Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

NON C'È CAMPO. Il M5S in cerca di alleati
Conte torna «federatore a sinistra». E prova ad agganciare Si e Verdi Giuseppe Conte - LaPresse

«Io federatore a sinistra?», chiede Giuseppe Conte con una punta di malcelato orgoglio rispondendo a Repubblica.it. Dopo mesi intravede la possibilità del ruolo che gli avevano assegnato Nicola Zingaretti e Pierluigi Bersani ai tempi del governo giallorosso. Le cose cambiarono con la segreteria Letta: il M5S venne confermato dal leader Pd, ma come semplice alleato ma Conte. Perse il pallino strategico che quelli della Ditta gli avevano assegnato ad honorem.

Adesso accarezza l’idea di prendersi una piccola rivincita chiamando a sé Sinistra italiana e occupando lo spazio che potrebbe crearsi a sinistra della coalizione a trazione Calenda. «Loro stanno discutendo sui seggi, da noi ci sono principi chiari. Fratoianni è un interlocutore serio, ci ho parlato varie volte. Noi siamo in grado di soddisfare l’elettore di sinistra e contrastare l’agenda della destra», dice il leader M5S.

L’avvocato da giorni va dicendo che non ha interesse a costruire un polo della sinistra radicale con la coalizione che sostiene De Magistris, ma che se Fratoianni decidesse di essere della partita lo scenario cambierebbe. A chi gli chiede se potrebbe allearsi con l’ex sindaco di Napoli e seguire le indicazioni di Michele Santoro dice: «Noi non facciamo massa critica ma progetti, programmi con obiettivi». Questa è la chiave dello storytelling messo a fuoco dal M5S negli ultimi giorni: i grillini non propongono nostalgie (peraltro poco credibili) delle origini dell’anti-casta ma puntano sulle cose che hanno realizzato nella legislatura in cui erano primo partito. Come dire: abbiamo rispettato gli impegni, nonostante tutto.

Quando il verde Angelo Bonelli lo attacca gli rinfaccia proprio di voler riportare le lancette dell’orologio al VaffaDay: «Conte mi pare abbia fatto la scelta di riportare il M5S alle origini, ne prendiamo atto, è un problema suo, ma noi siamo impegnati a costruire una presenza che parli di giustizia sociale e climatica», dice il portavoce di Europa Verde. E lui lo rimbrotta: «Ho visto che Bonelli ha fatto delle dichiarazioni non adeguate: mettere in discussione le nostre battaglie sulla transizione ecologica non è possibile, anche quando eravamo al governo con la Lega. Bonelli non deve usarci per negoziare con il Pd…».

Tuttavia, se davvero Conte ha intenzione di riprendere a fare politica e costruire alleanze con soggetti altri ha il problema di fare i conti con Beppe Grillo. Da giorni assicura che i rapporti tra lui e il fondatore sono ottimi, che le incomprensioni del passato sono archiviate e che si sentono spesso.
Non che il problema sia solo lui. Ieri Virginia Raggi, la cui esclusione dalle liste è stata certificata, ha rivendicato i suoi trascorsi di ostilità al Pd e chiesto di chiudere alle alleanze anche in chiave locale: «Qualcuno ha riscoperto il valore delle proprie idee e si rende conto che è ora di correre da soli. Noi a Roma lo dicevamo da tempo ma eravamo additati come ’bizzosi’ – sostiene Raggi – Adesso si abbia il coraggio di chiudere anche con le pseudo alleanze di comodo in quei Comuni o in quelle Regioni laddove è evidente anche alla luce dei programmi che non c’è conciliabilità». Anche l’ex sottosegretario allo sviluppo economico Stefano Buffagni, altro escluso eccellente, ha puntato il dito contro «gli errori del passato». Il rischio, insomma, è che l’armata dei reduci dal doppio mandato decida di remare contro e seminare dubbi e zizzanie. Conte lo ha capito e si aspetta che Roberto Fico, forse l’esubero più eccellente, dia una mano in campagna elettorale. «Roberto è una risorsa, anche io non sono entrato in Parlamento avendo avuto l’occasione delle suppletive, la politica si può fare anche fuori – assicura – Continuerà a dare un grande contributo, come tanti altri».

