ed ex co-presidente del Dem: «Condanniamo l’attacco ad Ankara, offriamo condoglianze alle famiglie delle vittime e auguriamo pronta guarigione ai feriti. Non permetteremo che la voce di chi chiede la pace venga silenziata».
IL LEADER dell’opposizione, Özgür Özel, ha interrotto il tour che aveva organizzato nel sud-est della Turchia per attirare l’attenzione sui problemi delle popolazioni curdofone. Il suo partito, il Chp, ha convocato una seduta straordinaria del Comitato Esecutivo Centrale, e Özel ha condannato l’attentato con un messaggio su X.
Il Presidente della repubblica Erdogan, nel suo messaggio su X, ha affermato che l’attentato contro Tusas, una delle fabbriche militari più strategiche, è un attacco spregevole contro la sopravvivenza del Paese e le iniziative di difesa, simbolo dell’ideale di una Turchia indipendente.
I primi messaggi di solidarietà internazionale sono arrivati da Mark Rutte, segretario generale della Nato, dall’Ambasciata statunitense di Ankara, dal ministero degli Esteri armeno e da Olaf Scholz, cancelliere tedesco.
Pochi minuti dopo, il ministro della Difesa nazionale, Yasar Güler, ha dichiarato che dietro l’attacco ci sono i militanti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk). L’attentato non è stato, finora, rivendicato da nessuna organizzazione.
Manovra Nel 2025 non ci saranno assunzioni di medici e infermieri, tutto rimandato alla prossima legge finanziaria. Dai sanitari arrivano toni duri contro il «tradimento», i sindacati lanciano lo sciopero nazionale per il 20 novembre e una manifestazione
Dopo l’esame del presidente della Repubblica, il disegno di legge sulla manovra finanziaria è stato depositato ieri alla Camera. Nel testo ci sono finalmente le cifre della spesa sanitaria. Nel 2025 il governo investirà 1,3 miliardi in più per la salute, che si aggiungono agli 1,2 miliardi già previsti dalla legge di bilancio dello scorso anno.
In totale, l’aumento di risorse per il Ssn ammonta a 2,5 miliardi di euro lordi. Sulle risorse che andranno a medici e infermieri bisogna però detrarre le tasse e si arriva così vicino al misero 0,4% del Pil che il governo ha comunicato a Bruxelles come aumento netto della spesa sanitaria, nemmeno un miliardo di euro. Sono pochi decimali in più e non la svolta promessa dal ministro della salute Orazio Schillaci, che aveva annunciato il probabile stanziamento di «oltre tre miliardi di euro» per reclutare medici e infermieri. Incauto.
«CON 1,3 MILIARDI non si raggiunge nemmeno la metà dei fondi necessari per tagliare le liste d’attesa e assumere nuovo personale sanitario» commenta la segretaria Pd Elly Schlein. «Scompare il piano straordinario per le nuove assunzioni. È una batosta clamorosa per il servizio sanitario nazionale». Le numerosissime dichiarazioni di ieri di parlamentari e dirigenti Pd sottolineano «il punto più basso del finanziamento alla sanità pubblica degli ultimi 15 anni» in rapporto al Pil. Marco Grimaldi (Avs) fa il confronto con la difesa dopo l’ok della commissione bilancio allo stanziamento di 400 milioni in favore della difesa aerea: «I soldi sono già disponibili dal 2025 fino al 2034» dice il deputato. «Però per la sanità i soldi non ci sono».
LA DELUSIONE è fondata. Dopo molte richieste di chiarimento, anche il governo infatti ammette che nel 2025 non ci saranno assunzioni di medici e infermieri ma solo «la programmazione da parte delle regioni del piano di assunzioni che verranno effettuate nel 2026» come spiegano fonti ministeriali alle agenzie. Tutto rimandato alla prossima legge finanziaria, dunque.
Dai sanitari arrivano toni duri contro il «tradimento». La manovra, denunciano i sindacati degli ospedalieri Anaao e Cimo-Fesmed e quello degli infermieri Nursing Up, «conferma la riduzione del finanziamento per la sanità rispetto a quanto annunciato nelle scorse settimane e cambia le carte in tavola rispetto a quanto proclamato per mesi». 150 milioni copriranno l’aumento dell’indennità per i medici, e in particolar modo per quelli che lavorano in pronto soccorso, per gli infermieri e le altre professioni del comparto.