 
 
Commenta (0 Commenti)

FRATOIANNI E BONELLI ANNULLANO L’INCONTRO CHIARIFICATORE CON LETTA, CHIEDONO UN NUOVO ACCORDO SU PROGRAMMA E COLLEGI. AZIONE DICE NO. Carlo Calenda: «Ho firmato un patto con i dem, il mio interlocutore sono loro. Se Sinistra italiana non condivide l’agenda Draghi non è un problema mio». Nella Direzione di Si il 35% aveva votato contro l’accordo

Alta tensione con il Pd, il cartello di sinistra alza la posta Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni - LaPresse

I Verdi e Sinistra italiana alzano il prezzo. In termini di seggi, perché tre collegi dopo che Calenda se ne è aggiudicato il 30% ormai non bastano. Ci vuole molto di più e non è affatto escluso che l’obiettivo sia la «pari dignità», cioè un altro 30% dei collegi attribuito a Europa Verde. Ma il problema si pone anche, se non soprattutto, in termini di equilibri politici, perché il diktat del leader di Azione, accolto praticamente in blocco da Letta, ha trasformato «l’alleanza elettorale» in una coalizione centrista che, storcendo il naso e in nome delle necessità imposte dalla legge elettorale, accoglie come parenti poveri le forze riunite in Europa verde.

FRATOIANNI E BONELLI aprono le ostilità di buon mattino, facendo saltare l’incontro pomeridiano con Letta da loro stessi chiesto: «Registriamo un profondo disagio nel Paese. Essendo cambiate le condizioni sono in corso riflessioni che necessitano di un tempo ulteriore». Il «profondo disagio», il leader di Si lo registra soprattutto nel suo partito. In Direzione il 35% aveva votato contro l’accordo, alcune Federazioni come Roma e Firenze erano già in rivolta. L’affondo di Calenda ha moltiplicato i malumori. Anche perché, galvanizzato dal successo, il centrista mena come un fabbro: «Ho firmato un accordo con Letta e il mio interlocutore è lui. Se Fratoianni non condivide l’agenda Draghi è un problema suo non mio». Del resto la formula dei due front runner, Letta e Calenda, basta e avanza per esigere un radicale «riequilibrio».

IL CARTELLO DI SINISTRA tiene la tensione alta per tutto il giorno. Soprattutto i Verdi fanno filtrare che la rottura è a un passo. Gli strumenti di pressione non mancano. Se Ev si coalizzasse con Conte il prezzo in termini di collegi sarebbe per Letta caro: costerebbe 14 sconfitte. Conte sembra aprire le porte: «C’è sempre la possibilità di condividere l’agenda sociale con le persone serie che vogliono farlo». Ma il doppio forno è più apparente che reale. L’apertura di Conte è incerta e dal quartier generale dei 5S di segnali veri non ne sono arrivati. Senza contare un problema grosso come una montagna: Ev non deve raccogliere le firme grazie ad Art. 1, che rappresenta la stragrande maggioranza di quella finzione politica che è stata LeU. Nell’ultimo giorno prima dello scioglimento delle camere Art. 1, su richiesta del Pd, ha cambiato nome al gruppo inserendo Sinistra italiana così da permetterle di presentarsi senza dover raccogliere le firme. Ma non è affatto detto che il dono verrebbe mantenuto anche ove Sinistra italiana si schierasse contro la lista Democratici e Progressisti, nella quale troveranno posto, nel proporzionale, cinque esponenti di Art. 1 incluso il ministro Speranza.

LA ROTTURA, nonostante il rullare dei tamburi di guerra, non fa comodo a nessuno e in realtà non la vuole nessuno. Non a caso dal quartier generale di Conte segnalavano ieri sera che, nonostante il segnale lanciato in mattinata, né Fratoianni né Bonelli hanno cercato il leader dei 5S. Dagli spalti del Pd quasi tutto tace. Il segretario, l’unico in grado di riequilibrare la situazione, prende tempo. Orlando però si fa sentire: «Nervi saldi. Bisogna costruire un’alleanza in grado di battere la destra nei collegi. Credo che ci siano le condizioni per definire con Si e Verdi alcuni punti comuni sui temi della transizione ecologica e del lavoro». La formula che permetterebbe il magico riequilibrio sarebbe insomma un programma comune Pd-Ev parallelo ma non alternativo a quello Pd-Azione: un documento stilato con certosina cura per evitare attriti infilandoci voci non citate nel patto firmato con Calenda, come il salario minimo, l’accelerazione della transizione ecologica e la riforma della rappresentanza nei luoghi di lavoro. Ma Calenda si mette di mezzo: «L’agenda Draghi è il perno del patto e non si rinegozia, fine della questione».

LA VOCE IN SOSPESO, il numero di collegi per Ev, non è affatto di facile risoluzione ma alla fine un accordo quasi certamente si troverà. Quanto possa apparire credibile un edificio così fatiscente è un altro paio di maniche. Tanto più che il listone del Pd deve già subire la farsa della presenza di Di Maio, si può capire con quanta soddisfazione accolta a Bibbiano. La proposta era stata fatta anche a Renzi, dignitoso abbastanza da rifiutarla con sdegno a differenza di Giggino.

 

Commenta (0 Commenti)

LETTA A SDRAIO. Le reazioni dei partiti all'accordo tra l'ex ministro e il segretario dem

I 5 Stelle: «Intesa contro solidarietà e sviluppo sostenibile» Giuseppe Conte - LaPresse

La coalizione di centrosinistra adesso esiste. Non ha ancora un nome e non può considerarsi un’alleanza politica in senso pieno, ma questa minima definizione conduce tutte le altre parti in campo a ribadire la loro posizione e definire il campo elettorale.

Giuseppe Conte parla della «telenovela Letta-Calenda». Che adesso, sostiene il leader del Movimento 5 Stelle, «finalmente è finita». Poi augura sarcasticamente «in bocca al lupo alla nuova ammucchiata che va dalla Gelmini dei tagli alla scuola al Pd, passando per Calenda, che non ha mai messo il naso fuori da una Ztl. Si riconoscono nell’agenda Draghi. Salario minimo legale, lotta all’inquinamento e alla precarietà giovanile saranno fuori dalla loro agenda. Nessun problema, ce ne occuperemo noi».
Nel M5S, insomma, ne approfittano per rivendicare la loro rottura con Draghi e con la sua maggioranza. Lo dice persino Roberta Lombardi, assessora alla transizione ecologica in Regione Lazio nei giorni scorsi impegnata a sostenere le ragioni dell’accordo su base territoriale con i dem e persino con Azione. «Rivedere al ribasso il reddito di cittadinanza e il bonus 110%, così come previsto dall’Agenda Draghi, è uno dei punti del patto elettorale. Ecco come i sedicenti progressisti vogliono ammazzare solidarietà e sviluppo sostenibile», attacca Lombardi.

Su una linea simile si muove Luigi de Magistris, portavoce di Unione popolare. «L’accordo tra Letta e Calenda – dice l’ex sindaco di Napoli – è la prova definitiva che il Pd è non solo azionista di maggioranza del draghismo, in prima linea nel partito delle armi e della guerra, oltre che delle politiche di devastazione ambientale, inceneritori in testa. Il Pd sarà il perno su cui ruoterà il grande centro, da Letta a Calenda, da Brunetta a Gelmini, da Carfagna a Mastella, da Di Maio a Renzi». Poi De Magistris rivolge le sue attenzioni a Sinistra italiana, ritenuta responsabile di non aver fatto nascere un soggetto unitario alternativo al centrosinistra. «È triste – sostiene de Magistris – che per garantire la poltrona parlamentare a qualche dirigente di partito Sinistra italiana non abbia avuto nella sua maggioranza il coraggio di ascoltare i territori che avrebbero voluto la costruzione di un polo pacifista, ambientalista, per i diritti e le libertà civili, non allineato al sistema».

Da tutt’altra posizione esprime i suoi dubbi anche Clemente Mastella, impegnato a promuovere la sua lista centrista. «Io guardo le cose da distante e con il mio manipolo andremo da soli, creando qualche problemuccio in giro per l’Italia – spiega il sindaco di Benevento – Ma mi appare veramente incredibile come mai la semi-coalizione accetti Fratoianni, che ha sempre votato contro Draghi, e non Conte che ha votato una sola volta contro pur facendolo cadere in maniera improvvida».