Tenuto conto delle tasse, però, non è abbastanza. Al mese fanno «17 euro nette per i medici e 14 euro netti per i dirigenti sanitari – spiegano i sindacalisti – mentre nelle tasche degli infermieri arriverebbero circa 7 euro». Inoltre, «si è persa traccia del piano straordinario di assunzioni e dello sblocco del tetto di spesa per il personale» che impedisce alle Regioni di effettuare nuove assunzioni e favorisce il subappalto dei turni scoperti ai cosiddetti «gettonisti» a costi maggiorati per la sanità pubblica. «Non possiamo essere complici dell’ormai evidente smantellamento del Servizio sanitario nazionale» dicono i segretari delle tre sigle Pierino Di Silverio, Guido Quici e Antonio De Palma. E proclamano per il 20 novembre uno
Commenta (0 Commenti)BOLOGNA. La presidente dell’Emilia-Romagna Irene Priolo ha firmato e inviato alla presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, la richiesta di stato di emergenza nazionale per gli «eccezionali eventi metereologici» che hanno colpito l’Emilia-Romagna a partire dal 17 ottobre. «Al fine di dare avvio e copertura ai primi interventi urgenti- informa la Regione- è stato chiesto un primo stanziamento di 50 milioni di euro». La richiesta è stata inviata anche al ministero per la Protezione civile e al capo dipartimento della Protezione Civile.
L’obiettivo, fa sapere sempre viale Aldo Moro, è poter procedere «già nei prossimi giorni, anche avvalendosi delle indispensabili deroghe previste dalle ordinanze di protezione civile, all’attivazione di forme di assistenza alla popolazione (soluzioni alloggiative temporanee e Cas), a interventi di gestione del materiale alluvionale e dei rifiuti causati dagli eventi, al ripristino di servizi pubblici essenziali, agli interventi di somma urgenza per il ripristino dei sistemi arginali e sui corsi d’acqua e canali esondati, alla riapertura della viabilità interrotta a causa di smottamenti e frane, alle spese del sistema regionale di volontariato di protezione civile e alle misure di supporto alle attività del commissario delegato».
A oggi, informa ancora la Regione, sono già stati effettuati oltre 950 interventi dal sistema nazionale e regionale di protezione civile «per far fronte ai diversi danneggiamenti che hanno interessato il territorio e alle misure più urgenti di assistenza alla popolazione, comprese le evacuazioni e relative ricollocazioni delle persone in strutture alberghiere».
Commenta (0 Commenti)Diritti Un report parla di profilazione su base etnica e cita i linguaggi d'odio sdoganati dalla destra. La politica insorge Ma anche un recente dossier dell’Onu giunge alle stesse conclusioni
Secondo la Commissione contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa, in Italia le forze dell’ordine sono solite ricorrere alla profilazione razziale, cioè alla selezione sistematica di controlli e fermi di polizia in base all’origine etnica. L’organizzazione internazionale composta da esperti indipendenti nominati dai governi dei quarantasei paesi membri ha diffuso ieri un rapporto che si basa su «analisi documentali, un sopralluogo nel paese e un dialogo confidenziale con le autorità nazionali»: vi si sostiene che polizia e carabinieri italiani non paiono essere neppure «consapevoli» dell’entità del problema. Non sembra esserne cosciente neanche la gran parte dei politici italiani che all’unisono (con l’eccezione di Avs) esprime solidarietà alle forze dell’ordine, dalla premier Giorgia Meloni al ministro dell’interno Matteo Piantedosi, fino al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale fa sapere di aver telefonato al capo della polizia Vittorio Pisani esprimendogli il suo «stupore».
LE 48 PAGINE poggiano su «molte testimonianze» confermate anche dai documenti delle organizzazioni della società civile e di altri organismi di monitoraggio internazionali specializzati. Il racial profiling, sottolinea l’Ecri, «ha effetti notevolmente negativi», perché genera un senso di «umiliazione ed ingiustizia» per i gruppi coinvolti, provocando «stigmatizzazione e alienazione». La commissione suggerisce che le autorità sottopongano le pratiche di fermo e di controllo e perquisizione della polizia a un giudizio indipendente: «L’esame dovrebbe essere condotto con la partecipazione attiva delle organizzazioni della società civile e dei rappresentanti dei gruppi potenzialmente esposti alle pratiche di profilazione razziale». Poi insiste sulla necessità che gli uomini in divisa siano formati all’uopo. I funzionari delle forze dell’ordine dovrebbero conoscere «le pratiche che possono potenzialmente condurre alla profilazione razziale, con effetti nocivi sulla fiducia dei cittadini nella polizia, nonché per identificare modelli indicativi di razzismo istituzionale all’interno delle forze dell’ordine, in particolare nei confronti dei rom e delle persone non bianche o di origine africana».