Da destra, Deborah Bergamini di Forza Italia dice che «una coalizione che va da Calenda a Fratoianni è una contraddizione in termini». «Più che un’alleanza politica è un vero e proprio mappazzone – dice la deputata berlusconiana – Spero che le ex colleghe di partito Mara Carfagna e Mariastella Gelmini facciano un passo indietro invece di appoggiare la sinistra». Dalla Lega contestano il fatto che Letta e Luigi Di Maio si siano incontrati alla sede del ministero degli esteri per definire i loro accordi. «Riteniamo profondamente irrispettoso l’utilizzo che hanno fatto della Farnesina, una sede istituzionale di primissimo piano che non può essere ridotta a conciliabolo per spartirsi i collegi elettorali – dice il senatore Stefano Candiani – Fa sorridere poi che sia stato proprio Letta ad andare da Di Maio, testimonianza chiara di quanto sia disperato dopo che Calenda l’ha sostanzialmente piegato con le firme dell’accordo. Resta la solita doppia morale della sinistra, a cui Di Maio si è adeguato felicemente pur di conservare la poltrona».

 

Commenta (0 Commenti)

PROSPETTIVE. Occupazione, per l'Istat un record congiunturale a giugno 2022. Fammoni (Fdv-Cgil): "I precari sopra i 3 milioni occupati con bassi salari oltre 5 milioni". Confcommercio: "Nel 2022 rallentamento di produzione e consumi"

Cresce il lavoro povero, incognita recessione Corsico, Milano - Ap

Un’ondata di trasformazioni dei contratti a termine stipulati nei mesi scorsi, un progressivo venire meno dell’uso della casssa integrazione, l’approssimarsi della stagione turistica e la buona tenuta del Pil (+3,6) possono avere causato la crescita congiunturale dei lavoratori permanenti dipendenti registrata a giugno. Secondo l’Istat questo aumento riguarda tutte le classi di età, ad eccezione dei 35-49enni e del lavoro autonomo e ha spinto il tasso di occupazione tra i più bassi d’Europa al 60,1%, un livello mai registrato dal 1977. Rispetto a giugno 2021 ci sarebbero 400 mila occupati in più, per un totale di 18 milioni 100 mila. Rispetto al primo trimestre del 2022, l’aumento dell’occupazione dipendente di questo genere sarebbe pari allo 0,4%, cioè a 90 mila unità in più. Rispetto all’aumento del Pil si tratta dunque di una percentuale modesta, sintomo di una caratteristica strutturale del mercato del lavoro: la crescita occupazionale resta contenuta nonostante rimbalzi di grande ampiezza come quello registrato dal Pil in Italia. Va ricordato che l’aumento è stato cospicuo perché più profondo è stato il crollo a causa della pandemia (l’8,9% del Pil).

Questo rimbalzo, dicono tutte le stime, è destinato progressivamente a ridursi, anche per le nuove condizioni dell’economia globale che vede il concatenarsi di crisi di diversa origine, non ultima quella amplificata dalla guerra russa in Ucraina, dell’inflazione e del rischio recessione che si è affacciato già negli Stati Uniti. Alla luce di queste considerazioni anche il dato congiunturale sull’occupazione di ieri va messo in prospettiva. È necessario farlo anche per evitare i toni trionfalistici che, com’è costume della politica che specula sulla statistica, hanno accompagnato ieri le stime dell’Istat.

Al netto delle chiacchiere del Palazzo, che qui non riportiamo, il picco va contestualizzato. Lo hanno fatto diversi osservatori rispetto alle «fragilità dello scenario internazionale che si rifletteranno in un rallentamento dell’attività economica e dei consumi nella seconda parte dell’anno» ha osservato Confcommercio. «L’aumento dei contratti stabili è poca cosa al confronto con la crescita dei contratti precari che la fanno ancora da padrone in questa ripresa» ha detto Ivana Veronese (Uil). Il presidente della Fondazione Di Vittorio Fulvio Fammoni ha puntato l’attenzione sulla qualità del lavoro prodotta dall’aumento congiunturale. «Il bacino del lavoro povero resta molto alto. Si conferma la scelta di una produzione basata prevalentemente sulla bassa qualità del prodotto e sulla competizione di costo del lavoro. Gli occupati a termini sono stabilmente al di sopra dei 3 milioni. A questi vanno sommati i part-time involontari e un eccesso di inquadramenti nelle basse qualifiche.

Una conferma dell’inversione di tendenza è giunta ieri dall’indice Pmi dell’Eurozona sotto la soglia critica dei 50 che indica la contrazione della produzione manifatturiera. Come l’Italia anche la Germania, la Francia o la Spagna lo hanno registrato. Di solito questo è considerato il sintomo di una recessione in arrivo, anche se è ancora in questione la sua modalità e intensità.

Commenta (0 Commenti)

Anche se i media continuano a sottovalutare la novità del progetto, il fatto che Nicola Zingaretti (PD presidente regione lazio) e Roberta Lombardi (M5S assessora  ambiente regione lazio) abbiano tenuto proprio in questi giorni di avvio della campagna elettorale una conferenza stampa congiunta sull'eolico offshore, che porterà occupazione, taglio di CO2, e riconversione dell'attività manifatturiera a Civitavecchia è un segnale nazionale, che non va affatto trascurato. La platea che ha seguito l'annuncio - come è scritto nell'articolo qui allegato - era formata da tutti i soggetti sociali e politici che hanno concorso all'abbandono e alla riconversione a rinnovabili del grande impianto a turbogas (1840 MW) originariamente previsto e approvato dal piano energetico nazionale (PNIEC). Naturalmente occorrerà mantenere alta l'attenzione sull'effettiva attuazione di una svolta sostenuta da una mobilitazione unitaria, responsabile ed indicativa di una consapevolezza vasta sulla crisi climatica in corso.

Un caro saluto. Mario Agostinelli

Commenta (0 Commenti)

RISPARMIO ENERGETICO. La guerra taglia i consumi: spente anche le fontane, niente acqua calda negli uffici pubblici

Docce gelate, piscine fredde, palazzi spenti: è l’effetto Gazprom

La crisi del gas spegne la luce alla Germania. Da Berlino ad Hannover passando per Potsdam, Cottbus, Francoforte sull’Oder e altrove, cala il buio della crisi del gas, che poi sarebbe l’ombra della guerra che si continua a combattere 1.500 km più a est.
L’ordine istituzionale (inculcato ai funzionari dei ministeri federali, trasmesso fino all’ultimo dei borgomastri e mandato a memoria da milioni di spettatori del tg pubblico) non ammette rinvii e accetta poche eccezioni. L’imperativo categorico è risparmiare ogni singolo watt utile a superare la riduzione dal 40 al 20% delle forniture di Gazprom, cioè resistere al «gioco di potere di Mosca».

Scatta quindi su off l’interruttore dei riflettori puntati sulla Torre della televisione e la Colonna della Vittoria, simboli di Berlino, ma si spengono anche Duomo, Municipio Rosso e Castello di Charlottenburg più altri 200 palazzi pubblici di cui lo Stato non può più permettersi la bolletta notturna.
Pochi spicci in tempi normali, un’enormità al tempo della guerra in Ucraina perfino per la locomotiva d’Europa. Nel dettaglio, oscurare i 1.400 fari a spot puntati sui 200 edifici-chiave della capitale tedesca porterà al risparmio annuo di soli 40mila euro, ma dal governo insistono che la forbice sui «consumi non indispensabili» si aggiunge alle altre misure appena varate, a partire dal calo dei gradi dei termosifoni negli edifici statali.

A Potsdam, capitale del Brandeburgo, la nuova austerity energetica è il buio totale in biblioteca, centro di formazione e nell’area dei musei; cornice insolita per la città che fa girare gran parte dell’economia proprio intorno ai suoi monumenti prussiani. Vale anche per sedi e uffici delle municipalizzate, «ovunque la mancanza di luce non influisce sulla sicurezza» sottolineano in Comune, già concentrati sul prossimo passo del razionamento energetico: cambiare decine di migliaia di lampadine dell’illuminazione pubblica con i più economici led.

A Cottbus, seconda città del Land, il Consiglio comunale avverte i cittadini di aver spento il teatro e che è in corso il monitoraggio degli edifici per ridurre al massimo i consumi, mentre i tecnici scandagliano rete del gas ed elettrodotti a caccia di eventuali perdite. Eppure la selezione di chi deve restare al freddo o al buio è tutt’altro che automatica. Per esempio, non è possibile chiudere la piscina coperta di Cottbus perché «significherebbe cancellare i corsi di nuoto per i bambini di cui abbiamo urgenza per compensare il deficit accumulato durante la pandemia. Poi ci sono le attività di cura e riabilitazione…».

Augsburg, in Baviera, ha spento le fontane pubbliche. La giunta comunale di Hannover, capitale della Bassa Sassonia, invece ha vietato l’utilizzo di acqua calda nei bagni pubblici e nelle docce di piscine, palasport e palestre, chiudendo anche qui le fontane. E anche qui il municipio verrà spento «per raggiungere il target del 15% fissato dall’Ue», conferma il borgomastro dei Verdi, Belit Onay.

Commenta (0 Commenti)