NEL DOSSIER si traccia un nesso col contesto politico-culturale più generale del paese: «Il discorso pubblico è diventato sempre più xenofobo – si legge nel documento – E il discorso politico ha assunto toni altamente divisivi e antagonistici prendendo di mira in particolare rifugiati, richiedenti asilo e migranti, così come cittadini italiani con contesto migratorio, rom e persone Lgbti. L’incitamento all’odio, anche da parte di politici di alto livello, spesso rimane incontrastato». Vi si cita, senza nominarlo direttamente, anche il caso del neo-eletto in Europa Roberto Vannacci: «Esempi recenti di dichiarazioni razziste e fobiche nei confronti delle persone Lgbti nella vita pubblica includono le osservazioni fatte in un libro pubblicato nel 2023 da un generale delle forze armate italiane». E ancora: «Nel loro percorso verso l’integrazione e l’inclusione, i migranti hanno sperimentato problemi concreti a causa della narrazione, sostanzialmente negativa, caldeggiata dalla classe politica. Anche le eccessive critiche rivolte a singoli giudici che si occupano di casi di migrazione mettono a rischio la loro indipendenza». Ma va anche detto che l’Ecri ha inviato il report alle autorità italiane, raccogliendone le osservazioni, che riporta in calce al testo. E che nelle sei pagine inviate da Roma sono commentate varie parti del rapporto, compreso il paragrafo sulla profilazione razziale. Nei commenti ci si limita a far sapere che «l’osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (che dipende dal Viminale) ha introdotto dal 2014 un focus specifico», nell’ambito delle attività di formazione, sui rischi connessi alla «profilazione discriminatoria».
LORENZO TRUCCO dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, che è tra i referenti del dossier e che segnala che si tratta di «una cosa molto seria» che «mette in rilievo delle inefficienze, delle arretratezze e arriva tramite un percorso molto dettagliato». Del resto appena venti giorni fa anche le Nazioni unite, in un documento del gruppo per il superamento del razzismo nel sistema poliziesco e giudiziario, sono arrivate a conclusioni simili circa la situazione del paese, il comportamento delle forze dell’ordine e le deportazioni in Albania
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Meloni costretta a festeggiare i due anni di governo solo in video e con una serie di slide su record inventati. Rafforzato il decreto anti-migranti per salvare il modello Albania, ma resta inutile o quasi. E il testo della manovra non c’è
Io parlo da sola Il governo cambia il decreto sui Paesi sicuri. Mattarella firmerà, il pasticcio resta
Un’immagine dal video postato ieri da Giorgia Meloni
Doveva essere una festa a caviale e champagne, conferenza stampa fiume con tutti i ministri in bella schiera, trionfalismo a go go, superlativi a perdere. È finita a spumantino e tramezzini da bar. La celebrazione del secondo compleanno del governo Meloni si è risolta in un modesto videomessaggio della premier, di quelli da ordinaria amministrazione. Poco meno di due minuti: «Non mi sono risparmiata», «Sono soddisfatta dei risultati e dei traguardi raggiunti», «Sono consapevole di quanto lavoro ci sia ancora da fare». Non entrerà negli annali. Fatica persino ad approdare nella cronaca di giornata.
COLPA IN PARTE della manovra, che ancora non quadra come dovrebbe e tarda ad arrivare in parlamento. Con la legge di bilancio vacante sarebbe stato comunque un compleanno senza torta. Colpa soprattutto del pasticcio albanese, che è un guaio serio e chi ha voglia di fare festa quando il fiore all’occhiello si scopre appassito, la carta vincente per indicare la direzione all’Europa si rivela un’inutile scartina?
Il dl presentato lunedì sera da Mantovano, Nordio e Piantedosi serviva solo alle esigenze della propaganda, certo non secondarie ma neppure risolutive. I magistrati possono ignorare quel decreto in nome della prevalenza gerarchica della norma europea. Il Colle si era messo di mezzo su ogni ulteriore contenuto di carattere procedurale. Il governo, dopo alcuni momenti di tensione alta, si era rassegnato ad arretrare.
ALLA FINE LA PREMIER e i suoi ministri hanno deciso di forzare almeno un po’ per portare a casa qualcosa in più di una lista dei Paesi sicuri promossa a norma primaria, in quanto legge, ma inutile o quasi lo stesso. Il testo finale contiene a sorpresa una seconda modifica, della quale non c’era stata traccia nella conferenza stampa di lunedì sera: i ricorsi contro le sentenze del Tribunale saranno presentati in Appello, che deve decidere entro 10 giorni, e non più in Cassazione. Questione di celerità insomma. Il Quirinale non si aspettava la
Leggi tutto: Meloni rilancia sull’Albania, ma la festa non decolla - di Andrea Colombo
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